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Sciopero della fame dentro e fuori il carcere di piazza Lanza

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Il suono delle stoviglie battute risuona nelle strade che circondano il carcere di piazza Lanza, si eleva in modo più o meno intenso in base al riverbero dei palazzi prospicienti su via Ala e su via Macchi. Per il resto non ci sono elementi che facciano percepire dall’esterno che qualcosa stia accadendo oltre le mura, in questo mezzogiorno assolato della vigilia di ferragosto.
Fuori, nella piazza antistante la facciata, solo alcune donne, molte con i loro bambini. Parlano tra loro, ogni tanto chiamano i  parenti reclusi o battono energicamente le mani.
Sono poche e lo sanno. Non per questo sono meno grintose e decise o almeno così vogliono apparire a noi che ci avviciniamo e rimaniamo a parlare con loro. Stanno facendo, per tutta la giornata, uno sciopero della fame e della sete, come i loro congiunti che sono al di là del muro. Come altri detenuti e altri familiari nel resto d’Italia.
Siamo poche, è vero -ci dicono- “perchè domina una grande sfiducia”. Molti non si sono mossi da casa perchè “tanto non cambia niente”.
Quelle che sono presenti, di varie età, hanno tante cose da denunciare e parlano volentieri. E’ un modo non solo per sfogarsi, ma anche per non lasciare cadere nel vuoto la protesta.
“Siamo abituate a stare qui fuori. Per i colloqui ci accampiamo qui, anche due notti prima del giorno del colloquio. E’ l’unico modo per ottenere un posto nei primi turni.”
Al colloquio, che dura un’ora, sono ammessi solo 26 gruppi familiari alla volta, tre persone al massimo. Se deve entrare una moglie con tre bambini (e le famiglie sono spesso numerose), uno non potrà accedere. C’è anche un ordine alfabetico la rispettare: nei giorni dispari entrano i cognomi dalla A alla L, nei giorni pari dalla M alla Z. In alcuni giorni, ma non in contemporanea con gli altri reclusi, si svolgono i colloqui per le donne e soprattutto per pentiti e pedofili, che vanno protetti dalle aggressioni all’interno stesso del carcere.

La lista delle prenotazioni per i colloqui è gestita dagli stessi familiari, ma tutti ambiscono al primo turno, per poter essere poi liberi di andare al lavoro o badare ai bambini. Bisogna iscriversi in ordine di arrivo e chi vuole entrare tra i primi passa una o due notti in macchina, con i bambini avvolti nelle coperte.
Coloro che aspettano gli altri turni si assiepano fuori, dove da qualche tempo è stata allestita una struttura apposita, per proteggere dalle intemperie. Anche la sala del colloquio è nuova, “per fortuna -dicono- anche se adesso i detenuti non possono offrire ai bambini in visita neanche una brioscina”, perché… non bisogna sporcare.
Ma i problemi sul tappeto sono molti altri. Primo fra tutti, evidentemente, il sovraffollamento. Almeno 10 persone per cella. Anche 12 o 13, sempre in 4 metri per 4, con letti a castello che possono arrivare fino a cinque piani. Una situazione da incubo, che colpisce tutti, anche coloro che sono reclusi per reati minori che potrebbero essere “pagati” alla società in modo diverso, e anche più fruttuoso per tutti.
Il lavoro, l’impossibilità di lavorare è un’altra delle denuncie più insistenti. Nessun lavoro viene proposto dall’istuzione carceraria e in genere non vengono autorizzate neanche le possibilità indicate dagli stessi detenuti o dai familiari.
Lavorare darebbe dignità, permetterebbe di trascorrere il tempo in modo attivo e di non pesare sulle famiglie per i propri bisogni. Tanto più che il regolamento limita la possibilità di ricevere alimenti o vestiario dai congiunti. E allo spaccio del carcere i prodotti vengono venduti ad un prezzo doppio o anche triplo rispetto a fuori. Sarebbe interessante sapere chi lucra su situazioni così emergenziali…
Il rosario delle lagnanze non finisce più, dalla mancanza di ventilatori e di acqua fresca alle infestazioni di topi e scarafaggi. Si allarga poi ai giudizi negativi sulla magistratura e sulla polizia, considerati parziali e prevenuti, oltre che amici dei potenti.
I rumori dall’interno ogni tanto si affievoliscono, e le donne battono forte le mani per incoraggiare i figli, i mariti, i fidanzati. Fino a questo momento sono rimaste sole, sperano che arrivi qualche altro familiare, per essere di più, per essere prese sul serio anche dagli organi di stampa, dalle televisioni locali. Forse qualcuno arriverà, ma un segnale di indifferenza è già passato. Anche se dovrebbe essere chiaro per tutti che riconoscere dignità a chi sbaglia è il primo modo di affermare la presenza di uno Stato che non può essere solo repressivo.

3 Comments

  1. NON CI SONO PAROLE C’E DA DIRE CHE UNO SCHIFO NON E GIUSTO NON SOLO DEVONO SCONTARE LA LORO CONDANNA MA VENGONO TRATTATI MALISSIMO !CAMBIARE IL CARCERE IN MEGLIO LA SORELLA DI UN DETENUTO

  2. vengono trattati come animali perchè sono meglio?anzi….. peggio degli animali li debbono trattare.la condanna con la zappa la devono fare con topi e scarafaggi visto che sono solo monnezza.la rieducazione 4 calci nei coglioni li devono dare che mangiano e dormono alle spalle di chi lavora onestamente bruciateli vivi tutti così vado in ferie

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