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No allo specismo, la specie uomo rispetti le altre

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Sperimentazione dei cosmetici sugli animali? L’Unione Europea ha detto no. Lo ha fatto con una direttiva del 2003 (2003/15/CE) che l’11 marzo scorso ha concluso il suo iter di applicazione graduale. E’ quindi entrato in vigore il divieto totale per quanto riguarda sia la sperimentazione sia la commercializzazione dei cosmetici sperimentati sugli animali.
Argo offre sull’argomento un suo contributo pubblicando la riflessione pervenuta da un’amica catanese che da anni vive  all’estero e ci ha inviato la traduzione di due significativi articoli sull’argomento e un abstract che ne sintetizza le principali argomentazioni.
Ecco l’abstract

Il sorgere (o forse risorgere) di una coscienza più avvertita sulla inquità del rapporto che la comunità umana ha stabilito con gli animali non umani, dalla seconda metà del secolo passato ha prodotto molto pensiero soprattutto nel campo della filosofía morale e della filosofía della scienza. In questo contesto è (ri)sorto un –ismo: lo specismo, cioè la discriminazione ingiusta da parte dell’animale umano contro membri di altre specie animali non umane. Gli ambiti in cui lo specismo si dispiegherebbe in maniera più incontrollata e moralmente riprovevole sono stati individuati nell’allevamento industriale (con la sua catena senza fine di crudeltà, dal concepimento al mattatoio) e nella sperimentazione sugli animali (soprattutto nella sua forma più atroce, la vivisezione).
I due articoli che qui presentiamo, in traduzione italiana, si complementano sia nel taglio, sia nell’oggetto specifico che analizzano.

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John Benson (oggi professore emerito dell’università di Lancaster) i un articolo del lontano 1978 pone sul tappeto molti dei temi che intorno al tema dello specismo le scienze – filosofía morale, antropologia, psicología, biologia, etología, ecologia etc., etc. – andranno scandagliando nei decenni successivi, fino ad oggi.
L’autore discute due libri che, all’epoca, segnarono l’inizio della diffusione del tema anche tra il grande pubblico. Ancora oggi influenti, i due testi -di Peter Singer e di Stephen R. L Clark – vengono letti da Benson con una lucidità ed un equilibrio che lo portano ad evitare conclusioni facili.
Del libro di Singer ammira il rigore e la determinazione “militante”, però non manca di notarvi le debolezze di un astratto appello alla costruzione di una sorta di gerarchia del valore della vita e dell’esperienza di sé in cui, secondo Singer, umani e bestie a parità di condizione, occuperebbero lo stesso posto.
Quello che manca nel lavoro di Singer, – e che invece acquista un posto centrale nel libro di Clark (pure criticato con molto brio in vari punti), è la relazione: la relazione tra gli umani e gli animali non umani e, più specificamente, tra questa persona e questa bestia.
La relazione sfugge a una gerarchia fissa biologica, e complica qualunque tentativo di gerarchia morale. Del resto, “pensare a se stesso come umano non è pensare alla classificazione biologica in cui uno viene a cadere, ma pensarsi come un punto di una rete di relazioni che si sovrappongono, in atto e in potenza, con altri individui” (e altri animali non umani).
Complicazioni che, enunciate in questo bell’articolo, saranno analizzate da punti di vista sempre diversi e emergeranno via via nella riflessione futura sullo specismo, soprattutto filosofica: si pensi soprattutto ai lavori di Cora Diamond, Ruth Cigman, David De Grazia, Steve Sapontzis, per citarne solo alcuni.
John Benson, Duty and the Beast – leggi la traduzione italiana
John Benson, Duty and the Best – leggi il testo originale in inglere

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Il secondo articolo che presentiamo, The Origin of specism (apparso sulla rivista britannica Philosophy nel 1996) prende le mosse da un importante tema che il dibattito sulla liceità dell’uso di animali da laboratorio ha segnalato: la possibilità di equiparare moralmente lo specismo alle teorie razziste e sessiste, oggi ovviamente stigmatizzate.
Gli autori non presentano una risposta conclusiva sulla liceità di questa equiparazione (sdegnosamente impugnata da molti ricercatori che alla sperimentazione sugli animali si dedicano, e che giustificano lo specismo con l’argomento che le differenze di specie, al contrario delle differenze di razza e di sesso, sono moralmente significative) peró segnalano, con vigore, l’importanza della provocatoria assimilazione dello specismo agli orrori del razzismo e del sessismo: sfidando la tendenza umana a dare per scontati “gli standard morali” codificati, questa provocazione può aiutarci a una riflessione spregiudicata e quindi prevenirci dal ripetere gli errori tragici dei nostri antenati (ma – aggiungiamo – anche di molti nostri contemporanei!) nei confronti del diverso da noi.
Con questa premessa morale e civile, gli autori rivolgono la loro attenzione congiunta di filosofo morale (Lafollette) e di biólogo, filosofo e storico della scienza biologica (Shanks, recentemente scomparso) a scandagliare la legittimità morale e scientifica dell’esperimento sugli animali non umani a beneficio degli animali umani.
Sullo sfondo di una visione non riduttivista della scienza e rifiutando la separazione cartesiana tra corpo e mente, gli autori mettono in scena un mondo biologico profondamente improntato all’idea dell’evoluzione, una realtà complessa e discontinua in cui se è vero che “animali umani e non umani sono biológicamente diversi”, resta comunque da stabilire – oltre al come e dove questi spartiacque debbano essere segnalati – se e come le differenze di specie siano moralmente rilevanti, tanto da giustificare quello che, come già detto, è il tema centrale dell’analisi: il giudizio sull’uso degli animali per la ricerca di laboratorio (soprattutto medica).
Attraverso un documentato excursus, l’articolo analizza la relazione tra le funzioni biologiche e i meccanismi causali che le sottendono, concludendo che esiste una asimmetria causale/funzionale: questa asimmetria costringe a ridimensionare e persino a negare validità scientifica a ricerche che estendono i risultati dell’osservazione da una specie a un’altra: specificamente dalla specie animale (oggetto dell’esperimento) a quella umana (sulla quale un esperimento da laboratorio non si considera moralmente legittimo).
D’altra parte, poiché le proprietà morali sono connesse alle proprietà funzionali rilevanti, se si considera che l’animale prescelto (il primate, soprattutto) presenta caratteri funzionali capaci di minimizzare il gap con l’umano, ecco che sarà impossibile giustificare moralmente l’esperimento: gli stessi caratteri che rendono le cavie buoni soggetti di test le fanno pure troppo vicine agli umani, ponendo serie riserve morali.
LaFolleete-Shanks, The origin of speciesims – leggi la traduzione italiana
LaFollettte-Shanks, The origin of speciesism – leggi il testo originale in inglese

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