Femminicidi mafiosi

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Che i mafiosi non uccidano donne e bambini è una leggenda metropolitana. E’ una bugia bella e buona. Anzi, brutta e cattiva come la ferocia e la violenza esercitate contro chi è fisicamente più debole. La mafia ha ucciso donne e ragazzi da sempre. I ragazzi: da Giuseppe Letizia, ucciso a 13 anni perché testimone involontario dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto a Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido per punire il padre che collaborava con la giustizia. E poi ci sono le donne, anch’esse tante, troppe. Ora le ricorda un dossier dell’Associazione Dasud, scritto da Irene Cortese, Sara Di Bella e Cinzia Paollillo; da una delle prime, assassinata nel 1896, alle ultime di pochi mesi fa, sono almeno 150. La pubblicazione si intitola “Sdisonorate”.
Un titolo singolare il cui significato ha spiegato così Cinzia Paolillo ad Affaritaliani.it :”Disonorate è un aggettivo usato spesso al Sud, anche in chiave scherzosa, per definire per esempio una bambina discola, disonesta. Noi l’abbiamo scelto per indicare le donne uccise dagli uomini d’onore e la “S” davanti sta ad indicare il recupero di quell’onore perduto”. Sono tutte morte per mano mafiosa, uccise o “suicidate”, per essersi ribellate al sistema, o per essere il target di precise vendette, o i bersagli inconsapevoli della violenza, o ancora solamente per essere state al posto sbagliato nel momento sbagliato.
La ricerca non vuol essere esaustiva -dice Dasud-  ma vuole porre l’attenzione su un tema troppo “difficile e contraddittorio” come quello del rapporto tra donne e mafia. “Il dossier serve innanzitutto a sfatare un’assurda credenza: che i clan in virtù di un presunto codice d’onore non uccidono le donne. La storia dimostra il contrario: le donne – innocenti o dissidenti o senza la forza di uscire dal giogo mafioso – uccise dalle mafie sono più di 150. Sono morte per l’impegno politico, sono rimaste vittime di delitti d’onore, sono state suicidate, sono state oggetto di vendette trasversali, sono morte per un accidente, sono rimaste incastrate dentro una situazione familiare e mafiosa da cui non sono riuscite a uscire. Le abbiamo tenute insieme perché sono tutte morti riconducibili ad una causa originaria: il sistema criminale e socio-culturale delle mafie”.
Sono racconti di poche righe in ordine cronologico che tuttavia ridanno visibilità alle vittime. Ci sono storie più note come quella di Lea Garofalo che testimoniò sulle faide interne alla sua famiglia, di Rita Atria che trova in Borsellino un padre dopo che la mafia le ha ucciso il suo, di Silvia Ruotolo e di Annalisa Durante -quest’ultima ha solo 14 anni- finite per caso dentro agguati della Camorra. Graziella Campagna, aveva 17 anni quando fu uccisa a colpi di lupara perché nella tintoria dove lavorava era finita un’agenda con i recapiti del boss latitante Gerlando Alberti, rimasta nella tasca della camicia sporca di un affiliato. Annalisa Isaia, 20 anni, fu uccisa nel 1998 a Catania, con due colpi di pistola alla nuca, dallo zio che non approvava le sue frequentazioni: novella Giulietta frequentava i ragazzi del clan rivale.
Valentina Terracciano, morta nel 2000 a due anni, a Pollena Trocchia in provincia di Napoli. Ma l’obbiettivo dei killer era il padre. Emanuela Sansone, 17 anni, vittima nel 1896 di una vendetta trasversale a Palermo: la madre era sospettata di aver denunciato alla polizia una banda di falsari.
Ma l’Associazione Dasud si occupa anche di altre donne, di quelle che acquistano potere all’interno dei clan o delle altre che, al contrario, rifiutano e si oppongono a quel sistema. La ricerca ha tenuto conto innanzitutto della lista di vittime di Libera. E’ stato poi consultato il libro “Dimenticati” di Danilo Chirico e Alessio Magro. Infine è stata la volta del Web e dei giornali.
“Molte storie certamente ci saranno sfuggite”, ammette l’associazione Dasud che invita quindi tutti “a completare il lavoro iniziato”. “Sdisonorate” si arricchisce anche di alcuni contributi e interviste, a Rita Borsellino e  ad Angela Napoli, politiche impegnate sul fronte antimafia, e alla giornalista Amalia De Simone. A Viviana Matrangola, giovane donna impegnata nell’associazionismo antimafia, è stato chiesto un ricordo della madre, Renata Fonte, uccisa nel 1984.

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