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Stragi, delitti e misteri di mafia, politica e affari

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Dapprima furono i politici, Ciampi, Scalfaro, Maccanico, Scotti e Mancino, Martelli, Cirino Pomicino e Violante. E i magistrati Grasso e Lari. Adesso anche Pisanu, presidente della commissione antimafia ed esponente del Pdl, mette nero su bianco con una relazione di 35 pagine. Oggi, insomma, anche a non voler dar credito ai Ciancimino e agli Spatuzza, non possono più essere liquidate come favole le ipotesi di intrecci e infiltrazioni mafiose o di vere e proprie trattative mafia-Stato-Politica.  Si fanno più insistenti gli interrogativi sul ruolo dei Servizi nei delitti e nelle stragi del 92-93, nell’attentato all’Addaura, negli omicidi degli agenti Piazza e Agostino.  Chi ha trafugato l’agenda rossa di Paolo Borsellino? E chi è il signor Franco, citato da Ciancimino junior? Pisanu vede chiaramente dietro quegli omicidi “un groviglio tra mafia, politica, grandi affari, gruppi eversivi e pezzi deviati dello Stato“.
In quegli anni tra governo italiano e Cosa nostra “qualcosa sul genere” di una trattativa “ci fu e Cosa nostra la accompagnò con inaudite ostentazioni di forza”. “Un giudizio politico, non giudiziario“, ci tiene a dire il senatore del Pdl rispondendo al procuratore nazionale antimafia che richiedeva prove giudiziarie. “E’ ragionevole ipotizzare – prosegue Pisanu esponendo la sua analisi – che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica” (vai all’articolo di Repubblica).
Ma i parenti delle vittime non sono d’accordo e accusano il presidente della commissione antimafia di assolvere la politica. “Una relazione, quella di Pisanu, -dice Giovanna Maggiani Chelli, portavoce dell’Associazione familiari delle vittime di via dei Georgofili– che ammette l’esistenza in quegli anni di qualcosa di molto simile a una trattativa tra Stato e Cosa Nostra”, ma che è fatta solo di “tante belle parole, tanti passaggi interessanti, ma niente fatti concreti. Ora serve un processo chiarificatore sulle bombe del ’93 visto che le procure interessate possiedono fiumi di materiale d’indagine, non certo solo sui servizi segreti deviati. Vanno individuate le responsabilità trasversali della politica”.
Il procuratore Grasso, lo stesso che ora chiede a Pisanu le prove, aveva affermato che Giovanni Falcone non fu ucciso solo dalla mafia: «Qualche entità esterna può aver agevolato nell’ ideazione o nell’ istigazione, o comunque può aver dato un appoggio all’ attività della mafia». E ancora:”Nel ’93 Cosa nostra ha avuto in subappalto una vera e propria strategia della tensione” “Le stragi furono organizzate anche da pezzi dello Stato per aiutare una nuova forza politica“.
“Dopo 17 anni dalle stragi – dice ancora Grasso che però giudica ingiustificabile una trattativa dello Stato con la mafia- se non ci fosse stato un mafioso pentito che si fosse accusato della strage di Borsellino e il figlio di un ex mafioso, tutto sarebbe rimasto sepolto nell’oblio per sempre. Il sipario si è alzato e tanti ricordi sono affiorati“.
Attilio Bolzoni ha ricostruito per Repubblica le novità delle inchieste sulle bombe del ’92 e del ’93. “Da più di un anno ci sono nuove inchieste di tre procure: Palermo, Caltanissetta e Firenze“, ha spiegato. “Da queste inchieste capiamo che la storia di quelle bombe  –  dal fallito attentato all’Addaura contro Falcone nel 1989, fino a quelle in continente del ’93 – deve essere completamente riscritta. Non fu solo mafia. C’è il sospetto che pezzi dello Stato e dei servizi abbiano agito accanto a Cosa nostra. Addaura, nuova verità sull’attentato a Falcone – Repubblica.it
Dopo Grasso, Walter Veltroni nutre “dubbi tremendi su quelle morti. Forse un pezzo di Stato tradì” . “Non erano sicuramente soltanto stragi di mafia. Anzi, sulla base delle inchieste, non si dovrebbe neppure più chiamarle in questo modo. Sono stragi di un anti Stato, che era o forse è annidato dentro e contro lo Stato”.
