Una sentenza epocale, la fame è come la guerra

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Demba ha poco più di venti anni e viene dal Gambia, il più piccolo e uno dei più poveri stati del continente africano, da cui partono molti giovani alla ricerca di una vita migliore, tutti individuati come “migranti economici” senza diritto all’asilo politico.
Lo incontriamo nella sede dell’Arci, divenuta per lui un punto di riferimento da quando è venuto a chiedere informazioni e aiuto allo sportello legale dell’associazione.
Per chi viene dal Gambia, non ci sono direttive di non rimpatrio da parte dell’Alto Commissariato per i rifugiati e non vengono riconosciute le condizioni di “violenza indiscriminata” e “conflitto armato interno” individuate dalla Corte di Giustizia Europea.
Ecco perchè, quando non ricevono un decreto di respingimento al momento dell’approdo, i Gambiani si ritrovano con un diniego da parte delle commissioni territoriali.
Nessuna speranza allora per Demba e i suoi connazionali di poter restare legalmente in Italia? Una porta si è aperta il 31 marzo di quest’anno, quando un giudice del Tribunale di Milano ha emesso una ordinanza che gli addetti ai lavori definiscono epocale e che potrebbe fare giurisprudenza.
Riconosce infatti l’esistenza, per ogni individuo, del diritto ad un “livello di vita adeguato”, alla “libertà dalla fame”. Si tratta peraltro di diritti già riconosciuti nei Patti internazionali sottoscritti da vari paesi a NewYork nel 1966 e ratificati in Italia con la legge n. 881/1977, art. 11.
Il giudice doveva esprimersi sul caso di un giovane gambiano che aveva fatto ricorso contro il diniego alla sua richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato.
Con precisi riferimenti alle leggi e ai trattati italiani ed internazionali, il giudice Federico Salmeri ha deciso che l’autore del ricorso non ha effettivamente diritto all’asilo politico nè alla ‘protezione sussidiaria’ ma ha sicuramente diritto alla ‘protezione umanitaria.
Dalla documentazione, afferma, non emerge il “fondato timore” che il ricorrente subisca -tornando nel suo paese- una “persecuzione personale e diretta” per motivi di razza, religione, nazionalità, o opinione. Niente quindi status di rifugiato.
Non viene riscontrato nemmeno il diritto alla protezione sussidiaria, concessa a chi, essendo “affiliato a gruppi politici o associazioni per i diritti civili” è esposto al pericolo di violenze, torture o altre forme di trattamento inumano, documentate in Gambia nei confronti di oppositori del regime.
Ha però diritto alla protezione umanitaria, riconosciuta a chi si trova in una situazione di vulnerabilità e che va quindi protetto “alla luce degli obblighi costituzionali ed internazionali gravanti sullo Stato italiano” (cfr. Cass. sentenza n. 22111/2014).
Ci sono infatti, scrive il giudice, dei diritti che attengono alla sfera personale ed umana, e che “gravemente rischiano di essere compromessi nel Paese di provenienza”.
Sono il diritto alla salute e all’alimentazione”, diritti inalienabili dell’individuo, appartenenti all’uomo in quanto tale perchè rappresentano una ‘declinazione’ del più universale diritto alla vita ed all’integrità fisica.
E’ documentato -prosegue il giudice- che il Gambia sia un paese di “diffusa povertà e di limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona”. Proprio per questo il ricorrente ha affrontato “un viaggio lunghissimo, incerto e rischioso per la propria vita” e il rimpatrio provocherebbe la violazione certa degli obblighi più volte menzionati”.
E non è ancora tutto. A conclusione della sentenza Salmeri scrive che non “vale sostenere che l’interpretazione di cui sopra può comportare il rischio di un riconoscimento di massa della protezione umanitaria”.
Un diritto fondamentale “non può dipendere dal numero di soggetti cui quel diritto viene riconosciuto. Per sua natura, un diritto universale non è a numero chiuso“.
 

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