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Donne e mafia, non più ombre del boss

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Marzia Sabella“Leggere la mafia da un’ottica di genere”. E’ lo sguardo di Simona Laudani, docente di Storia Moderna, che il 3 marzo 2017 ha presentato  agli studenti del dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania ed agli altri partecipanti, il laboratorio Donne e Mafia” di cui Argo ha già parlato.
Lo studio di genere permette, infatti, di analizzare il fenomeno della mafia da una nuova angolatura, andando al di là degli stereotipi.
Emerge cosi che la figura ed il ruolo della donna all’interno delle organizzazioni mafiose sono cambiati: dalla condizione di “donne-ombra”, incapaci di agire autonomamente ed individualmente, si è passati negli anni ’90 a quelle di protagoniste del businnes criminale in sostituzione dei mariti e dei fratelli, arrestati dalle autorità giudiziarie.
Le donne emergono nei momenti di vacatio, ribadisce la docente, e così si femminilizzano compiti inizialmente appannaggio degli uomini.
A dare voce a questo primo seminario, dei sei previsti nel corso di marzo, è stata Marzia Sabella, magistrata che per diversi anni ha fatto parte della DdA di Palermo, che ha seguito numerose indagini di mafia, che ha partecipato alla cattura del boss Bernardo Provenzano, avvenuta l’11 aprile del 2006.
Attualmente è consulente della Commissione Parlamentare Antimafia. Alle donne dei mafiosi dedica un capitolo del suo libro “Nostro Onore”, edito da Einaudi, intitolato “Mafia singolare femminile”. La magistrata si domanda quale sia oggi il ruolo della donna all’interno di Cosa Nostra.
Nonostante la struttura delle mafie rimanga monosessuale e rigidamente maschilista sono sempre di più le donne coinvolte in affari di mafie, pur non facendo parte attiva dell’organizzazione mafiosa in quanto non affiliate attraverso riti di iniziazione.
Ma le donne non fanno giuramento di fedeltà perché il loro primo dovere è quello di essere fedeli ai propri mariti, e dunque indirettamente anche alla mafia tramite il consorte.  Ripetendo in maniera martellante la frase “noi le abbiamo conosciute”, la magistrata elenca ciò che rappresentano e fanno le donne dei mafiosi.

  • “Si alimentano e nutrono di mafia”. Hanno il compito di trasmettere i codici culturali, la consuetudine al carcere insegnata prima della lingua italiana.
  • Uniscono i mafiosi”. Se un marito va in carcere gli altri si fanno carico delle donne sole con un sostegno economico.
  •  “Tutelano il patto fra i mafiosi”  Anedotticamente ricorda che, se un figlio vuole collaborare con la giustizia, la madre lo da per morto lanciando platealmente dalla finestra tutto ciò che apparteneva al figlio.
  • Attestano la mafiosità dei mafiosi”: nel decalogo trovato addosso a Totuccio Lo Piccolo, arrestato dopo una lunga latitanza, era fatto veto assoluto di entrare dentro Cosa Nostra a chi avesse “tradimenti sentimentali in famiglia” che avrebbero compromesso l’onorabilità e stabilità dell’associazione.
  • “Sono ciò che si vede della latitanza dei mafiosi”: si tratta di vite sospese nell’attesa di incontri e messaggi, di lettere d’amore e di devozione, come quella di Saveria che scrive a Binnu con un italiano sgrammaticato ma pieno di attenzione e interessamento soprattutto per la sua salute minacciata dal numero troppo basso di “cloboli bianchi”.
  • “Fanno le mafiose se serve ai mafiosi”. “Sono femmina, non so che faceva mio marito, qualunque cosa facesse dovevo aiutarlo. Aiutavo lui e non la mafia che non so se c’è e nemmeno cos’è!” così spesso rispondono negli interrogatori le donne dei mafiosi, o si avvalgono della facoltà di non rispondere. Omertà? Amore? Non lo so, commenta il magistrato.
  • “Difendono i mafiosi” con la loro presenza costante, incisiva alle udienze.
  • Accusano i mafiosi”: le donne ci sono, a volte, con storie di coraggio e orgoglio. Ma sono poche perché in fondo – conclude amaramente Sabella – “le donne dei mafiosi stanno bene con la mafia!”.

Come si comporta lo Stato di fronte a queste donne? La magistata fa una breve premessa partendo dall’assunto che “le donne delinquono meno degli uomini” e, dunque, ricorrendo allo stereotipo diffuso che vede queste donne come sottomesse trasmettitrici di valori legati alla famigli, è impensabile attribuire alla donna comportamenti violenti e feroci.

Probabilmente molti delitti commessi da donne sfuggono al controllo.Gli stessi magistrati hanno creduto che esistesse una incompatibilità tra le mafie ed il ruolo penalmente rilevante delle donne all’interno dell’organizzazione mafiosa.
Ancora nel 1984 in una sentenza emessa dal Tribunale di Palermo si affermava che “con tutta tranquillità la donna appartenente alla famiglia di mafiosi non ha assunto una tale emancipazione da svincolarsi dal ruolo subalterno e passivo…” per cui si poteva accusarla solo di reato di favoreggiamento.
Dunque “la non punibilità della donna è stata influenzata dalla sua condizione di genere”, come commenta Renata Siebert nel suo libro “Donne di mafia”.
A partire, però, dagli anni ’90 questo paternalismo giudiziario viene meno e si è iniziato a considerare le donne coinvolte in reati mafiosi individualmente, invece di giudicare in base a categorie di genere.
La legge Rognoni-La Torre ha aiutato a svelare l’implicazione delle donne nei reati economici-finanziari.
Le donne prima non venivano accusate del reato di associazione mafiosa perché formalmente escluse dall’organizzazione. Attraverso la raccolte di testimonianze femminili ci si è allontanati dalla valutazione stereotipica della condizione femminile mentre l’acquisizione delle prove di affiliazione non è più considerata elemento essenziale per essere accusati di associazione di stampo mafioso.
Pertanto nel 2015 Anna Patrizia Messina Denaro, sorella del superlatitante Matteo, veniva condannata a Marsala ad una pena severa di 13 anni, portata a 14 anni e mezzo in appello a Palermo, non più per il reato di concorso esterno, ma per associazione mafiosa secca.
A questo link la registrazione dell’incontro con Marzia Sabella, pubblicata su Radio Zammù
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1 Comments

  1. Mi piacerebbe conoscere personalmente la signora Anna Patrizia Messina Denaro.Dev’essere una persona molto intelligente che certamente sorride di fronte al fatto che cercano il di lei fratello nascosto magari sotto le spoglie di qualche maresciallo dei Carabinieri o di qualche vigile urbano di qualche paesino siculo. Sulle modalità d ella lotta alla mafia mi indigna la insensibilità delle donne intellettuali o magistrate o avvocate ( raramente ne incontro ) che non sono sensibili alla cattiverie e malvagità delle leggi che il nostro parlamento , a partiore dalla Rognoni La Torre, hanno approvato per stroncare un fenomeno economico facendo ricorso a misure disumane. Le leggi 416 bis o il 41 bis nonchè quelle che hanno introdotto il carcere duro, sono leggi ignobili che proprio le donne intellettuali , versate nel diritto, avrebbero dovuto criticare e disapprovare. Ecco perchè non ammiro le persone che hanno partecipato al dibattito su Donne e mafia.Non le ammiro, non le approvo e non le condivido. Sono donne di marmo. Troppo insensibil ed anche cattive !

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