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Le scatole cinesi del federalismo

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E, adesso, il federalismo ? Cosa rimane dell’imponente costruzione realizzata in questi anni, sotto la spinta dell’iniziativa politica e ministeriale della Lega, ora che questa non è più al governo, e si ritrova da sola all’opposizione del governo Monti ?
Diciamo subito che il processo legislativo avviato con la legge 42 del 2009 è complesso e, indipendentemente dalla crisi del governo Berlusconi, potrà completarsi solo dopo alcuni anni. Infatti, la legge si limita a stabilire dei principi generali, e affida ad ulteriori atti normativi (decreti legislativi emanati dal Governo, previo parere delle Camere) la concreta attuazione di tali principi.
A loro volta, come spesso accade con questa tecnica legislativa, questi decreti legislativi, come in una costruzione di scatole cinesi, prevedono l’emanazione di ulteriori norme (decreti ministeriali e interministeriali) per la disciplina di questioni tecniche, dalle quali, però dipende l’effettiva operatività e attuazione dei principi generali.
La prima fase, quella dei decreti legislativi, si è appena conclusa. Il termine originario, il 21 maggio 2011, perché il governo completasse l’emanazione dei decreti legislativi, è stato, infatti, spostato di sei mesi, al 21 novembre 2011. Questo termine spiega perché il primo atto del governo Monti, alcune ore dopo la fiducia delle Camere, è stato quello di emanare un decreto legislativo (quello su Roma capitale) attinente all’attuazione di una delega prevista nella legge sul federalismo fiscale.
Complessivamente sono stati emanati 9 decreti legislativi. Soltanto nei primi 5, si contavano ben 67 decreti ministeriali da predisporre. I nuovi ministri avranno, quindi, un bel da fare per potere proseguire il lavoro di costruzione del federalismo fiscale.
Nel frattempo, non è trascurabile l’effetto che le varie manovre finanziarie producono sul federalismo. Esse impongono una pesante stretta alla finanza degli enti locali e delle regioni. Il loro contributo alla riduzione dell’indebitamento netto del settore pubblico è previsto, tra il 2011 e il 2014, nella misura di oltre 40 miliardi di euro. Con questi tagli rimane ben poca autonomia da esercitare, siamo fortunati se si riesce a garantire la mera sopravvivenza.
Ma i tagli non sono tutto e, forse, nemmeno l’aspetto più lesivo del federalismo. Le manovre, infatti, sono state decise in modo centralistico, senza un coinvolgimento attivo di enti locali e regioni, nonostante la legge 42 preveda un coordinamento tra Stato e autonomie, da realizzarsi attraverso la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Peccato che essa non sia stata insediata !
A proposito di federalismo, il nuovo governo pensa di reintrodurre l’ICI. I manuali di finanza pubblica ci insegnano che, laddove si voglia attribuire una qualche forma di autonomia tributaria agli enti locali, lo strumento preferibile è quello dell’imposta immobiliare. E così si comportano molti paesi. In Italia, soltanto la demagogia elettorale, tanto più grave perché proveniva da chi rivendicava il federalismo, ha potuto portare all’abolizione dell’ICI sulla prima casa.
Essa ha indebolito la responsabilizzazione degli amministratori locali, il contrario di ciò che si vuole ottenere con il federalismo. Studi recenti hanno stimato che, a causa dell’abolizione dell’ICI, nei Comuni, tra il 2007 e il 2009, si è registrato un aumento medio della spesa di circa l’1%, con punte più elevate nei grandi Comuni. Ben venga, allora, la reintroduzione dell’ICI, con buona pace dei “pasdaran” del federalismo.

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