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Orazio Silvestri, una vita per l'Etna

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Una vita per l'EtnaUna vita ricca di soddisfazioni, ma anche travagliata da incomprensioni nell’ambito accademico e funestata da prematuri lutti familiari, quella del vulcanologo fiorentino Orazio Slvestri.

La ripercorre nel suo bel libro, “Una vita per l’Etna” (edizioni Caracol), il pronipote Aldo Musumarra ricostruendo nel contempo buona parte delle vicende della società scientifica catanese dell’ultima metà dell’ottocento.

Un lavoro impreziosito da rare foto d’epoca, disegni e stralci di corrispondenze epistolari ed arricchito da numerose note a margine che illustrano la vita e il lavoro di importanti personalità che con Silvestri collaborarono, e chiariscono costumi e usanze del tempo.

Aldo Musumarra delinea, infatti, con la stessa cura meticolosa sia i tratti umani dello scienziato sia i suoi lavori e le sue relazioni con altri vulcanologi e con geologi e chimici catanesi ed italiani.

L’autore ci svela con ironia le reazioni ammirative di Silvestri nei confronti della città e della società catanese, ma anche le sue idiosincrasie per i difetti che vi scorgeva, soprattutto la resistenza, tipicamente isolana, alle novità scientifiche, che, a suo giudizio, favoriva un clima stagnante e condannava il mondo scientifico catanese ad un’arretratezza contro la quale impegnò una dura battaglia per tutta la vita.

Orazio SilvestriNel 1856 furono in dodici ad essere licenziati dalla Scuola Normale di Pisa, e solo due di loro intrapresero la carriera universitaria: Giosuè Carducci che ottenne la cattedra di Filologia e Filosofia a Bologna e Orazio Silvestri, che dopo una serie di peripezie venne nominato con Decreto Regio professore di Chimica Generale a Catania.

Era il 1863 quando il ventottenne professore Silvestri, dopo supplenze a Pisa e Napoli, s’imbarcò alla volta della lontanissima Catania, lasciando la famiglia e la solerte madre Giuditta alquanto preoccupate per questa esotica destinazione. Ma l’Etna fu amore a prima vista, ed anche Catania si dimostrò al di sopra delle sue aspettative, la trovò infatti “ben tagliata, con strade bellissime e con tutti i requisiti di una città moderna”.

Parole elogiative furono spese anche per gli abitanti, di “indole buonissima” e accoglienti nei confronti dei toscani. Insomma “la civiltà in questo punto di Sicilia se non è al grado nostro non è neppure tanto indietro come altrove”, questa fu la conclusione alla quale giunse in una lettera indirizzata all’amico di famiglia Centofanti.

Ma lo stato dei laboratori di chimica era disastroso, i fondi a disposizione molto carenti ed i colleghi per la maggior parte restii ad assimilare le ultime scoperte scientifiche. Per fortuna c’era l’Etna, che con la cima fumante ben visibile dalla finestra del suo alloggio catturò subito e per sempre la sua ammirata attenzione.

E il vulcano cominciò presto a dare spettacolo: nel 1864 ci furono le prime avvisaglie, che si concretizzarono nell’eruzione dell’anno seguente, una delle più spettacolari della sua storia recente, ma anche altamente drammatica per le distruzioni operate su campi e case, come Silvestri non mancò di annotare. All’eruzione si aggiunse dopo poco il terremoto che rase al suolo Macchia e causò più di cento morti.

Questi fatti portarono lo scienziato a concepire l’idea di un osservatorio vulcanologico, progetto che verrà realizzato solo dopo molte difficoltà e molto tempo.

Nel frattempo il colera, esploso in città, aveva mietuto le sue vittime e tra queste la giovane moglie di Silvestri, che aveva appena partorito. Silvestri lascia la Sicilia, vi farà ritorno solo nel 1874 per seguire un’altra eruzione e poi definitivamente nel 1877 come vincitore della cattedra di “Chimico-Fisica Terrestre con speciale applicazione di studi sull’Etna”.

L’Etna certo non è mai stata avara di sorprese: nel 1878 ci fu l’eruzione di fango a Paternò e nel 1879, dovuto ai sommovimenti del cratere centrale, un forte terremoto agitò la Sicilia orientale. Ma il ‘79 vide anche la pubblicazione di “Un viaggio all’Etna” una vera e propria guida turistica che Silvestri scrisse per raccontare il vulcano e “far nascere il desiderio di osservarlo da vicino”.

salinelle Paternò 1879L’Etna lo ringraziò con un’altra spettacolare eruzione. Troviamo riprodotti nel libro, bellissimi per accuratezza, i disegni e i plastici opera di Silvestri che la descrivono; ancora una volta non mancano nelle sue lettere sentimenti di pietà e solidarietà umana nei riguardi delle popolazioni martoriate.

E finalmente, dopo quasi vent’anni dall’idea iniziale, l’Osservatorio vulcanologico venne completamente attivato, e nell’anno accademico 1884-85 Silvestri ne divenne ufficialmente il direttore. Quella del 1883 fu l’ultima eruzione che Il vulcanologo potè studiare in maniera completa prima che lo affliggessero seri problemi di salute.

Noi ricordiamo Silvestri come un grande vulcanologo, ma non fu solo questo: s’interessò in maniera approfondita ai fossili, alla meteorologia, allo studio delle acque. I suoi molti successi non possono nascondere la mancata realizzazione, nonostante le energie da lui prodigate, di un Museo vulcanologico universitario, fallimento dovuto a gelosie accademiche oltre che ai soliti infiniti intralci burocratici.

Silvestri ha amato l’Etna sotto tutti i suoi aspetti: letterari, scientifici ed umani. Lo ha studiato, ma ha anche cercato di farlo diventare una meta attraente per i turisti di tutto il mondo, ed in questa opera di promozione è stato più illuminato e lungimirante di tanti suoi e nostri contemporanei.

Stringate ed interessanti le tre prefazioni al libro, le dobbiamo al vulcanologo Stefano Branca, al direttore del Dipartimento di Scienze Biologiche Geologiche ed Ambientali, Carmelo Monaco, e a Mario Alberghina, presidente dell’Accademia Gioenia.

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