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Niente più case rifugio per le donne afghane

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E’ ancora l’8 marzo e non c’è davvero nulla da festeggiare. Basta osservare quello che le donne vivono ancora oggi in tante parti del mondo. Donne violate, oltraggiate, offese, nascoste e cancellate, quando non uccise. Come in Afghanistan, ad esempio. Ce lo ricorda Amnesty international, sempre in prima fila nella difesa dei diritti. E così scrive Giuliana Sgrena su Il Manifesto, “in Afghanistan l’odore dei gelsomini non è arrivato”. E’ arrivata invece la giustizia coranica che sta per essere accettata e legalizzata dalle ambasciate occidentali e dai paesi che rappresentano e della quale saranno vittime ancora una volta le donne.
Non basta al governo di Karzai aver legalizzato lo stupro in famiglia. Il prossimo passo, che avverrà a breve, è il controllo diretto delle case per le donne maltrattate con l’esclusione delle organizzazioni non governative. Il provvedimento è stato preceduto da una denigratoria campagna di stampa che ha presentato come prostitute coloro che si rifugiano nelle case. La denuncia è del Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (Cisda) e delle organizzazioni non governative afghane.
Adesso il ministero per gli Affari femminili prenderà il controllo dei centri e stabilirà chi ha diritto a essere ammessa alla protezione e chi no, attraverso una commissione composta da otto persone, comprendente rappresentanti di alcuni ministeri, della Corte suprema, della Procura generale e della Commissione indipendente per i diritti umani. La decisione finale spetterà a un rappresentante della società civile nominato dal ministero per gli Affari femminili.
La commissione potrà richiedere inoltre che la donna subisca un “esame medico interno”, un test utilizzato per scoprire se abbia commesso adulterio, che in Afghanistan è reato penale. Il test serve a provare l’avvenuta attività sessuale e dunque a determinare la moralità della donna e il suo diritto alla protezione! 
Le attuali direttrici delle case rifugio definiscono a ragione la legge del ministero per gli Affari femminili un insulto che renderà le donne nuovamente vittime e che potrebbe aprire la strada alla loro criminalizzazione.
Altro problema scottante è quello del controllo sui fondi stanziati dalle agenzie internazionali a favore delle donne vittime di violenza. Il governo, avocandolo a sè, potrebbe decidere arbitrariamente il loro utilizzo, sottraedoli alla destinazione prevista.

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