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Questa l'Italia che frana

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Una delle maggiori criticità del dissesto idrogeologico italiano è rappresentata dall’urbanizzazione delle aree dove il fiume in caso di piena può espandersi liberamente.
Per sollecitare interventi e soluzioni rispetto a inadempienze o lentezze, ma allo stesso tempo per valorizzare il buon lavoro svolto da molte amministrazioni comunali, da nove anni, è stata realizzata unindagine su informazione e prevenzione del rischio idrogeologico.

A condurla Legambiente e il Dipartimento della Protezione Civile, attraverso un questionario inviato agli oltre 6000 Comuni nel cui territorio sono presenti aree a potenziale rischio idrogeologico più elevato. Ha risposto solo il 25% dei Comuni (rischi della autosomministrazione per contenere i costi).
Facendo esprimere le amministrazioni comunali sulla loro gestione del territorio (pianificazione urbanistica, interventi di delocalizzazione dalle aree a rischio, corretta manutenzione del territorio) e sulla redazione dei piani di emergenza (Organizzazione locale della protezione civile per garantire soccorsi tempestivi ed efficaci), si è voluto verificare l’effettiva realizzazione degli interventi e si è monitorato sia il livello attuale di rischio, sia le attività volte a mitigarlo.
Sulla base di tali parametri è stato assegnato a ogni Comune un voto (da 0 a 10).
“Se è impossibile pensare di impedire alla natura di fare il suo corso, è invece fondamentale operare concretamente per mitigare il rischio e limitare l’esposizione dei cittadini e i danni attesi in caso di calamità. L’eccessivo consumo di suolo, l’urbanizzazione diffusa e caotica, l’abusivismo edilizio, l’alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi, l’estrazione illegale di inerti, la cementificazione degli alvei e il disboscamento dei versanti collinari e montuosi contribuiscono infatti in maniera determinante a sconvolgere l’assetto idraulico del territorio, determinando un’amplificazione del rischio che interessa, in modi e forme diverse, praticamente tutto il territorio nazionale.”
E in Sicilia?
“In Sicilia – si legge su “L’Italia dissestata” di Mariangela Latella  – si registra un forte ritardo nel censimento del rischio idrogeologico. I dati dell’Ispra, aggiornati al 2003, ci dicono che i Comuni a rischio sono 272 per una superficie di 202 kmq. Ma la superficie ad elevata criticità passa a 833 kmq nel rapporto 2008 del ministero dell’Ambiente. Si tratta però di dati provvisori, come chiarito nello stesso documento perché la Sicilia è l’unica regione a non contare su cifre e mappe del rischio valide”.
E’ del luglio 2011 una convenzione, con durata triennale rinnovabile, tra la Protezione civile e l’Ordine dei geologi per la mappatura dei dissesti geomorfologici, l’individuazione dei punti critici e la compilazione di relative schede. Essa prevede un rimborso-spese forfettario di 200 euro al giorno per ogni geologo che dichiara la propria disponibilità all’Ordine dei geologi. Il finanziamento di 150.000 euro l’anno dovrebbe coprire, in media, 41 giornate di rilevazione per ognuno dei 2 geologi individuabili per provincia.
Su 272 Comuni hanno risposto al questionario solo 57, 1 su 5, un dato di poco inferiore alla media nazionale. Ma quel che è veramente sconfortante è che 48 hanno ricevuto un voto scarso. Figuriamoci chi non ha seguito neanche la buona prassi di rispondere al questionario. Solo 9 Comuni hanno ricevuto un voto oscillante fra 6 e 7, distribuiti in quasi tutte le province.
Forse dobbiamo attendere la prossima indagine per verificare quanto dichiarato dall’Assessore regionale al territorio e ambiente G. Sparma, che, a seguito delle critiche mosse da Legambiente, asserisce «Il governo della Regione sta affrontando la questione del dissesto idrogeologico, non solo come emergenza, ma anche in maniera strutturale. Dei 300 milioni di euro stanziati, metà dalla Regione e metà dallo Stato per l’intera Sicilia, 126 sono destinati alla provincia di Messina e gli interventi finalizzati sono in corso di approvazione, e alcuni già in fase di realizzazione»
Ma ci chiediamo: è compatibile con la “maniera strutturale” di affrontare la questione aver cercato (intento bloccato dal Commissario dello Stato) di stabilizzare 800 precari (ai quali va la nostra solidarietà, ma non al punto di creare canali di ingresso privilegiati nella P.A.), molti dei quali catalogatori dei beni culturali, assumendoli come “tecnici della Protezione civile, esperti di dissesto idrogeologico come di emergenza rifiuti” (vedi “La Regione Sicilia fa 1660 assunzioni”, su Repubblica) ?
Ritornando ai dati nazionali purtroppo non si nota una seria inversione di tendenza nella gestione del territorio: solo “il 4% dei comuni italiani intervistati ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo… l’11% dei comuni intervistati ha affermato di aver provveduto al ripristino e alla rinaturalizzazione delle aree di espansione naturale dei corsi d’acqua e solo nel 9% dei casi di aver riaperto tratti tombinati o intubati dei corsi d’acqua. Da notare, inoltre, che solo nel 6% dei comuni oggetto dell’indagine si è provveduto al rimboschimento di versanti montuosi e collinari franosi o instabili.
Ci auguriamo che i “12 milioni e 756 mila euro per gli 11 interventi in Sicilia”, stanziati dallo Stato (vedi “Via libera dal Cipe ai fondi per il dissesto idrogeologico nelle Regioni del sud” di P. Caridi su Meteoweb) siano utilizzati per raggiungere quantomeno la sufficienza alla prossima indagine.

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Per saperne di più:
Le mappe interattive del rischio idrogeologico del CNR consultabili on line
Il dissesto idrogeologico. Le cause umane di frane e alluvioni. I casi del messinese
Sistema informativo sulle catastrofi idrogeologiche
Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche
 
 

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