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Codice antimafia, un pericoloso passo indietro

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Non è più solo una proposta. Il Consiglio dei ministri ha approvato il 3 agosto la normativa impropriamente detta Codice antimafia perchè priva di organicità e soprattutto inefficace a contrastare un fenomeno pervasivo e complesso come le mafie.
Se ne discuteva da tempo e Argo aveva già segnalato la richiesta di revisione avanzata da molte associazioni e organizzazioni del mondo del lavoro e dell’impresa (Leggi il testo dell’ appello).
La risposta non è stata una radicale revisione del testo, ma l’approvazione della seconda parte, che per alcuni versi costituisce un pericoloso passo indietro. Solo a margine sono state accolte alcune proposte di modifica, avanzate dalle associazioni antimafia e dalla stessa Commissione giustizia della Camera.

C”è davvero qualcosa che non va in questa legge se lo stralcio dei primi dieci articoli, al momento accantonati, ha addirittura tranquillizzato gli operatori del settore che paventavano interventi affrettati o poco meditati che avrebbero potuto mettere a rischio lo stesso art.416 bis, con  il quale fu introdotto nel nostro codice penale il reato di associazione di tipo mafioso.
Entrando nel merito, la parte approvata interviene soprattutto sulle questioni relative al sequestro dei beni dei mafiosi, rendendolo più difficile sia con l’imposizione di un limite di tempo molto stretto per l’intero iter di sequestro, confisca e assegnazione, sia con l’ipotesi di vendita dei beni stessi non assegnati.
Tra i primi a segnalare le criticità, il Centro Pio La Torre intenzionato a difendere la legge del 1982 e l’intuizione fondamentale di La Torre sulla necessità di colpire la mafia nel suo patrimonio. La successiva legge sulla confische, la 109 del 1996, fu fortemente voluta da Libera che quasi la impose dopo aver raccolto più di un milione di firme.
Libera, da parte sua, ha dedicato al problema un nunero speciale della sua newsletter, Verità e giustizia, con interventi dei giudici Ingroia e Menditto, del parlamentare Giuseppe Lumia, della giornalista Norma Ferrara.
La norma approvata dal governo -secondo quanto scrive Ingroia– nasce già vecchia, essendo stata ripescata dalle carte di una vecchia commissione, istituita nel 1998 e poi lasciata morire. Riproporla dopo 10 anni, senza tener conto dei cambiamenti intervenuti dentro la mafia stessa, la rende inadeguata. Manca, ad esempio, la possibilità di incriminare i mafiosi per autoriciclaggio, ma anche il recepimento della direttiva comunitaria che prevede l’obbligo di confiscare in qualsiasi paese della UE beni riferibili ad attività criminali commesse in un altro paese membro. Fatto grave perchè, in assenza di reciprocità, altri stati esteri non hanno eseguito confische di beni di organizzazioni mafiose italiane.
Altro elemento grave è il mancato aggiornamento dell’articolo 416 ter che dovrebbe punire le relazioni mafia-politica ma prevede solo l’incriminazione per sostegno elettorale pagato con somme di denaro, laddove sempre più il voto di scambio si configura come sostegno elettorale in cambio di benefici e favori, concessi mediante provvedimenti politico-amministrativi.
Per quanto riguarda la confisca dei beni e la loro gestione sono state espresse preoccupazioni e formulate richieste di modifica, che riguardano non solo la regolamentazione del sequestro per renderlo più efficace, ma anche:

  • il potenziamento delle norme sull’amministrazione dei beni per permettere alle aziende di stare sul mercato dopo l’opportuna bonifica
  • l’istituzione di un fondo di sostegno per le aziende create per gestire i beni confiscati, alimentato con le somme sequestrate ai mafiosi
  • l’eliminazione delle norme che prevedono non solo la dismissione o la vendita dei beni confiscati, ma anche la revoca della confisca anche dopo l’assegnazione
  • l’introduzione di norme che affrontino il problema delle ipoteche che spesso gravano sui beni confiscati

Prevedere la possibilità di vendere i beni confiscati, per fare cassa e pagare i creditori (spesso rappresentati da banche compiacenti), dimostra che il governo non ha colto il valore fortemente simbolico della confisca e soprattutto della assegnazione. Essa diventa il segno tangibile della vittoria della legalità sull’azione criminale, oltre a rappresentare una restituzione al territorio di ciò che gli è stato sottratto con l’intimidazione e la violenza.
Ecco perchè è inaccettabile, data la complessità di molte situazioni (ad es. la suddetta presenza di ipoteche) porre un limite di 18 mesi, sia pure con proroga di massimo un anno, per completare tutto l’iter.
Quanto alla vendita, non si tiene in nessun conto un ragionamento elementare: nessuno avrebbe il coraggio di acquistare un bene confiscato e poi rivenduto, se non parenti e amici del mafioso stesso.
Non basta quindi aver corretto gli errori tecnici ravvisati nella stesura della norma se rimane invariato il suo approccio.
Sottovalutando il valore sociale del riutilizzo dei beni e l’importanza della loro restituzione al territorio, impoverito dalla presenza mafiosa, il governo ha previsto che la gestione di questi beni rimanga nelle mani dello Stato, suscitando le proteste degli enti locali e in particolare della Regione Sicilia.
Non appare ingiustificata quindi la immediata protesta dell’assessore regionale all’economia, Armao. Posto che “la maggior parte del patrimonio confiscato alla criminalità organizzata ricada per il 45% in Sicilia” afferma “si giunge al paradosso dei beni confiscati affittati alla Regione siciliana (si pensi alle sedi degli assessorati Attività produttive e Beni culturali, ma anche uffici di Asp), per i quali paghiamo dal bilancio regionale oltre sei milioni di euro”.
I siciliani non solo non potrebbero riappropriarsi dei beni, ma pagherebbero per poterli utilizzare. Individuando nella norma aspetti di incostituzionalità, perchè viene a suo parere violato lo Statuto, Armao ha annunciato anche il ricorso alla Corte Costituzionale.
Senza trascurare che, dietro questo ennesimo episodio dello scontro tra autorità centrale e Regione Sicilia si possono ravvisare anche interessi di tipo economico, rimane il fatto che la restituzione del bene alla comunità locale non avviene, così come viene a mancare la visibilità della riappropriazione.
Sono ancora da migliorare altri aspetti della legge sia per quanto riguarda il trattamento dei testimoni e dei collaboratori di giustizia sia per quanto riguarda la necessità di introdurre l’obbligatorietà di denuncia da parte degli operatori economici che subiscono estorsioni.
Se poi si volessero analizzare anche le ricadute del cosiddetto “processo lungo” che rischia di non fare arrivare a sentenza molti processi, sorge spontanea la domanda: ma questo governo è veramente intenzionato a condurre avanti una politica antimafia?

guarda il filmato: BENI SEQUESTRATI ALLA CAMORRA. Ospite in studio Francesco Menditto (Giudice ),Geppino Fiorenza (Responsabile Regionale Libera)

 
http://www.julienews.it/showvideo.php?img=&v=video/beni-sequestrati-alla-camorra–ospite-in-studio-francesco-menditto-giudice-geppino-fiorenza-responsabile-regionale-libera/3951&w=482&h=386&auto=false&style=2

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