Muscetta/Ginzburg, un ricordo e un libro

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Folate di vento a mitigare il caldo di fine agosto, una terrazza in collina e come sfondo il mare di Acitrezza. Sarebbe piaciuta a Carlo Muscetta la sera d’estate scelta per ricordarlo e per ricordare la sua opera, nel centenario della nascita, il 22 agosto del 1912, lì, a pochi passi dalla casa in cui è vissuto e morto. E come ogni anno è stato dato alle stampe per i tipi de Il Girasole di Angelo Scandurra, uno scritto del prof., come ancora oggi lo chiama, con amore e devozione, la moglie Marcella Tedeschi.
Lo presenta con accattivante coinvolgimento e con un linguaggio immediato, niente affatto accademico, un’assistente di Muscetta, Rosa Maria Monastra, docente di letteratura italiana dell’Università di Catania. Quest’anno il volume, curato da Vincenzo Frustaci, raccoglie il carteggio tra Muscetta e Leone Ginzburg, che si sviluppò negli anni ’30-’40. E’ la storia di un’amicizia interrotta, precocemente e brutalmente troncata dalla ferocia nazista, tra due ragazzi di 24 e 21 anni, vissuta con la profondità dei vecchi e la passione dei giovani.
Leone Ginzburg incontra Carlo Muscetta nel 1933. Ed è subito simpatia, feeling, diremmo oggi, intellettuale e umano e quindi amicizia. Otto le lettere pubblicate: sei di Ginzburg, due di Muscetta. Nel risvolto di copertina un testo-presentazione di Carlo Ginzburg, figlio del letterato antifascista ucciso dalle percosse dei suoi carcerieri tedeschi. “I due giovani parlano di conoscenti comuni, di libri, di progetti letterari. S’intravedono divergenze di gusto e di temperamento: Muscetta fa spedire a Ginzburg le poesie di Alfonso Gatto; Ginzburg non nasconde la sua insofferenza per la “poesia di tipo ungarettistico in genere” che riconduce al proprio “positivismo o non so che altro antipoeticismo”; e tre anni dopo parla di Lavorare stanca, l’opera prima di Pavese, come del “più bel libro di versi uscito in Italia”. Sono frammenti di una geografia letteraria, allora molto più variegata di quella dell’Italia di oggi …Ma accanto alle diversità che alimentano il dialogo tra i due amici c’è quello che li unisce, e che la censura fascista impediva di dire”. “Basterà il nome di Gobetti o di Petrini” scrive Muscetta, quando i due si danno ancora del lei “a promuovere una di quelle lunghe chiacchierate che mi trovano pronto e fresco, e che a lei pure, ho capito, piacciono non meno di me”.
I due amici non parlavano solo di letteratura ma anche di politica, con la cautela che imponeva il tempo. Nel 1943, nella Roma occupata dai nazisti, furono arrestati insieme nella tipografia dove si stampava il giornale clandestino L’Italia libera”, e incarcerati a Regina Coeli, dove Ginzburg morì il 5 febbraio 1944.
Alle lettere nel testo edito da Il Girasole, vengono affiancati gli scritti che Muscetta dedicò all’amico. Così lo ricorda in un articolo pubblicato su “L’Italia libera” del 5 giugno del 44: “….questo giovane possedeva quella che vorrei chiamare una terza dimensione, quella profondità di coscienza senza di che si diventa adulti non uomini, senza di che non si conquistano le amicizie durature che ci stringono a convivere con gli altri per essere degni di una più degna umanità”.
“… Ma se Ginzburg nonostante la sua varia attività di professore all’università di Torino, direttore di una grande casa editrice, antifascista, letterato e giornalista politico, non ci lascia un’opera qualcosa ci ha lasciato che ci sembra degno d’essere considerato sacro come un testamento, il suo ideale di una stampa non solo libera ma elevata, sempre responsabile di un proprio tono, e della verità, e della nettezza, l’abominio che lui, federalista nutriva per le angustie provinciali di ogni nazionalismo,…Quando potremo salutare qualcosa di più che l’alba di un’Italia libera dalle vergogne e dal malcostume, e di un’Europa federale… allora dovremo ricordarci di Leone Ginzburg…

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