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Catania – Zimbabwe, solidarietà al femminile

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Ospedale “Luisa Guidotti”, Mutoko, Zimbabwe. E’ qui che hanno lavorato, per diversi mesi, Chiara Frasca e Alessia Prezzavento, due giovani infettivologhe. In questo ospedale la LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS) di Catania sviluppa il progetto Susy Costanzo: Adotta la terapia di una donna africana.
Un progetto finalizzato alla raccolta dei fondi necessari a garantire la terapia antiretrovirale alle donne con infezione da HIV, inserite nel protocollo di prevenzione della trasmissione materno infantile del virus HIV. Uun progetto che vive, anche, grazie al contributo volontario di medici e personale sanitario disponibili a collaborare concretamente, trasferendosi periodicamente in Africa.
Con Chiara e Alessia, da poco tornate a Catania, proviamo a fare un bilancio della loro esperienza, che non nasce soltanto da motivazioni professionali (le malattie infettive), né dall’impegno sviluppato a Catania fra gli immigrati.
Proprio perché si tratta di un’esperienza decisamente più complessa e dalle tante sfaccettature, preliminarmente si rifiutano di parlare di Africa, perché “generalizzare significa banalizzare”, infatti, come scrive R. Kapuscinski, “l’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere.
È un vero e proprio oceano, un pianeta a parte, un cosmo eterogeneo e ricchissimo. È solo per semplificare, per comodità, che lo chiamiamo Africa. In realtà, a parte la sua denominazione geografica, l’Africa non esiste”.
Più che ragionare sulle loro motivazioni e aspettative, proviamo perciò a riannodare i tanti fili dell’esperienza.
Innanzitutto l’impatto con la capitale (Harare) “strade larghe e sommerse dalle jacarande, stile coloniale decadente, traffico nelle ore di punta, mercatini a cielo aperto ovunque. Diversi locali e purtroppo diversi centri commerciali”.
Quindi il trasferimento alla volta di Mutoko percorrendo strade che ai loro lati lasciano intravedere grandi spazi senza confini all’interno dei quali sorgono i villaggi, alcuni distanti da qualsiasi punto di ritrovo, scuole, ospedali.
Infine, l’arrivo al Guidotti, un ospedale rurale, collocato all’interno di un compound, fatto di case tutte uguali, che, comunque, garantisce un’accettabile sicurezza ai suoi abitanti.
Innanzitutto hanno dovuto fare i conti con un altro modo di concepire la salute (ricordiamo che il sistema sanitario è a pagamento), sia rispetto ai mezzi a disposizione, che all’idea stessa di cura.
“Uomini forti sebbene feriti o anemici, uomini lasciati stare al loro destino perché malati di aids, ostili ad un possibile ricovero perché troppo costoso, donne in silenzio lungo i corridoi del reparto pediatrico mentre si cerca di affrontare un’emergenza”.
Emergenze rese ancor più complicate perché spesso chi ne ha bisogno arriva in ambulatorio dopo che la malattia ha già in gran parte prodotto i suoi effetti. Perché si lavora in una struttura dove occorre essere pronti a confrontarsi continuamente con imprevisti e cambiamenti. Dove il personale infermieristico deve spesso farsi carico del numero ridotto di medici presenti.
Insomma, “in un Paese dove la povertà è epidemica, in una provincia in cui si vive con pochi dollari, in un distretto in cui chi lavora sostenta tutti i familiari in difficoltà, in un ospedale in cui le reti dei letti diventano cancelli non potevamo che adeguarci e guardare con occhi nuovi ogni cosa.
Così quando finisce lo yogurt non puoi che pensare che potrebbe diventare un magnifico porta zucchero da tavola, un beauty per il bagno, un porta pillole, porta aglio, porta peperoncini… un bicchiere rotto opportunamente decorato un porta penne, i vassoi di polistirolo dei fagiolini dei porta sapone o dei poggia posate…e questa casa è più bella che se l’avessimo arredata kartell”.
Un nuovo sguardo che ti riporta all’essenza delle cose, ti spoglia del superfluo, ma non ti fa trattenere la rabbia quando ti senti impotente di fronte a situazioni cliniche che altrove sarebbero ‘normale amministrazione’, perché è insopportabile che tutti non possano avere uguali opportunità.

1 Comment

  1. Abbiamo avuto per anni la gioia e il privilegio di avere Chiara come volontaria nel nostro ambulatorio.
    Siamo davvero felici che l’esperienza maturata con gli immigrati incida sempre più spesso nelle grandi scelte della vita, come è già accaduto a Valentina Mazzeo,a Giovanni Sciolto e a tanti altri giovani che hanno deciso di difendere i diritti degli ultimi dopo avere ascoltato le loro storie, i motivi delle loro fughe e avere constatato l’inadeguatezza di un sistema di accoglienza che non garantisce alcuna dignità.
    Centro Astalli

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