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Pensionamenti forzati, rottamazione degli insegnanti?

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A un buon numero di docenti delle scuole medie, inferiori e superiori, è arrivata nel corso degli ultimi due anni, una lettera che comunica il loro forzato pensionamento. Il provvedimento riguarda i dipendenti della pubblica amministrazione, ma viene applicato in particolare a quelli della scuola pubblica, obbligati ad andare in pensione non appena raggiunti i quaranta anni di contributi previdenziali, anche se non hanno quaranta anni di servizio effettivo o non hanno ancora compiuto i canonici 65 anni di età.
La lettera al ministro Gelmini di un’insegnante catanese segnala la discriminazione economica subita da chi non ha ancora maturato l’ultimo scatto stipendiale. Tanto più che una precedente disposizione autorizzava a chiedere un rinvio nel caso si maturasse nel breve periodo uno scatto di stipendio.
Ma la contraddizione dell’Amministrazione non è solo questa: mentre da un canto infatti, quasi settimanalmente, si promulgano leggi e decreti che allungano anche per cani e gatti l’età del pensionamento, per gli insegnanti -pericolosi sovversivi- si fa il contrario.
La motivazione sottesa a questa decisione è quella di liberare posti di lavoro per i precari, ma ciò è vero solo a parole, dato che la progressiva attuazione delle riforme del ministro Gelmonti sta rischiando di generare nuove forme di precariato anche fra gli insegnanti già da tempo stabilizzati.
Non c’è comunque solo il danno economico da considerare, c’è l’esperienza umiliante, definita infatti “mortificazione professionale”. Qualcuno sceglie per te e ti obbliga ad un cambiamento che non è solo un atto amministrativo, ma una svolta decisiva della tua vita.
L’operazione, che non tiene conto della libera decisione dei singoli, viene fatta con un taglio orizzontale, finendo per escludere dalla scuola anche persone che sono ancora motivate a continuare, mentre ne trattiene tante altre (e non sono poche) che non lo sono affatto.
Si tratta quindi di un provvedimento che evidenzia, ancora una volta, il più assoluto disinteresse nei confronti della didattica, in particolare della “motivazione” che deve sottendere sia all’apprendimento sia all’insegnamento. Insegnare non vuol dire solo trasmettere contenuti e, soprattutto, metodologie, ma anche coinvolgere gli alunni nella “passione”  per il sapere.
Si aggiunga poi che queste disposizioni stanno andando a colpire soprattutto quella fascia di insegnanti che ha iniziato a lavorare nella scuola pubblica nel corso degli anni Settanta e che, con molto entusiasmo e assoluto disinteresse (allora non esisteva nemmeno il cosiddetto Fondo di Istituto), si è fatta carico di traghettare contenuti e metodi di insegnamento fuori dalle secche di una concezione della scuola ancora fortemente arretrata rispetto al velocissimo cambiamento sociale e culturale che ha investito il nostro Paese nel secondo dopoguerra.
Si è trattato di un complesso lavoro di sperimentazione ‘dal basso’, del tutto spontaneo anche se progressivamente ha assunto alcune forme organizzative, che hanno originato una vera e propria riforma della scuola, ancorché disorganica.
Certo non sono mancati errori, esagerazioni e fraintendimenti, ma è da questi insegnanti che è venuta l’unica risposta alla domanda di cambiamento della scuola, soprattutto della media superiore, a fronte della totale (o quasi) incapacità del mondo politico di farsene carico.
Oggi la situazione si è drammaticamente ribaltata: a fronte di presunte riforme che sono ispirate solo dal bisogno di tagliare la spesa pubblica (ancora una volta con il metodo orizzontale), appare praticamente impossibile immaginare che le nuove generazioni di insegnanti possano affrontare con la stessa determinazione il lavoro scolastico.
Non è mancanza di fiducia, ma come si fa a chiedere a un insegnante lo stesso tipo di dedizione se ancora, dopo venti e passa anni, non ha trovato una stabilizzazione, ed è costretta, suo malgrado, a fare una conoscenza integrale del territorio della provincia in cui presta servizio?
Come è possibile impostare un progetto didattico impegnativo quando si ha la certezza che l’anno successivo si sarà in un luogo e in una scuola completamente diversi dato che ormai la stessa idea di ‘continuità didattica’ è stata cancellata dal vocabolario ministeriale?
Questo modo di mettere alla porta gli insegnanti rivela in effetti una concezione del tutto residuale della scuola pubblica perché di fatto sta progressivamente destrutturando quella rete di relazioni fra persone appassionate del loro lavoro che era l’unica autentica ricchezza della professione docente.
Ma, allora, di che cosa parliamo quando parliamo di scuola?

