Ricordando Giambattista Scidà

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Aveva dato ordini che non ci fossero necrologi e ricordi se non dopo la tumulazione del suo corpo. Ma nessuno ce l’ha fatta a non ricordare subito Giambattista Scidà, il magistrato, l’uomo, il combattente per cause giuste, colui che diede il via e sostenne fino alla fine la battaglia per Catania, dando vita, appunto, a quello che fu definito “il caso Catania”.
Dopo il tempestivo post di Argo, redatto in fretta, a caldo, qualche ora dopo la morte, ospitiamo adesso l’intervento di Santo Di Nuovo, professore ordinario di Psicologia nell’Università di Catania, che ben lo ha conosciuto. In calce il commosso ricordo di Riccardo Orioles e l’intervista rilasciata a Carmen La Sorella negli anni ’90

Non avendo potuto rendere di presenza, perché lontano da Catania, l’ultimo saluto a Titta Scidà nel giorno delle esequie, sento il bisogno di dedicargli queste poche parole che non ne vogliono ripercorrere la storia e le attività (basta per questo rileggere il suo blog, che contiene anche una sorta di autobiografia), ma solo ricordarne alcuni aspetti del carattere e dello stile di vita che hanno segnato per decenni la vita civile della nostra città.
Fin dall’inizio della sua carriera aveva deciso di fare il magistrato letteralmente a tempo pieno, senza concedersi svaghi o distrazioni di alcun tipo che non fossero le sue letture. Quando cominciai la mia avventura di giudice onorario nel “suo” tribunale dei minorenni, mi colpì molto il divano vecchio e sgualcito su cui spesso passava le notti senza tornare a casa. L’anomala elezione del tribunale a suo domicilio gli consentiva di stare sempre sulla breccia di quella che considerava una guerra continua contro l’ingiustizia e contro la sopraffazione di una società cosiddetta civile che, anziché sorreggere ed aiutare lo sviluppo delle giovani generazioni, le condanna al degrado e le espone al rischio di una devianza sempre più disperatamente “normale”.
Lo ricordo passare i momenti liberi nella nostra biblioteca universitaria, per studiare i fenomeni di cui constatava ogni giorno i tristi esiti e di cui voleva approfondire le cause, e che avrebbe voluto contrastare coinvolgendo in questo impegno civile tutte le forze politiche, sociali, culturali. Forze che invece lo deludevano continuamente perché troppo morbide col potere, alla ricerca di compromessi, svogliate e restìe a gettarsi in quella battaglia che per lui era invece ragione di vita.
Pochi come lui ebbero una così irrefrenabile passionalità, intrisa di emotività, che suscitava altrettanta passione ed emozione nei suoi interlocutori. Affetto ed entusiasmo da parte di alcuni, cui non pareva vero vedere un magistrato servitore dello stato “lanciato a bomba contro l’ingiustizia” come il kamikaze anarchico cantato da Guccini; dall’altra parte reazioni non certo positive, specie in quanti attaccava pubblicamente, che avrebbero voluto mandare al rogo questo Savonarola dei nostri giorni, anche se si limitavano a ricordargli (e a fargli ricordare dai suoi superiori) di non andare oltre il suo ruolo…
Interveniva sui temi a lui cari sfruttando tutti i momenti utili per far sentire la sua voce intransigente e non disposta a fare sconti ad alcuno: dall’inaugurazione dell’anno giudiziario, a convegni e a dibattiti, da chiunque organizzati, ad articoli su riviste e i giornali, fino al recente blog che sfruttava persino la telematica, quasi un controsenso per chi aveva sempre preferito la penna ai computer…
La sua voce esprimeva (“gridava” direbbe qualcuno, anche quando lo faceva con tono controllato e apparentemente pacato) ciò che pensava su Catania, sulla Sicilia, sull’Italia, e su chi dovrebbe guidare la cosa pubblica favorendo le fasce più disagiate, ed invece le lascia languire nella triste realtà che in tanti conoscono ma in pochi riescono a contrastare apertamente. Voce che se la prendeva senza mezze misure anche con le opposizioni e con chiunque tacesse di fronte a ciò che per lui era immorale tacere.
Precursore e prototipo degli “indignati” di tutto il mondo, contro il malgoverno e le sue fonti, contro ogni compromesso con la politica e gli altri poteri forti.
Resta il rimpianto di averlo aiutato poco ad incanalare in canali più produttivi la sua vis polemica e le sue invettive (ma non era facile questa “normalizzazione”, lo sa bene chi ci ha provato, quasi sempre inutilmente).
Resta il rimpianto di una di quelle persone che magari possono suscitare insofferenza quando ci sono, ma di cui si sente il bisogno quando non ci sono più.
Santo Di Nuovo
Riproponiamo l’intervista di Carmen La Sorella al TG2 RAI degli anni 90

Ecco come lo ricorda Riccardo Orioles

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