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Abusi sulle lavoratrici romene, ricatti su donne impaurite

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Sarà avviata davvero la collaborazione tra autorità romene e italiane per fermare lo sfruttamento lavorativo e sessuale ai danni delle lavoratrici romene in provincia di Ragusa? Sulla consistenza e sull’efficacia di questa collaborazione, appena iniziata, c’è un certo scetticismo.
Lo riferiscono Lorenzo Tondo e Annie Kelly sul Guardian, in un articolo ripreso su Internazionale del 24 marzo (“Dopo la denuncia delle donne romene”), che potete leggere in link.
Considerato che, in passato, il governo romeno aveva ritenuto il problema irrilevante, viene valutata positivamente la presenza di una delegazione romena ad un tavolo di confronto con i rappresentanti sia delle locali autorità italiane sia delle organizzazioni per la difesa dei diritti dei migranti.
Sostenere le donne che hanno il coraggio di denunciare è già un primo obiettivo, ma non basta. Bisogna intervenire per evitare gli abusi prima che si verifichino. Su questo, tuttavia non c’è ancora nulla di concreto.

A fronte della speranza espressa da Domenico Leggio, direttore della Caritas di Ragusa, ci sono le dichiarazioni di scetticismo di Beniamino Sacco, il prete che per primo ha denunciato lo sfruttamento sessuale da parte dei datori di lavoro della provincia e che dichiara di aver avuto difficoltà anche a pubblicare i dati in suo possesso.
“Ogni volta che viene fuori una notizia” afferma “organizzano una riunione, ma il giorno dopo fanno finta che non sia successo niente.”
Sacco, che riceve richieste di aiuto da queste donne, soprattutto quando restano incinte, sa bene che si tratta di donne impaurite, che si sentono in colpa, subiscono il ricatto pur di non perdere il lavoro e spesso abbandonano in ospedale i figli avuti da queste relazioni forzate perchè non sanno come mantenerli.
D’accordo con lui anche Giuseppe Scifo, della CGIL, secondo cui è assurdo che “siamo ancora qui a parlare di abusi e sfruttamento, per risolvere il problema ci vuole una squadra speciale di ispettori che vada nei campi”.
Controlli quindi, piuttosto che tavoli di confronto.
L’unica proposta concreta delle autorità italiane pare che, oltre a mettere in guardia altre donne sui rischi che corrono nella zona, sia quella di “interventi a sostegno delle vittime”. Si arriva a “prendere in considerazione l’idea di costruire un centro di accoglienza per le donne che decidono di fuggire”.
Fin qui l’articolo. Quanto all’ultima proposta, ci lascia quanto meno perplessi. Ci chiediamo il perchè della disponibilità a finanziare ‘centri di accoglienza’, con relativi appalti di costruzione e/o di gestione, piuttosto che ad effettuare controlli capillari, a tappeto, anche a rischio di perdere qualche consenso elettorale.

2 Comments

  1. I “centri di accoglienza” in Sicilia servono ad accogliere politicanti ed affini pagati da tutti noi fior di quattrini. Altro che assistenza sociale !

  2. invece di interventi a sostegno delle “vittime”, basterebbe evitare che ci fossero vittime : …ma chi ci guadagnerebbe ?

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