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A 35 anni dall’omicidio di Giuseppe Fava

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Trentacinque anni fa anche Catania ebbe il suo “cadavere eccellente”, il giornalista-scrittore Giuseppe Fava.
La sua uccisione aprì una fase nuova, inquietante e drammatica nella vita della città etnea, facendo tramontare definitivamente la teoria, peraltro già in crisi dopo l’assassinio del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, consumato il 3 settembre del 1982 a Palermo, che a Catania non esisteva la mafia.
Furono tantissimi i depistaggi e venne addirittura costituito un comitato per difendere l’onore di Catania.
Per tanti anni, nel luogo dell’assassinio, ci fu solo un cartello, inizialmente scritto su cartone con caratteri trasferibili, frutto di un’assemblea studentesca svoltasi a palazzo di Sangiuliano, che denunciava il carattere mafioso dell’omicidio e ricordava la posizione assunta da “I Siciliani” contro l’installazione dei missili a Comiso.
Ci volle molto tempo per scoprire che la mafia catanese non aveva nulla da “invidiare” a Cosa Nostra palermitana e che addirittura si caratterizzava per una maggiore ferocia ed efferatezza.
La morte di Fava squadernò davanti agli occhi di tutti di cos’era capace il sistema di potere dominante a Catania e in Sicilia, di quali complicità e connivenze godeva, quali interessi economici esprimeva e di cosa fosse capace pur di difendere tale realtà degenerata.
Un sistema che, come scrisse Fava, aveva compiuto, soprattutto dopo il delitto dalla Chiesa, un “salto di qualità, diremmo di cultura criminale, fra le prede mafiose tradizionali di base, mercati, estorsioni, sequestri di persona e le nuove grandi prede che caratterizzano gli anni ottanta ed hanno fatto della mafia una autentica tragedia politica nazionale. Esse sono essenzialmente due: il denaro pubblico e la droga. Il distacco è vertiginoso. E’ come se un grande corpo, un grande animale, lo stato italiano, mai morto e continuamente in agonia, fosse divorato ancora da vivo”.
Ma, soprattutto, per chi aveva voglia di analizzare la realtà, emergevano i legami fra politica e mafia, su cui avevano indagato: Boris Giuliano, Cesare Terranova, Gaetano Costa e Pio La Torre, tutti assassinati.
Fava, con grande coraggio e senza farsi intimidire da minacce di ogni tipo, prima con il quotidiano “Il giornale del Sud” e poi con la rivista “I Siciliani”, squarciò le tenebre che avvolgevano soprattutto la parte orientale della Sicilia e con determinazione fece riaprire il “caso Catania” poiché aveva compreso, prima e meglio di tanti altri, che “l’effetto dalla Chiesa” aveva provocato una scomposizione nel blocco di potere dominante e conseguentemente una situazione molto fluida rispetto al quadro cristallizzato degli anni precedenti.
Tutto ciò anche grazie alle indagini di magistratura e guardia di finanza cui erano sottoposti i maggiori imprenditori catanesi.
In un quadro dove, secondo Fava, da un lato “Esiste infatti una realtà innegabile: perché la mafia possa amministrare le sue migliaia di miliardi, debbono pur esserci imprese private ed istituti pubblici, uomini d’affari o di politici capaci di garantire l’impiego e la purificazione di quell’ininterrotto fiume di denaro”.
Dall’altro emergeva la specificità tutta catanese dei cosiddetti Cavalieri dell’apocalisse “Tutti e quattro hanno imprese, aziende, interessi in tutte le direzioni, industrie, agricoltura, edilizia, costruzioni. Non si sa di loro chi sia il più ricco, a giudicare dalle tasse che paga sarebbe Rendo, ma altri dicono invece sia Costanzo, il più prepotente, l’unico che abbia osato pretendere e ottenere un gigantesco appalto a Palermo; altri ancora indicano Graci, proprietario di una banca che, per capitali, è il terzo istituto di credito della regione. La ricchezza di Finocchiaro non è valutabile. Molti ancora si chiedono: ma chi è questo Finocchiaro”.
Cogliendo un intreccio di attività e interessi oggi plasticamente rappresentato nel cosiddetto “processo Ciancio”.
Ancora, i quattro cavalieri venivano così descritti “personaggi i quali, con superiore astuzia, temerarietà, saggezza, intraprendenza, hanno saputo perfettamente capire i vuoti e i pieni della struttura sociale italiana del nostro tempo e della classe politica che la governa, ad essere più rapidi e decisi nel trarne i vantaggi”.
L’informazione fu segnata dall’attività svolta da Pippo Fava, in particolare negli ultimi anni della sua vita. Fondando la rivista “I Siciliani”, con l’ausilio di un gruppo numeroso e combattivo di giovani collaboratori, Fava si prefiggeva l’obiettivo di continuare la denuncia contro la mafia, la corruzione, il clientelismo, impegnandosi inoltre nel movimento per la pace, che in quegli anni si batteva contro i missili a Comiso.
Fava ha pagato con la vita il suo impegno e sarebbe importante non lasciare cadere il suo lavoro teso a costruire una realtà veramente democratica, una informazione libera e critica, una società civile e moderna.

Oggi per rispondere alla domanda “Che cos’è la mafia?” occorre aggiornare le categorie interpretative, accrescendo l’impegno per la comprensione e per la lotta affinché la mobilitazione risulti efficace: una categoria indispensabile è quella di borghesia mafiosa, che viene fuori analizzando gli avvenimenti che hanno mostrato le interconnessioni e le complicità della borghesia mafiosa soprattutto con gli sviluppi della storia del secondo Novecento, nel corso del quale si è formato un blocco antidemocratico (basti pensare al terrorismo mafioso) capace di coniugare l’uso della forza con l’egemonia “culturale”, conseguendo un diffuso consenso in tutti gli strati della società, in particolare tra i ceti popolari.
Ecco perché, anche se sospinta da ideali cristiani di giustizia sociale nello spirito della teologia della liberazione, la battaglia per la legalità risulta talvolta inadeguata perché non riesce a mettere al centro la questione sociale e non diventa “carne e sangue” delle masse popolari siciliane.
Occorre, perciò, lavorare seriamente per conquistare il consenso, soprattutto quello delle nuove generazioni, contro la mafia in Sicilia e in qualsiasi altra parte del mondo utilizzando gli strumenti che l’indagine storica, sociologica e giudiziaria, nonché tutte le altre forme di inchiesta, ha saputo approntare per poterla sconfiggere.
Salvatore Distefano, docente di Storia e Filosofia
Il prossimo 5 gennaio 2019 saranno trascorsi trentacinque anni dall’assassinio di Pippo Fava, questi i principali appuntamenti a Catania:
ore 10,00 Colazione sociale, musica, letture, mostra, c/o Il Giardino di Scidà, via Randazzo, 27
ore 16,00 corteo da Piazza Roma, promosso da I Siciliani Giovani;
ore 17,00 presidio sotto la lapide in via Giuseppe Fava;
ore 18,00 al Teatro Verga, dibattito, moderato da Mario Barresi, sul tema “Antimafia 35 anni dopo: dire, fare o sembrare”, con Luigi Ciotti, Claudio Fava, Armando Spataro e Giovanni Maria Bellu , vincitore dell’edizione del 2019 del premio nazionale di giornalismo “Giuseppe Fava – Niente altro che la verità. Scritture e immagini contro le mafie”. 

ore 20,30 Assemblea de I Siciliani Giovani, c/o GAPA, via Cordai

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