Ancora sui fantasmi di Porto Palo e sul naufragio negato

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barconi immigrati
A quasi venti anni di distanza “i fantasmi di Porto Palo”, ovvero centinaia di migranti morti, tra il 25 e il 26 dicembre del 1996, nel siracusano, dei quali, per anni, fu negata l’esistenza, grazie all’iniziativa 1.200 kilometri in bici sono tornati al centro delle cronache, con una precisa richiesta alle istituzioni europee: attivarsi per il recupero del relitto.
A rompere, per primi, la cortina di complice silenzio su ciò che accadde allora furono le organizzzioni antirazziste, che denunciarono questa ennesima tragica vicenda come frutto “naturale” del business dell’immigrazione clandestina e della conseguente tratta dei nuovi schiavi nel Mediterraneo.
Un quadro tremendamente attuale, visto ciò che avviene quotidianamente nel nostro mare e di fronte alle nostre coste.
Per primo iniziò Dino Frisullo con un articolo, ‘Buon Natale, clandestino‘, pubblicato su Narcomafie, nel settembre del 1997, cui seguirono altre inchieste e investigazioni.
Dino, morto nel 2003, viene così ricordato da Annamaria Rivera “militante antirazzista e pacifista, giornalista e scrittore, poeta e intellettuale poliglotta, appassionato difensore dei diritti dei migranti, dei rifugiati, dei rom, dei palestinesi, dei curdi e di altre minoranze oppresse“.
Proporre una sintesi di quell’articolo ci sembra utile per ricostruire e far conoscere meglio quella vicenda, ma ci sembra, anche, una positiva dimostrazione dei risultati che si possono ottenere quando non ci si accontenta delle “comode verità ufficiali”. Quando si sceglie da che parte stare.
Scrisssero Alessia Montuori e Alfonso Di Stefano su Guerre&Pace n.111, in occasione del primo anniversario della scomparsa di Frisullo: “Avete provato a mettervi dalla parte di chi cerca di arrivare clandestinamente via mare nella fortezza Europa? Dino Frisullo l’ha fatto. Il dossier che ricostruisce la tragedia del naufragio avvenuto nel canale di Sicilia il 26 dicembre 1996, da lui scritto e costato mesi di indagini “parallele” dà voce a chi ha rischiato la vita e parla, fa i nomi di trafficanti turchi, greci, maltesi, asiatici, e delle coperture che godono da parte di autorità portuali greche, turche, italiane,chiedendo di portarli in giudizio e restituire un po’ di giustizia alle vittime”.

Di nave in nave

Lasciamo la parola a Frisullo: barconi immigratiDuecentottantanove persone annegate: uno dei naufragi più gravi della storia del Mediterraneo. La testimonianza resa il 16 luglio scorso alla Procura di Reggio Calabria da Shakoor Ahmad, 25 anni, pakistano, uno dei pochi superstiti, conferma le versioni raccolte dalla polizia greca e le inchieste svolte in solitudine da Zabibullah Basha, padre e zio di due vittime pakistane, e dai giornalisti Livio Quagliata (Il Manifesto), Jesmond Bonello (Malta Indipendente), Pucio Corona (Tgsette), Teijnder Singh (Link Canada), John Hooper (The Observer), Panos Sobolos (Ethnos).
[Un gruppo di 15 pakistani viene condotto da un’esponente dell’organizzazione che cura “la traversata” dal Cairo] ad Alessandria d’Egitto, si imbarcano sulla prima nave di una lunga serie, la Friendship. Bandiera panamense, capitano greco, equipaggio russo. Qui trovano centinaia di cingalesi, per lo più Tamil e indiani. Tutti sotto coperta, su una moquette. I loro compagni di viaggio pagano di più: 8 – 13.000 dollari i cingalesi. 5-7.000 gli indiani.
[La notte successiva alla partenza sono obbligati] a passare tutti su un peschereccio con equipaggio greco, lo Hira (altri testimoni citano un altro nome, Sealine). Nel pomeriggio nuovo trasbordo sulla Yohan, un cargo di 1.500 tonnellate battente bandiera honduregna, dove trovano ancora altri asiatici. Totale: oltre 464 persone .
Si puo’ parlare di mafia turco-greca come regista dell’operazione.
Per quasi venti giorni la Yohan bordeggia fra Malta e la Sicilia. Una volta al giorno un quarto di litro d’acqua e un pezzo di pane, poi sostituito da un pugno di riso senza sale, per quasi 500 essere umani rinchiusi in una stiva, con una o due ore d’aria.
Finalmente il 24 dicembre il capitano li avverte: è per quella notte, con o senza battello. Sono così esausti da accettare anche di calarsi con le corde in mare, pur di sbarcare.
Il “traghettatore per la costa siciliana”, la “nave della morte” viene da Malta. E’ un legno di 18 metri a fondo piatto, bianco a strisce azzurre, dalla sigla F – 174, è tenuto da corde perché non si sfasci.