4 Comments

  1. Sono completamente daccordo su quanto detto nell’articolo visto che faccio parte anch’io della schiera dei rottamati anche senza essere soprannumerario né avere i fatidici 65 anni di età. Non solo, ma insegnavo una materia non comune: discipline nautiche al Nautico di Venezia ove le graduatorie sono vuote da molti anni. A dimostrazione che il il mio posto non andrà a un giovane precario, basta dire che lo stesso verrà occupato un collega di anni 60, che ha chiesto il trasferimento da Chioggia a Venezia per avvicinarsi a casa. Alla faccia del ricambio generazionale. Per sintetizzare ho avuto: 1) un dan no economico visto che avevo maturato 6 anni sui 7 per aver diritto all’ultimo scatto stipendiale; 2) un danno morale visto che sia i genitori che gli alunni continuavano a chiedermi ” professore cosa ha combinato per essere “licenziato? ma soprattutto 3)un danno biologico con smarrimento della personalità, insonnia, incapacità di farmene una ragione. Spesso mi domando: a cosa servirà, ora che non ho più i miei allievi, tutta la competenza acquisita nelle ricerche e nella stesura di libri e pubblicazioni. Mi sento impotente contro una legge palesemente incostituzionale (art. 3 uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge) (art.2 ognuno ha diritto attraverso il lavoro di esprimere la propria personalità….) Legge che ha avuto un iter travagliato e più volte modificata in peggio. Inoltre coloro che si sono rivolti al giudice del lavoro hanno avuto dei risultati differenti (su 30 cause, la metà ha avuto esito positivo per i ricorrenti, e l’altra metà esito negativo) e anche questo è un “mistero”. Sarà perchè i giudici, così come i primari ospedalieri, i docenti universitari, ecc. sono stati esclusi dal provvedimento. Avrei tanto ancora da dire, ma voglio salutarVi con iun abbraccio affettuoso.

  2. Sono Docente DOP Latina, da diversi anni pur di uscire dalla situazione mortificante della DOP ho fatto un orientamento capillare per la mia scuola. Tutto questo per racimolare iscrizioni finalizzate al raggiungimento di una cattedra e per poter effettuare un passaggio nella stessa scuola, dove venivo utilizzata a fare la “tappabuchi” . Purtroppo la cattedra è andata a un ruolo. La cattedra si era costituita ma utilizzando le discipline atipiche che invece avrebbero dovuto tutelare i docenti titolari DOP, non essendoci docenti sull’organico di diritto da salvaguardare. Infatti avrei potuto ottenere l’utilizzazione. Fatto sta che L’USP di Latina insieme alla dirigente scolastica , incuranti pure di tutta la mia fatica per l’orientamento svolto hanno trovato tutte le strategie possibili per formare e dare la cattedra al ruolo , non a me che lavoravo nella stessa scuola. Ma la Corte dei Conti troppo lontana non sa che cosa succede in alcune scuole scuole e USP che lavorano facendo qualche spreco ai danni dello stato e a me che per non vivere la sconfortante situazione in quanto DOP Tappabuchi , sono stata costretta a farmi utilizzare in un altra provincia. E’ questo forse un nuovo modo di risparmiare?
    Dare troppo potere ai dirigenti scolastici è stata una vera follia e un ingente spreco di denaro pubblico.

  3. Premetto che i docenti, tutti, non dovrebbero in nessun modo essere rottamati e mandati in pensione forzata senza averlo scelto.
    Ma mandare in pensione forzata un docente in esubero che compie i 65 anni è una vera assurdità.
    Perché si deve limitare la libertà dell’individuo’ Tutti dovrebbero poter scegliere se andare in pensione o restare ancora a lavorare.
    Considerate poi, le misere pensioni che rifilano a chi ha solo venti anni di servizio è certo meglio rimanere a lavorare per non morire di stenti e in povertà visto gli aumenti e le tasse, sembra che i cittadini debbano campare di sola aria.
    Tutti i grandi politici che decidono sulla nostra pelle, lo fanno in modo superficiale o pensano che i docenti devono fare una vita da cani e sopravvivere con qualche spicciolo di pensione?
    Se non c’è la possibilità di farci vivere in modo dignitoso, dandoci una pensione dignitosa, almeno lasciateci la libertà di continuare a lavorare! LA LIBERTA DI DECIDERE!.

  4. luciana, sono nella identica situazione da te descritta. nata in dicembre ’49 avrei circa venti anni di lavoro purtroppo, sto quasi per scadere, sto per raggiungere il limite di età. sono terrorizzata all’idea di essere spedita in pensione forzata, oltretutto in completa miseria.
    Sono DOP a causa della riforma. Non posso chiedere la permanenza in servizio perché in esubero, mi costringeranno alla pensione forzata e alla miseria!
    A parte che tutti gli esseri umani non dovrebbero essere trattati come un prodotto in scadenza e quindi essere spazzati in pensione per il raggiungimento del solo limite di età. I limiti li ha chi ha formulato questa legge idiota, punitiva e restrittiva. Aver raggiunto il limiti di età non significa essere finiti per il lavoro, non essere più efficienti !
    Si può non essere efficienti a qualsiasi età, basta volerlo, così come fanno in tanti che indisturbatamente continuano a lavorare tutelati dalla loro età ancora non al limite.
    questa cosa provoca depressione, ansia , orrore,
    Non è giusto! i politici sono così superficiali, perchè non provano a pensare la gravità di queste leggi calandosi per esempio in una condizione come la mia e pensare di riuscire a vivere con la misera pensione con venti anni di contributi.
    Lasciate alle persone la possibilità di scegliere di continuare a lavorare!
    Eliminate il raggiungimento del limite di età. Mi sembra di vivere nel medio evo.

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