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Disarmati ma non arresi

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disarmati_favaIntervistato da due giovani giornalisti catanesi, Antonio Condorelli e Giuseppe Scatà, Claudio Fava, sabato scorso, ha presentato il suo ultimo libro: “I Disarmati. Storia dell’antimafia: i reduci e i complici” (Sperling e Kupfer).
Dopo la recente puntata di Report su Catania, c’era il rischio che la discussione si concentrasse unicamente sui contenuti, e i commenti, di quella trasmissione, privilegiando la cronaca rispetto alla riflessione e all’approfondimento. Fortunatamente, si è preliminarmente chiesto all’autore di chiarire senso e significato del libro. Risposte cheredazione-argo troviamo ampiamente all’interno del testo.
“C’è un’antimafia di cose fatte, conquistate, volute con ostinazione. Ma c’è anche l’antimafia delle occasioni perdute, di chi ha voltato le spalle a se stesso, ha svenduto il mestiere e la faccia. Di solito si scrive sugli eroi e sui martiri. “I Disarmati” vi racconta gli altri: un viaggio attraverso le viltà, le fughe, le complicità: dagli innominabili amici dell’editore Ardizzone agli affari di Mario Ciancio, dai miglioristi del P.C.I. al consociativismo dei DS. I Disarmati perlustra le terre di mezzo, le infinite zone grigie della contiguità che hanno imbavagliato l’antimafia. Come sempre, con i nomi, i cognomi e i fatti al loro posto”, scrive, infatti, Fava a pag. 224.
Di tutto ciò, rievocando fatti ed episodi ormai dimenticati, a partire dall’uccisione, avvenuta a Palermo trenta anni fa, del giornalista Mario Francese, si è discusso nella prima parte della serata. Ma si è parlato anche dei limiti e delle contraddizioni presenti nel fronte antimafia, della paura di demarcare una netta soluzione di continuità con quelle forze imprenditoriali siciliane citate come contigue alla criminalità organizzata nelle relazioni di minoranza alla Commissione Antimafia. Si sono ricordate le omissioni della stampa locale, come quando La Sicilia fu l’unico giornale nazionale, dopo l’assassinio del gen. Dalla Chiesa, a tacere sui mandati di cattura e a non pubblicare il nome di Nitto Santapaola.
Ovviamente, non potevano mancare i riferimenti all’oggi e, ricordando le passate polemiche contro i “professionisti dell’antimafia”, è emersa una forte critica nei confronti di quegli intellettuali che, con impegno degno di miglior causa, si sono mobilitati, sulle colonne del quotidiano locale, in una piena difesa del ruolo del giornale La Sicilia. Come avvenne dopo l’uccisione di Giuseppe Fava quando, dalle pagine del suddetto quotidiano, si levò forte l’indignazione non contro la mafia, ma per difendere il buon nome della Città; visto che la mafia, eventualmente, era un problema che riguardava la Sicilia Occidentale.
Tra gli interventi, infine, segnaliamo quello del giornalista Walter Rizzo che ha ricordato, a proposito di monopolio dell’informazione, come lui e altri colleghi abbiano perso il posto di lavoro (Telecolor) per non aver accettato le condizioni imposte dal nuovo editore, Ciancio.

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