A scuola per imparare a rispettare la donna

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Corpo delle donne per fare audience e vendere qualunque merce? No, le donne hanno ben altre risorse. Ne hanno discusso con gli alunni del Turrisi Colonna e del Lombardo Radice le promotrici di una interessante iniziativa che si dovrebbe e potrebbe svolgere in altre scuole. Ce ne parla Graziella Priulla, docente alla facoltà di Scienze Politiche di Catania.
Ho una figlia bambina. Come le spiego le veline e le meteorine e le letterine e le schedine e le professorine e le coloradine? Come posso commentare con lei la professione di “ragazza-immagine”? Cosa le dico del perché in tv le femmine stanno in bikini e sono mute mentre i maschi sono vestiti di tutto punto e parlano? O del perché ci vuole una donna nuda per pubblicizzare una betoniera?
La pubblicità e la televisione sono diventate un’orgia visiva a una sola dimensione, la figura femminile un insieme di lacerti a disposizione del commercio. In molti manifesti non compare nemmeno il volto. Interi servizi, insistenti primi piani sono dedicati a seni e glutei di starlettes. Il corpo delle donne è utilizzato dalle trasmissioni di punta per fare audience, dalla pubblicità per vendere non solo biancheria e creme rassodanti, ma bibite, auto, qualunque merce. Col nudo femminile “si va sul sicuro”.
È il mercato che ce lo chiede, dicono i “creativi” dei format, i responsabili dei palinsesti, gli addetti al marketing dei giornali, le aziende, le agenzie pubblicitarie, innescando un circolo vizioso: più corpo la gente chiede, più gliene diamo. Più se ne dà, più ne sarà chiesto.
Immagini ai limiti della pornografia, battute ambigue, doppi sensi osceni campeggiano in ogni spazio pubblico: sono approvati, divertono, provocano strizzatine d’occhi.
Le donne appaiono “a disposizione”, e lo scopo è sempre lo stesso: gadgettistica disponibile sul mercato della felicità. Per non parlare dei programmi con giovani protagonisti aizzati a mostrare il peggio di sé che eccita l’audience: il gallismo spennacchiato dei tronisti, la comunità velenosa dell’harem, le ragazze che si contendono l’uomo …
Perché queste proposte non vengono vissute come preoccupanti e aggressive? È questo l’esito delle fatiche che abbiamo affrontato per poter vivere come eguali nella vita pubblica e in quella privata?
Le donne parlano. Si ribellano nelle piazze, rivendicano ad alta voce dignità per le persone, animano gruppi di protesta. Il silenzio degli uomini è preoccupante. Perché non rifiutano di essere schiacciati nella stupida scelta “o puttaniere o gay”? Dietro ogni rappresentazione volgare della donna si legge un uomo umiliato in una rappresentazione animale, ridotto ad un desiderio bulimico e coatto, che non solo prescinde dalla relazione ma quasi ha bisogno di negarla.
Su questi presupposti e con questi interrogativi alcune docenti della Facoltà di Scienze Politiche di Catania, insieme all’associazione di donne VoltaPagina, hanno montato un video con centinaia di immagini degradate tratte dai manifesti pubblicitari più recenti (la punta dell’iceberg), e lo portano nelle scuole per discuterne (è accaduto già in due licei della città – il Turrisi Colonna e, grazie all’Unicef, il Lombardo Radice – alla presenza di centinaia di alunni, attratti dall’uso delle immagini).
Le domande e le reazioni delle ragazze fan da specchio allo smarrimento, alla confusione. Molte si indignano, molte rimangono indifferenti. Alcune minimizzano, si dichiarano disposte a chiudere un occhio, in nome della modernità e della larghezza di vedute. Altre accusano apertamente di moralismo chi avanza critiche all’andazzo corrente. Ritengono che tutto sommato sia legittimo usare il proprio corpo per far carriera, in politica e altrove: citano questi comportamenti addirittura come esempio di libertà. Non trovano poi così anomalo il circuito sesso-potere-soldi.
Non è facile essere giovani donne in tempi di democrazia sofferente, di stravolgimenti del senso comune. Ma la scuola non esiste anche per aiutare a riflettere, a discernere? A capire in quale vicolo cieco ci stiamo cacciando? Allargare i ragionamenti al maggior numero di studenti possibile potrebbe portare un piccolo contributo a un processo di presa di coscienza. Lento, certo: ma non impossibile.
Graziella Priulla, docente di sociologia dei processi culturali nella facoltà di Scienze politiche di Catania

1 Comments

  1. un grandissimo “grazie”alla prof.priulla : mi auguro che l’iniziativa abbia grande accoglienza e grande seguito…
    sono senza parole : è davvero un pugno nello stomaco !

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