AMT, (im)mobilità ecoinsostenibile

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La nuova ragione sociale dell’AMT potrebbe essere AMTUT: Azienda Municipale Trasporti Una Tantum, quannu accapita, insomma!
Mancano all’appello 250 autisti, solo 454 su un organico aziendale complessivo di 864 dipendenti al 2009. Quelli in servizio sono costretti a turni stressanti, spesso appesantiti da un gran numero di ore di straordinario.
Un parco macchine dimezzato –sono circa 150 gli autobus in grado di circolare e molti sono costretti a rientrare ogni giorno per guasti vari- oltre che obsoleto, con mezzi in servizio mediamente da 12 anni, la cui velocità commerciale negli ultimi 5 anni è stata di appena 15 chilometri orari, contro i 21,7 km/h della media italiana.
Soppressione di linee, in particolare verso le zone periferiche e, la domenica, arretramento dei capolinea e variazioni di percorso come unica risposta data dall’Azienda.
Un passivo accertato di 116 milioni, in parte causato da crediti non riscossi, di cui ben 75 milioni nei confronti del Comune.
Sono questi alcuni dei numeri, non certo esaltanti, che descrivono l’attuale situazione del trasporto pubblico a Catania.
Da parecchi mesi l’AMT promette di presentare al Consiglio comunale il nuovo piano industriale che dovrebbe consentire il rilancio dell’azienda e che dovrebbe essere uno dei passaggi fondamentali in vista della sua riconversione in società per azioni, anch’essa più volte promessa per il prossimo mese di dicembre come termine ultimo.
Quando alla fine dello scorso novembre il sindaco Stancanelli e il presidente ing. R. Sanfilippo si sono decisi a uscire allo scoperto con una conferenza stampa, molti commentatori hanno parlato di un generico spot pubblicitario, mentre ancora nulla di concreto risultava agli atti del Consiglio comunale.
A leggerlo nelle sue linee generali, questo Piano di risanamento dell’azienda per i prossimi 5 anni sembra più un elenco di ovvietà o, al massimo, di onesti e buoni propositi, dato che indica diversi obiettivi più o meno ambiziosi, ma non spiega quali passi bisognerà fare per raggiungerli.
I suoi punti principali sono: assorbimento del debito, che ammonta a circa 115 milioni di euro; aumento della velocità commerciale; turn over degli autisti; recupero e utilizzo della rimessa di Pantano D’Arci (dove verrebbero trasferite le officine e le rimesse attualmente allocate nei locali in affitto di San Giuseppe La Rena); modernizzazione del sistema di comunicazione attraverso il posizionamento di 150 paline segnaletiche elettroniche; infine, la ristrutturazione della rete di esercizio, con autobus veloci e protetti da corsie preferenziali.
Riguardo al debito si prevede che al Comune vengano lasciati i debiti istituzionali (circa 42,9 milioni di euro, più i 5,5 milioni per il credito ceduto a Italease), trasferendo nella nuova Amt spa il debito operativo pari a circa 66,4 milioni di euro (di cui 36,4 per debito corrente e 30 per debito consolidato).
Per il debito di competenza AMT il linguaggio diventa esoterico: “La copertura di tale debito – si legge nel sunto del Piano – sarà assicurata dal trasferimento alla nuova Spa delle immobilizzazioni tecniche e delle rimanenze di materiali; dei crediti che l’attuale gestione vanta nei confronti di Stato, Regione e altri Enti Locali; di un ammontare di crediti verso il Comune di Catania pari alla differenza tra l’intero valore del debito (66,4 milioni) e gli altri valori dell’attivo.
Inoltre, nel costituire la nuova società, questa verrà patrimonializzata attraverso il conferimento delle rimesse di Pantano D’Arci e di via Plebiscito nonché degli autobus di proprietà del Comune di Catania”. Viri chi preiu!
L’acquisto e la messa in funzione di ben 150 paline elettroniche di segnalazione, in assenza di certezze sugli orari di passaggio ad ogni fermata, può solo servire ad attizzare  i più bassi istinti degli utenti in attesa. Non si tratta certo di una priorità assoluta, senza contare che le quattro montate a piazza Trento e a piazza S. M. di Gesù non sono mai riuscite a guadagnarsi onestamente da vivere.
Quanto alle nuove linee, si prevede la messa in funzione dei parcheggi scambiatori e la realizzazione del Brt, il Bus rapid transit, un sistema di percorrenza veloce da zone periferiche fino in centro città. Ma questo presuppone l’acquisto di nuovi autobus, l’effettiva disponibilità di corsie preferenziali e la conclusione della telenovela dei parcheggi: campa cavallo!
In queste condizioni, non vorremmo che la trasformazione dell’azienda in Spa, cioè in azienda di diritto privato, sia solo un modo per sottrarre la gestione a controlli seri.
Per intanto, riuscite ad immaginare file di investitori agli sportelli delle banche per acquistarne le azioni?

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