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Si chiama Palestina

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E’ confortante – nell’attuale periodo di isolamento delle menti oltreché dei corpi – osservare come siano ancora in tanti, anche nella nostra città, a sentire l’esigenza di ricevere aggiornamenti ed appoggiare le lotte dei popoli oppressi.

E’ quanto accaduto giovedì 3 settembre al Bastione degli Infetti all’incontro sulla situazione palestinese dal titolo “Si chiama Palestina”, con Luisa Morgantini, presidente di AssoPacePalestina ed ex-parlamentare europeo.

Hanno introdotto l’incontro Elvira Tomarchio, che ha ricordato il significato della struttura ospitante, e Carla Pecis dell’UDI (organizzatrice dell’evento), che ha sottolineato l’esigenza di una rinnovata solidarietà concreta verso il popolo palestinese, in un momento in cui l’Italia non ha più voce in capitolo su questa vicenda, che sembra scomparsa dall’agenda delle autorità italiane e non ha risonanza neanche nei media.

Davanti ad un uditorio di più di cinquanta persone, già consapevole del dramma palestinese, Luisa Morgantini ha tracciato un quadro generale della questione di quella terra, evidenziandone alcune caratteristiche che sollecitano la nostra riflessione: l’ostinata permanenza dell’identità palestinese, oggi più che mai attuale nonostante il pericolo di sentirsi un “popolo dimenticato”; la mancanza di libertà sin dal 1948 in una terra dove i palestinesi hanno sempre vissuto, e che risulta “occupata” e non soltanto “amministrata” da Israele; le responsabilità di tutto il mondo occidentale; la presenza di un piccolo, ma significativo, dissenso interno israeliano alla politica del proprio governo.

In sostanza, il popolo palestinese continua ad esistere, praticando una resistenza quotidiana, non armata. Una delle tante espressioni di tale resistenza nonviolenta è il movimento delle donne per la verità sulla Cisgiordania, che ha organizzato manifestazioni e prodotto dei video.

In contrasto con la narrazione del governo israeliano, la realtà parla della sistematica colonizzazione dei territori della Cisgiordania occupati nel 1967 e puntualmente denunciata dalle Nazioni Unite. Si calcola che il numero dei coloni israeliani insediatisi illegalmente in Cisgiordania sia nel frattempo cresciuto da 150.000 a 700.000.

Il tristemente celebre “muro” che divide israeliani e palestinesi non è affatto una struttura di difesa da presunti attacchi terroristici, ma è espressione di annessione coloniale, ed infatti non segue la linea dei confini del 1967, ma si addentra notevolmente in Cisgiordania, sottraendo terra ai Palestinesi.

Sulla brutalità del muro Luisa Morgantini ha citato due esempi eclatanti. La città di Qalqilya, interamente circondata dal muro, con la conseguente confisca della terra circostante, e il villaggio di Belain, che si è visto sequestrare il 65% delle terre coltivate. In quest’ultimo caso persino la Corte di Giustizia israeliana, non certo tenera verso i Palestinesi, ha dovuto ammettere che il muro si era spinto troppo avanti.

E sul terreno riconquistato a furia di battaglie legali i giovani palestinesi hanno voluto costruire una piscina e dipingere delle rocce di azzurro, come espressione di vitalità e di normalità. Non possono più vedere il mare, ma vogliono apprezzarne ugualmente la bellezza; si sentono vittime, ma allo stesso tempo esprimono la loro creatività.

La responsabilità delle comunità occidentali è grande, ha continuato Luisa Morgantini. Anche se un organismo internazionale formula una condanna, a questa poi non segue alcuna sanzione, né alcun blocco delle armi. Nessuna effettiva iniziativa politica viene presa contro Israele.

Con i pronunciamenti del presidente USA Trump circa Gerusalemme capitale unica e indivisibile di Israele e con il recente accordo con gli Emirati Arabi Uniti il diritto internazionale ha peggiorato la situazione: a farne le spese sono i palestinesi, le cui problematiche non sembrano interessare più nessuno. Israele non ha mai dichiarato i propri confini: la finalità è quella di annettere tutta la Palestina. Sempre più forte, Israele punta sulla propaganda e sull’azione della sua diplomazia: se si denuncia qualcosa dei suoi atti di aggressione, si viene tacciati di antisemitismo!

Israele, PalestinaUn ultimo cenno è stato dedicato alla paradossale vicenda della storica città di Hebron, artificiosamente spaccata in due dopo i drammatici fatti di sangue del 1994, e alla situazione di Gerusalemme est, dove è in corso un processo di giudaizzazione, che fa sentire i palestinesi come ospiti nella loro terra. E’ da notare che mentre qualsiasi israeliano nel mondo può liberamente accedere ad Israele, i profughi della diaspora palestinese non hanno nemmeno il diritto di visitare i propri parenti in Palestina.

Nonostante tutto questo, l’identità e la memoria palestinesi non sono state né distrutte, né cancellate. In Cisgiordania e a Gaza oggi vivono più di 4 milioni di Palestinesi. Altri milioni vivono nella diaspora. Benché stanchi della loro condizione priva di libertà, i giovani si ribellano e riversano la loro creatività nella produzione di filmati o in altre forme d’arte, rendendo sempre visibile la resistenza palestinese.

Gli interventi del pubblico si sono incentrati soprattutto sul fatidico “che fare?”, toccando diverse tematiche specifiche (il ruolo dei Paesi arabi, il mancato intervento dell’Europa, i diritti delle donne e delle persone omosessuali). Uno strumento particolarmente interessante per intervenire “dal basso” (e… da lontano) appare quello della campagna globale BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele – info sul sito bdsitalia.org), che dà fastidio ad Israele fino al punto da volerlo dichiarare illegale!

catanesinpalestina

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