Anche Carlo Azeglio Ciampi chiede al governo e al presidente del Consiglio di rompere il muro del silenzio, di chiarire in Parlamento cosa accadde tra lo Stato e la mafia in uno dei passaggi più oscuri della nostra Repubblica. “Non esito a dirlo, oggi: ebbi paura che fossimo a un passo da un colpo di Stato. – dice Ciampi che allora era presidente del Consiglio- Lo pensai allora, e mi creda, lo penso ancora oggi…” Leggi  Ciampi “La notte del 93 con la paura del golpe” su Repubblica
Oscar Luigi Scalfaro , capo dello Stato nel 93 è pessimista: “Temo che non sapremo mai la verità sugli attentati. Non vedo volontà politiche univoche per una commissione d’inchiesta che faccia piena luce” Leggi In quella notte terribile delle bombe ci furono vuoto politico e democrazia debole
Di contatti tra Stato e mafia in un trentennio se ne trovano tanti. Come quelli cercati dalla DC con i brigatisti ma attraverso la mafia per il caso Moro. Altro che fermezza! Più che altro si trattava di rimanere dietro le quinte per la liberazione dell’ostaggio.
E vogliamo parlare di Giulio Andreotti? Nella sentenza definitiva del processo al leader democristiano, prosciolto (e non assolto) per prescrizione del reato si danno per avvenuti almeno due incontri tra l’ ex presidente del Consiglio e il capocosca Bontate, tra il 1979 e l’ 80, a cavallo dell’ assassinio del presidente democristiano della Regione Piersanti Mattarella. Leggi sul Corriere “Quella storia infinita di trattative tra Stato, mafia e terrorismo”
Ma il vero anello di congiunzione tra mafia e politica è il senatore Marcello Dell’Utri, l’ amico di Berlusconi, condannato di recente in appello, sia pur con uno sconto di due anni (dai nove del primo grado ai sette anni di oggi, contro gli undici chiesti dall’accusa in appello), come amico dei mafiosi. I magistrati hanno stabilito che era Dell’Utri che mediava per gli affari delle “famiglie” al nord;  partecipava personalmente a incontri con esponenti anche di vertice di Cosa Nostra. Intratteneva rapporti continuativi con l’associazione per delinquere tramite numerosi esponenti di rilievo del sodalizio criminale, tra i quali Stefano Bontate, Girolamo Teresi, Ignazio Pullarà, Giovanbattista Pullarà, Vittorio Mangano, Gaetano Cinà, Giuseppe Di Napoli, Pietro Di Napoli, Raffaele Ganci, Salvatore Riina. Provvedeva a ricoverare latitanti. Reato commesso in Palermo (luogo di costituzione e centro operativo di Cosa Nostra), Milano e altre località, da epoca imprecisata sino al 28.9.1982″. Dell’Utri é stato insomma l'”intermediario” fra Cosa Nostra e il gruppo di Silvio Berlusconi. Leggi di Giuseppe D’Avanzo “L’anello di congiunzione tra il boss e il Cavaliere”
Una nota a margine, rilevata da Siciliainformazione, sulla condanna a 7 anni di Dell’Utri: Giornale di Sicilia e La Sicilia, in prima pagina, non usano la parola “mafia” nel titolo, ma la collocano soltanto, rispettivamente, nell’occhiello e nel sommario.
Come se non bastasse che alla destra di Berlusconi ci sia ancora oggi un uomo a disposizione degli interessi mafiosi, alla sinistra del premier agisce (ancora oggi) un avvocato (Previti) condannato per la corruzione dei giudici. Il capo è in buona compagnia con Scajola , Lunardi, Bertolaso e dulcis in fundo Brancher. Quest’ultimo premiato, prima con uno scranno in parlamento, poi con un sottosegretariato e, infine, con un ministero, non importa di cosa, per essere andato in galera dopo aver corrotto socialisti e liberali della prima repubblica. Quel ministero rappresenta la salvezza per Brancher: gli consente di opporre nel giudizio che lo vede imputato di appropriazione indebita nel processo Antonveneta il legittimo impedimento. Leggi “Il predone” e “La truffa del cavaliere” dello stesso D’Avanzo
Questo fino ad ora. In futuro chissà cosa ci riserveranno Berlusconi e la sua banda.

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