Università di Catania, lo statuto della discordia

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Dopo il ricorso al TAR del MIUR contro lo statuto dell’ateneo catanese, fortemente voluto da Recca, lo scontro all’interno dell’ Università ha subito un’ulteriore accelerazione. Il rettore e i docenti a lui più vicini, non ritenendo rilevanti le accuse di illegittimità, hanno deciso di portare velocemente avanti, secondo le nuove regole, il processo di applicazione della riforma.  Al contrario, coloro che avevano contestato il carattere antidemocratico dell’intero processo, rilevando l’illegittimità di molte norme, hanno invitato il rettore, in attesa che il Tar si pronunci almeno sulla sospensiva, a “fermare la corsa”, per evitare un successivo annullamento degli atti, che determinerebbe una situazione di caos, questa sì incompatibile con un futuro positivo dell’ateneo.
Ecco i dettagli del dibattito, con i documenti integrali allegati in PDF, e qualche considerazione finale

Il primo a farsi sentire, quando il ricorso del MIUR, già atteso, non era ancora stato formalizzato, è stato il preside di scienze politiche, Giuseppe Vecchio, forse non a caso anche aspirante futuro rettore.
E forse non a caso è intervenuto, subito dopo il ricorso, Giacomo Pignataro, anche lui aspirante rettore e attuale membro del CdA, al cui interno aveva già assunto una posizione critica verso l’eccessivo accentramento di potere nelle mani del rettore previsto dal nuovo Statuto.
Al di là della forma sempre molto garbata, le posizioni che emergono dalle due missive sono molto diverse.
Vecchio individua il nocciolo del problema non nella natura dello Statuto catanese ma nella difficoltà del Ministero stesso a “gestire un potere giuridico” i cui limiti non sono del tutto chiari. Difende lo Statuto dall’accusa di essere “accentratore” e “monocratico”, sia perchè approvato “da Organi accademici regolarmente eletti” sia perchè non esiste “una misura predeterminata e fissa della partecipazione”. Ogni università può esprimere quindi un proprio modello e non è necessario “impedire la formazione dei nuovi organi, la riorganizzazione della ricerca e della didattica, ….”. Nella sostanza, andiamo avanti, ignorando le critiche del Ministero.
Opposta la posizione assunta da Pignataro, che chiede di frenare la corsa alla attuazione dello statuto incriminato, in attesa che il Tar si pronunci almeno sulla sospensiva. E’ infatti ancora in corso l’approvazione di una serie di regolamenti (es. quello elettorale, quello sul funzionamento dei dipartimenti, etc) necessari all’applicazione dello statuto stesso. Se si considera che a breve ci sarà l’elezione del nuovo consiglio di amministrazione nonché quella del nuovo senato accademico, con la politica dell’andare avanti a tutti i costi, si rischia l’annullamento anche di questi atti. Accogliere le osservazioni del MIUR toglierebbe la materia del contendere e offrirebbe lo spunto per riconsiderare le questioni più gravi e giungere ad una nuova delibera.
Ma Recca da questo orecchio non ci sente, ritiene illegittimo il ricorso e preme il piede sull’acceleratore. Comunica al personale docente, tecnico-amministrativo e agli studenti che “si procederà a tutti gli adempimenti previsti dallo stesso, nel rispetto di quanto già programmato”. Secco e professionale. Le sbavature se le concede sulla mailing list del Coordinamento unico d’Ateneo. Rispondendo al professore Bellia che chiede cautela e prospetta il rischio di un annullamento, scrive infatti “se proprio dovesse essere contento di tale negativa evenienza per l’ateneo Le suggerisco di non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso”.
L’espressione è da tenere presente per capire il riferimento contenuto nell’intervento più duro apparso nel circuito, quello di Di Cataldo, preside “scaduto” della facoltà di Giurisprudenza, anch’essa “scaduta”, come egli stesso ironicamente precisa.
Secondo Di Cataldo, che dichiara di non vendere pelli, nè di orsi né di altri animali, la comunicazione arrivata dal Direttore Generale del Ministero non può definirsi una sorpresa, perchè i rilievi in essa contenuti coincidono in buona parte con i dubbi sollevati da alcuni esponenti del Senato accademico, tra cui proprio i “tre giuristi” in esso presenti, che avevano segnalato l’illegittimità di molte norme presenti nel testo del nuovo statuto.
Giudicando inopportuno “stare in trincea contro il governo”, Di Cataldo invita il rettore a non fare autogol. Gli ricorda, tra l’altro, che “esiste una regola non scritta secondo la quale ci si presenta al giudice a bocce ferme” e che il mancato rispetto di questa prassi rischia di aggravare la “situazione di illegittimità”. Gli suggerisce infine una via d’uscita. “Vai subito al Ministero, concorda una cessazione delle ostilità basata sull’azzeramento di questo statuto indecente, e riavvia dall’inizio il processo di redazione del nuovo statuto”.
Ma Recca non ci sta e risponde che “l’interlocuzione con il ministero” sarà riavviata dopo la decisione del TAR, sostenendo di avere il consenso della “stragrande maggioranza degli organi di governo”. Ed è vero, anche se non è detto abbia lo stesso consenso all’interno dell’Ateneo.
A suo favore si è espresso, per adesso, solo Bruno Caruso, docente di diritto del Lavoro, in una lettera, dai toni decisamente discutibili, rivolta a Di Cataldo, accusato di essere “ripiegato sul passato e incapace di proiettarsi nel futuro”, di abbracciare il più “vetero centralismo ministeriale”, abbandonando la difesa del’autonomia. E perchè poi? per andare contro l’attuale amministrazione, piegando i suoi principi alle battaglie tattiche e di interesse. Siamo alle accuse personali, e solo alla fine della missiva Caruso entra nel merito e, con toni molto retorici, spiega di essere favorevole a bruciare le tappe per evitare “una transizione lenta e infinita verso l’ignoto”, “riempire di contenuti la nuova scatola e rendere al più presto operativa la macchina per affrontare l’immane compito di rilancio dell’università italiana”.
Quasi tutta incentrata sul merito invece l’ultima lettera di questa serie, firmata da Vigneri insieme ad un gruppo di docenti e di amministrativi
Tra le questioni sollevate, alcune corrispondono a quelle evidenziate dai rilievi del Ministero:

