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Il Cappio, la mafia e gli appalti pilotati

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In tempi di crisi come il nostro, quando le attività imprenditoriali languono e i lavoratori perdono il posto, può essere importante rileggere quello che hanno scritto sull’economia mafiosa il magistrato Maurizio De Lucia e il giornalista Enrico Bellavia nel loro libro “Il cappio”.
Pubblicato nel 2009, il testo affronta soprattutto il tema del pizzo e, sulla base di documenti provenienti da indagini, collaborazioni e sentenze, ne ricostruisce caratteristiche e modalità. Ma affronta anche altre questioni relative alla presenza della mafia sul nostro territorio, una presenza che ha di fatto impedito lo sviluppo dell’isola.
Ci proponiamo di riproporre, in più riprese, alcuni stralci di questo libro, sicuramente interessante e, per molti versi, ancora attuale.
In uno dei capitoli finali (“Politici e burocrati”) gli autori evidenziano come nell’intento di realizzare il loro fine fondamentale, fare soldi, i mafiosi abbiano bisogno dei politici, ma anche degli amministratori.
“I politici più sofisticati i patti con Cosa Nostra li fanno in stanze di compensazione, una delle quali indubbiamente è quella dell’imprenditoria. L’imprenditoria, soprattutto quella siciliana, è ancora , fatte salve alcune eccezioni […], quantitativamente legata alla mano pubblica, agli appalti pubblici e soprattutto alle commesse, ma non alle commesse di elevata tecnologia, che da sole escluderebbero o ridurrebbero di molto il ruolo di Cosa Nostra, perchè se si fanno discorsi relativi alle fibre ottiche è molto difficile che Cosa Nostra abbia imprese da impiegare in questo campo. Ma se si fanno discorsi sul movimento terra, sulla cementificazione, quello è il terreno da sempre di Cosa Nostra, dove essa gioca un ruolo assolutamente prioritario.”
Per gestire gli appalti è essenziale il ruolo dei funzionari pubblici, nelle cui mani sono concentrati i passaggi amministrativi necessari a realizzare la struttura che rientra negli interessi mafiosi.

Maurizio De Lucia

“Basti pensare alle resistenze incontrate da un funzionario integerrimo come Filippo Basile, capo del personale dell’assessorato all’Agricoltura, intenzionato a far licenziare un dipendente corrotto che era stato condannato. Ebbene, le pratiche per il licenziamento furono evase soltanto quando il funzionario da cacciare, Nino Spirio, aveva già fatto uccidere Basile.”
Spirio in realtà era un mafioso sui generis, che aveva organizzato una propria cosca personale e assoldato sicari pronti a sparare per lui. In genere “Cosa Nostra preferisce la corruzione a forme di pressione più violente”. L’adescamento e la corruzione sono infatti circondati dal silenzio e molto più difficili da scoprire e da provare. “Inoltre nasce un legame utile e ‘gentile’ tra l’organizzazione mafiosa corruttrice e il pubblico funzionario corrotto, legame che non si esaurirà quasi mai in una sola dazione di denaro ma è destinato a durare nel tempo
“E anche quando i Comuni vengono sciolti per infiltrazione mafiosa, spesso gli apparati rimangono intatti.” Il politico cambia, ma la struttura amministrativa, l’ufficio tecnico che gestisce gli appalti, rimane e Cosa Nostra conserva il controllo del Comune.
Si possono così -ad esempio- aprire le buste delle gare e ritoccare le percentuali per sbaragliare la concorrenza oppure traccheggiare sui piani regolatori per rendere possibili speculazioni e cementificazioni selvagge.
In casi di ristagno economico Cosa Nostra cerca di controllare i fondi pubblici per il rilancio dell’economia. Nel testo di
Enrico Bellavia

Bellavia e De Lucia si fa riferimento in particolare alla legge 488 del 1992 che prevede contributi a fondo perduto per l’industria, i servizi , il turismo, l’artigianato e il commercio nelle zone depresse del Paese. Indagini e processi hanno rivelato “tutta una serie di sistemi attraverso i quali, con la complicità di tecnici particolarmente esperti del settore, la criminalità organizzata riesce a intervenire nelle scelte di erogazione delle risorse ex legge 488 e ad appropriarsene. […] Il risultato è visibile ad occhio nudo: scheletri di alberghi, distese di ville al posto di insediamenti produttivi, capannoni affacciati sul nulla.”
Attraverso il reperimento di garanzie false, la duplicazione delle fideiussioni bancarie e delle lettere di credenziali (necessarie per ottenere i finanziamenti), oppure attraverso la vendita a società inesistenti, la criminalità organizzata lucra senza sparare. Si serve di funzionari a cui viene raccomandato di “distrarsi”, di non fare controlli incrociati tra una pratica e l’altra. E viene agevolata dal mancato controllo del risultato effettivamente realizzato con i fondi erogati.
Secondo i dati di Confindustria Sicilia, il Pil pro capite della Sicilia è diminuito dal 1995 al 2005, nonostante i fondi strutturali erogati con i programmi 1994-1999 e 2000-2006. Sul periodo successivo al 2009, anno di pubblicazione del libro, gli autori scrivono “C’è da augurarsi correttivi significativi in vista dell’utilizzo di 6,5 miliardi di euro del fondo europeo di sviluppo regionale per il periodo 2007-2013”.
Un augurio purtroppo rimasto insoddisfatto, “tanto più che con il dimezzamento dei termini di prescrizione in caso di truffa, basta resistere sette anni e mezzo e il gioco può dirsi riuscito senza intoppi”.

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