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Post mortem, ascesa e caduta di Delfo Torrisi

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Ascesa e caduta di Delfo Torrisi. L’ascesa sociale, grazie al suo olfatto, fino alla direzione dell’Istituto di medicina legale di Catania, la caduta per la sua carica sessuale selvaggia e irrefrenabile, condanna più che scelta. Eros e thanatos si intrecciano, come in altre opere di Nino Romeo, anche nel monologo Post Mortem, messo in scena nei giorni scorsi al teatro Brancati di Catania.
E’ un pugno nello stomaco questo testo teatrale tratto da una novella dello stesso Romeo, catanese, drammaturgo, regista e attore di grande talento, animatore del gruppo Iarba, conosciuto a Parigi purtroppo più che a Catania.
Post mortem è il ritratto di un uomo spregevole, ripugnante ma anche capace di indulgere a tenerezza, di toccare tasti di profonda umanità e poesia.
Delfo Torrisi è seduto dietro un tavolo; davanti a lui bottiglie di acquavite e gin e tanti bicchieri che egli manovra come scacchi, dopo lo scacco matto che la vita gli ha dato, facendolo rotolare giù nel baratro. Beve senza interruzioni e senza interruzioni racconta la sua vita, da figlio di netturbino a studente di medicina e poi dirigente dell’istituto di medicina legale.
A contatto con le miserie della morte, viscere e sangue, che Delfo annusa senza turbarsi, riuscendo a “smascherare” i cadaveri, a capire tutto di loro senza ricorrere né a bisturi né a pinze e forbici o prima di ricorrere agli strumenti.
Accanto a questo particolare fiuto, nel dna di Delfo e sempre ereditato dai suoi avi, c’è anche, stimolato proprio dalla dissezione, dai corpi squartati, dal sangue, un dirompente e impellente appetito sessuale. Fino a quando si trova davanti a un corpo speciale, non uno qualunque, un corpo che è parte di sé, della sua stessa carne.
Un racconto forte e sanguigno rafforzato da un dialetto catanese arcaico ma ricercato, barocco, ridondante e ricchissimo. Una lingua -sì lingua- creata da Romeo dopo lunghe e appassionate ricerche.  “…qui la parola, – dice il regista Pippo Di Marca – che ha una cadenza antica, da lingua dei padri, mi sembra possieda la densità vischiosa  di un fiume, e scorra inesorabile, a volte impennandosi in cascate irridenti, altre bloccandosi in calmi abissi senza tempo, trascinando con sé gli umori, le fobie, gli eccessi sia del protagonista sia della folla  di personaggi che è testimone della sua  piccola grande odissea di uomo senza qualità.
E del resto in questo densissimo impasto verbale, in questo grumo ora doloroso ora grottesco,  ora rappreso ora fluido, si possono ritrovare motivi e temi già sedimentati nella storia della cultura siciliana, con echi di Brancati, di Pirandello, di Verga; e più indietro persino della ‘grecità’, quell’idea ‘tragica’ e infame del destino, dove chissà, forse, già s’annidava il nostro ‘fatalismo’”.
Ed ecco come lo stesso Romeo ha spiegato a www.dramma.it la funzione drammaturgica che assegna alla sua lingua.
“Tradizione e tradimento provengono entrambi da tradere. La lingua che uso è lingua di memoria: memoria uditiva, memoria traslata (anche attraverso mio padre, alla cui sapienza linguistica ho dedicato la pubblicazione della novella); memoria letteraria (l’amato Domenico Tempio e il grande serbatoio linguistico e narrativo di Giuseppe Pitrè). Ma ciò che mi interessa restituire al mio interlocutore, lettore o spettatore, è la personale violazione, manipolazione della mia memoria: il tradimento della tradizione. Da regista, da attore, il mio impegno costante è che questa lingua diventi segno e struttura della scena, poiché da autore essa è nata come parte necessaria del progetto teatrale che la incarna.
La lingua di scrittura e di traduzione orale è dunque costrutto dell’inscenamento e della conseguente comunicazione con l’interlocutore –lo spettatore-. […] E’ questo, certamente, un terreno accidentato, che presuppone uno spettatore né acquiescente né consenziente ma polemico (in lotta) con il materiale che gli scorre davanti: pretende dunque uno spettatore che mette in moto sistemi percettivi altri rispetto a quelli consueti. Ma è proprio questo il ruolo che io -come altri- assegno al teatro se concepito nella sua funzione comunicativa progressiva e contemporanea”.
Post Mortem nacque come novella nel 2000 quando Giacomo Thiers, direttore della Biennale delle Isole del Mediterraneo, invitò Nino Romeo a scrivere un racconto per il premio che ha sede in Corsica, presso l’Università di Corte. L’anno dopo la novella fu pubblicata con traduzione in corso e in francese. Successivamente da “Prova d’autore” con testo in italiano a fronte.

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