  • la designazione -da parte del rettore- dei componenti del consiglio di amministrazione, l’organo che concentra i maggiori poteri decisionali, senza prevedere adeguati contrappesi istituzionali
  • la retribuzione da corrispondere al personale che collabora a prestazioni a favore di terzi

Ma vengono riportate all’attenzione anche questioni non segnalate dal MIUR

  • l’esclusione del personale tecnico-amministrativo da qualsiasi rappresentanza negli organi accademici
  • l’accentramento della gestione amministrativa dell’Ateneo (non è previsto personale amministrativo nei dipartimenti), con conseguente dispersione di “un patrimonio di competenze” e perdita di efficienza e tempestività.

Vengono inoltre segnalate alcune problematiche legate in particolare all’ex facoltà di Medicina, attribuita, nonostante la complessità del corso, ad un unico dipartimento. Con molta concretezza vengono citate le procedure “tortuose e defatiganti per l’assegnazione degli incarichi di insegnamento”, che rendono difficile il coordinamento con le diverse aziende sanitarie e il trasferimento (senza alcuna consultazione degli interessati) all’Azienda sanitaria Policlinico-Vittorio Emanuele del personale tecnico-amministrativo.
In chiusura, anche in questo caso, l’invito a sospendere “l’applicazione delle norme statutarie contestate e dei regolamenti che ne derivano”.
L’ultima parola, per adesso, è quella di Recca, diffusa all’interno di un’intervista pubblicata sulla Sicilia dell’altro ieri. Il rettore ribadisce di aver ignorato la richiesta di chiarimenti inviatagli dal Ministero, perchè non aveva la forma del decreto del Ministro e conferma di sentirsi dalla parte della ragione perchè i vizi di illegittimità non esistono

e le critiche a lui rivolte sono generate da bassi interessi di bottega, in primis l’aspirazione ad entrare nel nuovo consiglio di Amministrazione.
Sono molti in effetti, anche senza essere amici di Recca, a ritenere che i vizi di illegittimità siano poco rilevanti e che il ricorso sia stato determinato soprattutto da inadempienze di tipo procedurale (non è stato accolto l’invito a rivedere lo statuto, che poteva comunque essere mantenuto pressocchè uguale con una nuova delibera, dato che la legge lascia l’ultima parola all’Ateneo).
Resta il fatto che Recca vuole assolutamente andare avanti per arrivare all’elezione del nuovo CdA che sarà, sulla base del nuovo statuto, nominato da lui. Sia pure per breve tempo, prima della scadenza del mandato, egli sarà così il padrone indiscusso dell’università. Oltre a governare, potrebbe gestire anche alleanze e scambiare favori, gettando magari, chissà, le basi di una sua futura carriera politica.
Gli altri attori potranno continuare i loro giochi per posizionarsi nella corsa al rettorato, una scadenza molto importante, alla quale si preparano anche coloro che hanno osteggiato l’attuale statuto e che sperano in una decisione del TAR utile a bloccare la deriva antidemocratica che ha caratterizzato la “gestione Recca”.

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