Il suo motto era: “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio” e ancora “La forza dell’uomo civile è la legge, quella del bruto e del mafioso la violenza fisica e morale”. Tra i numerosi sindacalisti (almeno 36) uccisi in Sicilia tra il 1945 e il 1947 c’è Accursio Miraglia, segretario della Camera del lavoro di Sciacca, da lui stesso fondata.
Fu anche organizzatore della cooperativa “La Madre Terra” che si batteva per l’assegnazione ai contadini delle terre incolte dei latifondi, secondo quanto stabilito dalla legge Gullo-Segni. Di lui si è occupato lo scrittore e chirurgo palermitano Eduardo Rebulla nel libro “Le conseguenze estreme”, edito da Baldini e Castoldi.
Il libro si apre sulla sera dell’omicidio, quando il Miraglia, che nel testo assume il cognome di Ramirez, è in compagnia di due amici. Li saluterà poco prima di arrivare sotto casa, dove i killer lo aspettano per farlo fuori.
In occasione della presentazione del libro, alla Feltrinelli di Catania, il giornalista Nicola Savoca ha posto delle stimolanti domande all’autore presente in sala.
Per prima cosa gli ha chiesto perchè si fosse interessato a questo caso . “Era uno zio di mia madre-ha risposto lo scrittore- di cui in casa c’era un ritratto, con una lampada votiva sempre accesa: sono stato abituato al rispetto di questa persona considerata come un martire.”
Accursio Miraglia è tra le prime vittime dei delitti di mafia, due volte vittima perché ucciso anche dalla vittoria della menzogna e quindi dalla sconfitta della verità. Dopo il delitto, infatti, nonostante la confessione resa davanti al commissario e ai secondini e solo dopo un breve periodo di detenzione, i rei confessi ritrattano dicendo di aver subito torture dal commissario di polizia.
Si apre quindi un’inchiesta sul conto del poliziotto. Mentre gli assassini sono liberi, è il commissario ad avere la peggio: trasferito in Calabria e morto-o forse ucciso- dopo due anni. Solo sei anni dopo sarà riabilitato e riconosciuto innocente.
Allora fu solo il Partito Comunista a chiedere la riapertura del caso Miraglia, ma a quel tempo nessuno ascoltava i comunisti; la D. C. trionfava e non era il caso di scendere in campo per difendere dei contadini, poco politicizzabili e comunque ostili al potere.
A chi si è ispirato l’autore per il personaggio del nipote Peppino che, nel libro, appare come il prototipo del Siciliano? ” A mio padre” – ha risposto Rebulla-”Un aviatore che, dopo la guerra, s’iscrisse al PC; conosceva bene la vicenda di Miraglia e avrebbe potuto raccoglierne l’eredità, ma aveva già ricevuto degli avvertimenti, gli erano nati due figli, preferì andarsene da Sciacca: era umano non un eroe”.
Lo scrittore sostiene infatti che non è vero, come si legge, che “le idee di Falcone e Borsellino camminano sulle nostre gambe” perchè solo uomini come loro potranno attuarle. Oggi la
“conduzione sistemica” è la reticenza per paura e questo avviene non solo in Sicilia ma in tutta Italia e in tutti i campi: politico, giornalistico, giudiziario.
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