Il naufragio

L’F-174 dovrebbe traghettare gradualmente il “carico” della Yohan, ma gli uomini non ce la fanno più e, sfondati i boccaporti, emergono dalla stiva-prigione e si gettano in massa nello scafo. Quando le navi si staccano, sono a bordo (secondo il calcolo dei sopravvissuti) 118 persone. I 50 già presenti da Malta non sono mai stati calcolati nel bilancio del naufragio: in realtà sono dunque quasi 400.
Quando le due navi si riavvicinano c’è un primo urto per via del mare mosso: da un foro l’F – 174 inizia a imbarcare acqua a prua.
Le due navi viaggiano di conserva nella notte, ma l’F – 174 è sempre più rallentato dall’acqua. La falla da rumori secchi, si allarga, la gente sopra coperta si raggruppa a poppa per riequilibrare, gli altri, chiusi nella stiva, chiedono aiuto, sempre più immersi nell’acqua. Infine l’acqua è troppa, chi lavorava a gettarla fuori dalla sala macchine rinuncia e corre sopra coperta, l’F – 174 si immerge di prua.
Il capitano chiama la Yohan, che torna indietro a tutta forza, gira intorno al legno maltese e fa per accostarlo, ma invece lo sperona di netto spaccandolo in tre pezzi.
Il 28 dicembre sera la Yohan si ferma e sbarca in un’isola tutti i 172 passeggeri. Dopo averli chiusi sotto chiave in una casa, trafficanti di diverse nazionalità cercano di convincerli a non denunciare l’accaduto.
Il 30 dicembre un Tir ne carica 107 e li scarica a Hermioni, presso Nauplios, dove la polizia li arresta.
Il commissario di Nauplios, Panayotis Kalofalias, li trattiene per 22 giorni e concorda con il procuratore locale Jannis Pravataris: il naufragio c’è stato, non è possibile un’invenzione collettiva, 11 persone, fra cui 6 greci vengono incriminate e condannate. Solo il governo italiano continuerà a a lungo a negare l’evidenza.

Un naufragio? Ma quale naufragio!

