Violenza degenere, donne senza più paura

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In copertina ci sono tante scarpe rosse, abbandonate e alla rinfusa, ormai simbolo della violenza sulle donne. Il titolo annuncia “Violenza degenere” che allude alla violenza di genere ma anche a qualcosa di corrotto, di degenerato che traligna dai caratteri morali, dai valori, dai principi, dai sentimenti propri della natura umana.
Il libro delle giornaliste catanesi Roberta Fuschi e Patrizia Maltese non è però la raccolta delle lamentazioni di donne sconfitte ma, come recita il sottotitolo, “Storie di donne che hanno sconfitto la paura” e riporta “le testimonianze di quelle che – sia pure, a volte, dopo un tempo infinito – sono riuscite a liberarsi”.
Il breve – prefazione della sociologa Graziella Priulla – viene raccontata la storia dell’associazione Thamaia, di coloro che l’hanno fondata e ci lavorano; presenta le leggi contro la violenza, mette in guardia dagli stereotipi, offre un piccolo vademecum per riconoscere la violenza e per combatterla anche legalmente. Una sezione di “servizio” che ripropone sinteticamente le nozioni apprese durante il corso di formazione rivolto alle tirocinanti.
Nei racconti delle donne c’è, certo, “dolore e sofferenza, ma pure l’orgoglio per avercela fatta, per essersi liberate dalla subalternità psicologica e dal terrore -io non ho più paura è la frase ricorrente- e il non darsi pace per aver sopportato così a lungo”.
Alessandra, 46 anni, resiste. Ha fatto l’errore di dare credito a un uomo molto più grande di lei, violento e puttaniere, che l’ha trascinata dentro una spirale di terrore e anche in una serie di vicende giudiziarie complesse e costose.
Anche quella di Alessia -doppio lavoro, parrucchiera e puliziera- è una storia di botte e di abbandoni e poi di ritorni, di dipendenze e ancora di separazioni. Fino all’approdo al centro Thamaia. Lui, il suo compagno violento e vigliacco, non demorde, la segue e le sta ancora intorno.
Enrica ha due lavori. Ora ha 39 anni e due figlie alle quali pensa da sola ma si è sposata a 16 anni perché innamorata di quel ragazzo di 18 che, nel tempo, si è rivelato violento, alcoolizzato e sadico. Le diceva: “Preferisco il mio cane a te, alzati chè al tuo posto, nel letto voglio lui.” E lei si alzava e andava a dormire altrove.
Dopo che ha lasciato il suo compagno, Giulia teme di essere uccisa. In un primo tempo mai un ceffone, una spinta. Era vittima solo di violenze psicologiche, solo di un controllo asfissiante sulla sua vita. L’uomo l’ha accerchiata e ha fatto terra bruciata intorno a lei. Ha rapito la loro figlia, una bambina di quattro anni, e l’ha usata come ostaggio , come merce di scambio. Ma Giulia va avanti lo stesso.
Manuela aveva 18 anni e nessuna esperienza. L’amore durò un attimo. Dopo vennero i figli, quattro, le botte e i lividi. Lui, violento, manesco e sadico, l’aveva segregata a casa, non le faceva vedere la madre, la faceva dormire per terra e le vietava di mangiare mentre lui cenava. Una volta le conficcò una forchetta nel collo. Era sadico anche con i bambini: faceva vedere loro il cibo e poi lo dava al cane. Venti anni di sevizie ma adesso è davvero finita.
Per Meg la violenza ha il volto di suo padre che lei chiama “quell’uomo”. Di lui ha un ricordo indelebile, tre cicatrici su un braccio, tante quante le coltellate che le ha inferto.
Nunzia ha trovato la forza di reagire solo quando ha capito che aveva abusato della loro figlia. Lui le imponeva di portare i capelli lunghi così da poterla afferrare e trascinare meglio. Dopo, lei ha detto basta, è andata dal parrucchiere e ha tagliato i capelli cortissimi: “E’ stato l’inizio della mia liberazione dall’inferno”.
L’insegnante di body building massacrava di botte Rita e anche i suoi, i loro figli. Strattoni, calci all’addome, pugni in volto, fratture alle dita delle mani, mosse di “autodifesa”, diceva. Per anni, fino al ricovero in ospedale e alla denuncia.
L’Associazione Thamaia è nata nel 2001 da un’idea di Genny Floridia e Pina Ferraro, allora dottorande in Scienze politiche, andate in Spagna con l’Erasmus. Il nome dell’Associazione, Thamaia, è un omaggio al centro antiviolenza spagnolo, Tamaia, senza l’acca, che, a sua volta, si rifà ad una pianta i cui fiori somigliano a lacrime e che, secondo una leggenda, sarebbe nata dal pianto di una giovane donna violentata e abbandonata nel deserto.
Da allora, anche senza o con pochi fondi, l’Associazione ha aiutato moltissime donne che hanno trovato così il coraggio di ribellarsi alla violenza.
Violenza degenere (Villaggio Maori Edizioni)

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