La Catania delle lumache

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Ancora un altro splendido racconto di Giovanni Sciolto, bello, purtroppo, quanto vero, pubblicato sul suo blog Il ghetto dei fenicotteri.  Sono testimonianze della sua condivisione con la Catania degli “ultimi”, quelli che vivono nella nostra città ma che noi non vediamo o, forse, non vogliamo vedere.
Fissando la sua enorme cicatrice sul costato, non posso fare a meno di ricordare quando, pur di non sporcare i sedili della mia auto, apriva lo sportello e vomitava l’anima.
Sono passati quasi tre anni, ormai, da quella mattina in cui portai D. all’ospedale, ubriaco e consunto, mentre immerso nel vomito mi ripeteva che non avrebbe più bevuto. Oggi, D. è un uomo distrutto da sé stesso, non ha un polmone, beve ancora, piange, minaccia e piange di nuovo. E’ il risultato di una vita condotta nella precarietà esistenziale, tra le braccia di un avvocato catanese che del suo corpo si era innamorato e a cui, lui, ha rubato tanto fino a farsi buttare fuori di casa per tornare lì da dov’era venuto: la strada. Sono tanti, gli uomini catanesi che vivono la loro omosessualità nell’anonimato e rifugiandosi in situazioni ai limiti del narrabile. E sono tanti, i giovani stranieri senzatetto che non trovano, o non vogliono trovare, altra soluzione che non sia quella di prostituirsi al porto o nei cinema erotici per guadagnare i soldi che spenderanno, poi, in alcool e droghe. E’ un circolo vizioso. Gli interstizi urbani sono lo specchio di una società moralista, giustizialista e omofoba che, incrociando la complessità dell’essere umano, distrugge le luci più fioche lasciando spazio a un’emotività clandestina e masochista.
Quella era una delle mie prime mattine da volontario al Centro Astalli: mi sentivo onnipotente, credevo che il mondo non potesse fare a meno del mio impegno e che il mio impegno bastasse ad aiutare chi ne avesse bisogno. Ogni giorno alle otto, a volte pure prima, ero alla stazione, “o passiaturi”, all’Help Center. Mi sentivo parte integrante di un mondo fatto d’asfalto, alcool e sangue. Girovagavo per addentrarmi tra le trame fitte di quella che, da subito, ribattezzai “la Catania delle lumache”, di coloro che la casa se la portano dietro e non corrono, non vanno, non arrivano.
Sapevo che avrei dovuto studiare, che questo o quell’esame mi aspettavano e che non avrei potuto raccontare dei denti distrutti e neri dei vecchi tunisini o delle ulcere gastriche di Mario, ai professori. Trovavo, molto egoisticamente, gratificanti e utili le giornate che passavo per strada e al Centro Astalli; mi immergevo nella realtà di cui sentivo parlare, ma che fino ad allora non ero riuscito a comprendere dall’interno. I video porno “contrabbandati” dai giovani africani, appena sbarcati dalla Libia, mi divertivano. L’approccio alla pornografia attraverso i videofonini era una caratteristica diffusa tra nuovi arrivati. Al Centro, poi, era vietato introdurre l’alcool; in realtà c’era sempre un gruppo di “dissidenti” che, aspettando la doccia, tirava fuori improbabili bottiglie di Coca Cola da buste sgualcite. Facevo finta di non accorgermi del fatto che fossero riempite di vino e, a volte, li proteggevo maldestramente dagli occhi indagatori del resto dei volontari.
La sera, quando rientravo vigliaccamente nei panni del giovane catanese medio-borghese, mi piaceva fare il giro dei parcheggi e salutare i miei amici della “Catania delle lumache”, prima di andare a sedermi su una delle comode sedie dei locali del centro.
Una sera, invece, la ricordo con un alone di tristezza.
Sullo spiazzo davanti l’ Help Center, all’inizio del Viale Africa, quella sera la cena aveva un sapore più sportivo del solito. Di lì a poco il Ghana avrebbe affrontato l’ Uruguay. Erano i quarti di finale dei mondiali di calcio, i primi sul suolo africano ed i ragazzi terribili di Rajevac avevano gli occhi di tutto il mondo puntati addosso.
L’ orgoglio africano trovava una romantica valvola di sfogo nelle magie e nello spirito di abnegazione di Asamoah e compagni. Daou e Bakari ero eccitatissimi all’ idea che una squadra africana giocasse le semifinali del Campionato del Mondo di calcio. L’ ultimo scoglio restava l’ Uruguay di Tabarez e Cavani. Mangiai con loro una decente pasta con i piselli e ci accordammo. Sarebbero andati a pregare in moschea e mi avrebbero raggiunto davanti agli schermi della Snai di via S. Giuliano, quasi di fronte il frequentatissimo Barrique. Non era la prima partita che guardavo lì. Mi colpiva moltissimo la presenza di anziani uomini che, tra bestemmie e imprecazioni, maledicevano le squadre che gli “appizzaunu i bulletti”, le schedine giocate poco prima. Il siparietto che mi si prospettava era divertente! Due signori catanesi avevano preparato due poltrone in prima fila utilizzando degli scatoloni scartati dal negozio accanto e rimproveravano con toni coloriti i ragazzi maghrebini che si attaccavano agli schermi: “Mbare, leviti!!”.
Accesi una sigaretta e mi sistemai, in piedi, accanto a Gianfranco, un omino catanese che avevo conosciuto, una mattina, al Centro Astalli. Poco dopo arrivarono Daou e gli altri. La partita andò male, il Ghana venne sconfitto ai rigori e il ritorno al Palazzo delle Poste fu abbastanza triste. Tra i ragazzi di quella sera c’era anche Sogodogo, un giovane maliano che aveva deciso di insegnarmi il Bambara. Eravamo compatti e io mi sentivo, in maniera estremamente infantile, parte di quel gruppo di Africani la cui cultura e tradizioni mi affascinavano tanto. Fu una delle ultime sere insieme. I ragazzi partirono per le campagne del Sud Italia, io tornai alle mie materie, ai miei esami. Una mattina mi svegliai e venni informato di questo:
http://www.daunianews.it/cronaca/45-primo-piano/2651-ordona-identificato-giovane-annegato-ieri-in-un-vascone.html
Piansi di rabbia. Nei giorni precedenti avevo provato a contattarlo insieme con Riccardo, il suo avvocato. Sogodogo aveva appena ricevuto l’ok per l’ottenimento del rifugio politico, ma morì prima di saperlo, convinto di trovarsi ancora in equilibrio tra l’esserci e il fare finta di non esserci, nella bella Italia.

3 Comments

  1. giò (così ti chiamiamo al centro astalli) conosco da tempo la tua straordinaria capacità di empatia e com-mozione e la tua generosità .
    quando sei stato fuori per i tuoi studi,ci sei mancato tanto e soprattutto sei mancato a tutti i ragazzi che chiedono sempre di te.ti vogliamo tanto bene.
    elvira

  2. Grazie Giovanni……………..ricordo D. la sua storia, la sua vita…….grazie per quello che scrivi e come lo scrivi.
    Grazie!

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