Dove è avvenuto il naufragio? I marinai maltesi indicano un punto esatto: 30 miglia a nord-est di Malta, probabilmente non è il luogo dove giace il relitto, ma il luogo di appuntamento fra le due navi. Il 30 gennaio due corpi restano imbrigliati nelle reti dei pescherecci Ambra e Gulia, al largo di Lampedusa: l’autopsia situa la morte a un mese prima. Molto più tardi, in giugno, altri 2 corpi affiorano a nord del possibile naufragio: uno di loro, trovato presso la penisola Magnisi nella zona industriale di Siracusa, ha indosso i resti di tre paia di pantaloni, come fanno i clandestini per non portare bagaglio a mano quando sbarcano.
Intanto il 28 febbraio la Yohan viene bloccata dopo aver sbarcato 155 cingalesi e pakistani a sud di Reggio Calabria. Viene trainata in porto. John Hooper dell’Observer nota le lettere cancellate “OHAN” sulla fiancata. In prima pagina, il 3 marzo, il suo giornale titola “Found the ship of the death”: sulle prime pagine dei giornali italiani, a parte “il Manifesto” e “Liberazione”, si conterà solo un editoriale de”La Stampa”.
[Mentre le autorità italiane ritengono impossibile ogni ricerca], il 7 gennaio la Reuter riporta le precise interviste ai superstiti realizzate da Costas Paris in Grecia, l’8 aggiunge la testimonianza di uno del fratello di uno dei naufraghi, residente a Milano, il 9 il Senato pakistano delega con voto unanime il governo a chiedere notizie all’Italia, l’11 finalmente anche il Tg 1 ne parla, il 12 la notizia rimbalza sul’Observere sulle reti Abc e Bbc, il 14 giunge al governo un’accorata lettera dai Tamil di Palermo e del presidente della Provincia Puccio.
Si moltiplicano le interrogazioni parlamentari e le sollecitazioni al governo, da Gloria Buffo del Pds ai senatori Russo Spena, Marchetti e Marino e ai deputati Diliberto, Moroni e Pistone del Prc, al segretario della Filt- Cgil Mario Sommariva, alla senatrice Tana De Zulueta… Ma […] il governo italiano continua a ripetere i suoi dubbi sull’esistenza del naufragio.

La possibile ‘restituzione’

Quanti morti attendono in mare almeno l’atto umanitario del recupero del relitto e della restituzione delle salme alle famiglie? Ben 289 : 31 pakistani, 166 indiani, 92 cingalesi, tutti di etnia tamil, tranne 4. Solo l’ambasciata pakistana ha trasmesso la lista degli scomparsi, chiedendo insistentemente e inutilmente notizie alla Farnesina. Una strage di clandestini: di invisibili per definizione, di intrusi, di indesiderati. Dunque da rimuovere dalla memoria collettiva: conoscere le circostanze, i responsabili, ancora in piena attività, metterebbe in crisi non solo le politiche dell’immigrazione o dell’antimafia,
ma l’idea che abbiamo di noi stessi e della nostra civiltà. Meglio non sapere”.
Leggi il testo integrale dell’articolo di Dino Frisullo, “Buon Natale, clandestino”, Narcomafie, settembre 1997
Leggi “Naufragio di Natale ’96: la memoria non si cancella” di Alessia Montuori e Alfonso Di Stefano, Guerra&Pace n.111, 2004

4 Comments

  1. E’ una tragedia quello che e’ successo. E’ spero per le famiglie vittime ci sia una chiusura con il salvataggio del relitto. Ma i veri colpevoli sono i trafficatori di vite umane che hanno causato questo naufragio. L’Italia e l’Europa non possono farsi carico dei centinaia di immigrati che arrivano con i barconi ogni giorno. In Sicilia siamo gia’ PIENI. Non ci esistono nemmeno i fondi per i servizi per i siciliani figuriamoci per quelli di mezza Africa e Asia.

  2. Non riusciamo a riportare a casa i due ufficiali italiani detenuti in India e dovremmo invece occuparci di recuperare i morti affondati venuti dallo Sri Lanka eccetera, con dispendio ( e messa in pericolo ) di uomini e mezzi di soccorso. Credete che abbiamo i lingotti d’oro della Svizzera da sperperare a piene mani? Già Marenostrum ci è costato oltre 9milioni di euro al giorno. Io vivo in campagna e quando si è guastato l’acquedotto, quasi quasi il comune faceva problemi a mettere sul piatto 250euro per riparare un tubo! Ma finiamola col buonismo, per favore!

  3. ma buonismo, che significa? Si è buoni quando si dà qualcose che non si deve, che l’attro non si aspetta di ricevere, ma essere solidali con esseri umani che fuggono la fame e la guerra, e trovano la morte sotto casa mia, sotto il mio balcone, sotto i miei occhi, questo, un tempo, si chiamava solo esseri UMANI.

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