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UNESCO in salsa sicula

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Un bel megaporto a Lipari? Perché no? E’ la moda del momento! Un’aviopista a Vulcano? Un’emozione unica atterrare in mezzo agli sbuffi di zolfo! Una passerella in legno e acciaio sul fiume Anapo? Indispensabile per facilitare la visita alla necropoli di Pantalica. Una casa con vista sul Castello Eurialo di Siracusa? Vuoi mettere? E il Parco archeologico urbano di Siracusa? E che premura c’è? Sta lì da 2500 anni, può ancora aspettare! Qualche trivella di petrolio sparsa qua e là in mezzo al barocco del Val di Noto? E’ l’ebbrezza del postmoderno, amico!
Sono solo le più vistose perle di cui ci porta a conoscenza il dossier di Salvalarte di Legambiente Sicilia “Unesco alla siciliana. I siti in sofferenza della bella Sicilia.”
Si tratta di un’analisi poco lusinghiera dello stato in cui versa la gestione dei siti riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità, e che noi, dopo aver magari brigato tanto per ottenerne il riconoscimento, lasciamo impunemente decadere, quando si pensi che è stato calcolato che dopo l’inserimento nella World Heritage List un sito incrementa di circa il 30% i suoi visitatori e quindi il suo valore economico.
E c’è perfino chi si spinge “a ‘dichiarare guerra’ all’alta istituzione delle Nazioni Unite (…) che blocca lo sviluppo e non fa fare nulla! Sa solo mummificare.”
Il fatto è che i politici sono bravissimi ad appendersi le medagliette al petto, ma quando si tratta di governare la realtà, cioè indicare obiettivi, individuare strumenti, è difficile trovarne qualcuno che sia capace di fare scelte che magari possono scontentare l’amico o l’elettore.
Tipico, in questo senso, il caso del sito delle Città del tardo Barocco del Val di Noto, riconosciuto nel 2002, che comprende le otto città di Caltagirone, Militello Val di Catania, Catania, Modica, Noto, Palazzolo Acreide, Ragusa e Scicli, ricostruite dopo il terremoto del 1693.
Fu il primo caso in cui venne riconosciuto come patrimonio un intero territorio, non solo per i valori artistici e architettonici dei singoli monumenti ma soprattutto per le innovazioni in fatto di pianificazione ed edilizia urbana dietro cui aveva agito l’impegno collettivo di tante comunità, fortemente determinate a far rinascere la vita.
Un tale riconoscimento avrebbe richiesto un impegno, altrettanto collettivo, nel cogliere i frutti, culturali ed economici, di tanta insperato successo. Esattamente il contrario di quanto sta accadendo.
Il piano di gestione che era stato elaborato è poco noto e scarsamente rispettato. “La conseguenza è la mancanza di una strategia comune e unitaria; le attività sono affidate pressoché esclusivamente alla sensibilità dei singoli amministratori, che quasi sempre non hanno alcuna spinta, volontà e capacità di lavorare in rete. Ci sono quelli più attenti (come Noto, Modica, Scicli e Caltagirone ), quelli distratti (Ragusa e Militello Val di Catania), quelli che fanno da soli (Palazzolo Acreide) e quelli totalmente disinteressati (Catania).”
“La Regione Siciliana è la grande latitante nella scommessa dei siti Unesco. Si, della scommessa, perché essere riconosciuti “Patrimonio dell’Umanità” deve essere considerato solo l’inizio di un percorso di lavoro, perché quel sito non appartiene più solo a noi siciliani ma al mondo intero, e da quel momento noi ne siamo i custodi e i garanti per tutti.”
Questo il giudizio, ma anche la terapia suggerita da Legambiente. Quando arriverà il medico capace di attuarla?
E’ proprio di queste ultimissime ore la notizia della candidatura del Parco dell’Etna a entrare nella lista per le sue caratteristiche naturalistiche, ambientali, paesaggistiche e culturali. Cambierà qualcosa nella corretta valorizzazione di questo bene ambientale  unico al mondo?
Vista la gestione piattamente burocratica messa in atto finora dall’Ente Parco, abbiamo motivo di nutrire più di un dubbio.

3 Comments

  1. quando capiremo che la REGIONE SICILIANA è la struttura veramente responsabile dello sfascio del territorio siculo sarà sempre troppo tardi. E del resto, queste strutture operano in modo da allentare la vigilanza e la custodia sui beni COMUNI ED INTANGIBILI. La dottrina dei BENI COMUNI è in disuso. Nessuno la pratica o la conosce. Le università la ignorano. Solo qualche mente illuminata la cita. Mi riferisco ad UGO MATTEI che sui BENI COMUNI ha scritto libri.Bisogna applicare il principio della gestione comune dei beni comuni. Il Parco dell’etne ed il territorio in genere non si possono manipolare a piacimento. L’edilizia deve rispondere ai principi degli standards urbanistici. Ma nessuno li conosce e li applica. Ritengo quindi che fare ricorso all’UNESCO è financo una battuta di spirito ed è un modo per non tutelare l’ambiente.MI fanno ridere i lunghi articoli di Fava o di altri intellettuali che sono ben seduti su poltrone remunerate con denaro pubblico ma che non sanno nulla dei beni pubblici e non fanno concretamenrte nulla. Gridano solo al vento. Quando si manda in pensione questa gente inutile?

  2. Il modello di uno sviluppo turistico che coniughi tutela del patrimonio artistico e ambientale con le necessità di ritorno economico è nella gestione di regioni come l’Umbria e la Toscana. Quasi nessun siciliano è interessato a questo modello di sviluppo. purtroppo questa è la realtà, e lo constato con la morte nel cuore.

  3. ma c’è anche da constatare che abbiamo rappresentanti da dare in pasto ai pesci con pericolo di inquinamento. NOn c’è un solo politico che sappia dare un piano regolatore decente al suo paese. Se si parla con gente che vive in Norvegia si apprende quanta bellezza si ritrova nel loro ambiente e quanta quiete c’è nella vita della gente comune. Ovviamente , la Norvegia non è il Paradiso in terra, ma certamente gli abitanti praticano regole di vita civili e rispettose dell’abiente e del territorio. Dalle nostre parti invece vige la regola della selvaggia distruzione dell’ambiente per cui assistiamo quasi inermi alle devastazioni poste in essere da arricchiti muratori e volgari speculatori. I politici hanno ovviamente un livello culturale degno del rango che occupanoi: sono i legittimi tutori dei vandali che hanno messo le mani sulle nostre città.

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