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Catania, quando il calcio è antirazzista

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Piazza Carlo Alberto, Catania, un luogo multirazziale per eccellenza, dove dal 24 al 27 luglio si è tenuta l’edizione 2012 del torneo di calcio a 5 antirazzista promosso da Arci, Cpo Experia, Gapa, Rete Antirazzista Catanese, Collettivo Aleph.
12 le squadre partecipanti, con atleti provenienti da ogni parte del mondo. Quest’anno il torneo è stato dedicato a Mahmoud Sarsak, calciatore venticinquenne della nazionale palestinese, da pochi giorni nuovamente in libertà dopo essere stato prigioniero nelle carceri israeliane per ben tre anni senza alcuna motivazione reale, a parte quella di essere orgogliosamente palestinese. Libertà conquistata dopo uno sciopero della fame durato 92 giorni.
Come hanno scritto gli organizzatori “Gli incontri di calcio si [sono alternati] a momenti di solidarietà e di sensibilizzazione verso la condizione dei migranti e delle politiche repressive che governi di centrodestra e centrosinistra portano avanti da anni nei loro confronti, incentivando misure di sfruttamento estremo imposte da padroni senza scrupoli, con la scusa della crisi. Il Cara di Mineo è il vergognoso esempio delle politiche segregazioniste e clientelari messe in atto per giustificare il megabusiness della pseudo-accoglienza”.
Particolarmente significativa, perciò, la partecipazione di una rappresentativa composta da migranti che vivono nel Cara di Mineo. Non solo perché c’erano giocatori provenienti da tanti paesi Africani, ma anche perché hanno messo in luce particolari doti tecniche e tattiche. Tanto che tra il pubblico presente si è sparsa la voce della presenza, in questo team, di giocatori professionisti costretti, evidentemente, ad abbandonare insieme al loro Paese anche la possibilità di affermarsi nel mondo del calcio.
Non solo calcio, in questi giorni, ma anche dibattiti, teatro interculturale e musica. Coerentemente con gli obiettivi dell’iniziativa, il ricavato sarà devoluto al centro di aggregazione e recupero giovanile IBDA del campo profughi di Betlemme.
Slideshow

image credits: Alberta Dionisi

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