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Un cooperante catanese tra i rifugiati del Sud Sudan

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Dieci studenti attorno ad un tavolo, tre professori e 40 minuti di ritardo. Inizia così il secondo di tre incontri organizzati, alla facoltà di Scienze Politiche, da CoSMICA (Centro per gli studi sul Mondo Islamico Contemporaneo e Africa) in collaborazione con il corso di laurea Global Politics and Euro-Mediterranea Relations e dedicati al racconto delle esperienze vissute da ‘studiosi’, operatori umanitari e cooperanti in alcuni paesi africani.
Protagonista del secondo appuntamento un paese giovanissimo, nato dalla scissione dal Sudan nel luglio del 2011 e da poco riconosciuto dalle Nazioni Unite, di cui è diventato il 193esimo stato membro, il Sud Sudan. Lo racconta Giovanni Sciolto, operatore umanitario per conto di una ONG, rientrato in città per una breve pausa di alcune settimane.
Dopo una breve introduzione dell’organizzatrice, Daniela Melfa, ha preso la parola la docente di Organizzazioni Internazionali Daniela Fisichella, che ha illustrato ai suoi allievi l’attività dell’Alto Commissariato per i Rifugiati a cui si deve l’allocazione delle risorse economiche sul territorio: la lezione si è protratta a lungo, troppo forse, per lasciare infine spazio all’intervento di Sciolto.
Laurea in Scienze politiche nello stesso ateneo, tanto lavoro svolto con i migranti al Centro Astalli ed ulteriori esperienze sul campo in Tunisia e Congo, il giovane cooperante ha introdotto il suo intervento con una proiezione fotografica, durata pochi minuti, attraverso la quale ha cercato di sintetizzare la breve e tormentata storia dello stato del Sud Sudan.
Dalle espressioni smarrite degli studenti sembrava che del Sud Sudan essi, fino a pochi minuti prima, non sospettassero nemmeno l’esistenza; niente paura, un’opportuna cartina geografica ha aiutato a chiarire un po’ le idee!
Giovanni Sciolto lavora in un  in un’area in cui l’UNHCR ha allestito 4 campi per i rifugiati. Di questi, 115.000 sono i rifugiati provenienti dalle regioni del Sudan ancora in guerra, specialmente dalla regione del Blu Nile; 95.000 sono invece le persone originarie del posto (che nel gergo degli operatori umanitari vengono chiamate Host communities); a queste due comunità in forte tensione tra di loro vanno aggiunti i returnees, persone originarie della regione che a guerra finita ritornano a casa dai paesi circostanti.
Anche se i travagli della regione sono dunque ben lontani dall’aver trovato una conclusione, l’attenzione dei media, puntualizza Sciolto, è scarsa, poiché in questo momento due paesi, il Mali e la Siria, si sono imposti all’attenzione pubblica catalizzando anche il grosso degli investimenti di denaro.
L’intervento di Sciolto è stato ricco di aneddoti sulla vita nel campo, come le water ladies, le donne fornite di secchielli dall’UNHCR in carovana per andare a prendere l’acqua, e i daily workers che, visti i bianchi ed umanitari operatori spostarsi in macchine con l’aria condizionata, decidono di non volere la paga giornaliera di 8 dollari, ma a quel punto ne reclamano 10.000!
Le domande dei professori presenti, che si interrogavano su argomenti di carattere generale, come la presenza della Cina nello sfruttamento dei pozzi di petrolio sudanesi, o anche filosofico, come la possibilità o meno di distinguere l’intervento politico da quello umanitario, o se gli scontri tribali possano addebitarsi a naturalità o cultura, hanno di fatto accorciato l’intervento dell’ospite.
Così Giovanni Sciolto, questo ragazzo dai penetranti occhi verdi, che è dimagrito di 10 chili durante gli ultimi mesi africani, che parla l’arabo, lo swahili ed altro ancora, ed ha “una grandissima capacità di ascolto e davvero una marcia in più”, come ci confida sorridente la responsabile del centro Astalli, ha lasciato la parola ai professori…
Chissà quante altre cose ancora avrebbe potuto dirci, sulla gente del posto, le donne, i bimbi, sui bianchi negligenti e quelli efficienti, sui coraggiosi ed i codardi, tutte quelle cose che sui libri di studio non ci sono e bisogna andare sul posto per scoprirle, o invitare questo ventenne e farsele raccontare!

2 Comments

  1. La giornalista che ha assistito al seminario ha potuto vedere che nel frattempo si svolgeva un consiglio di dipartimento, con adempimenti importanti (aggiungo io) nel senso di burocraticamente vincolanti e impegnativi dal punto di vista del tempo necessario ad assolverli. E’ questa una delle conseguenze della così detta riforma Gelmini e dei provvedimenti del successivo ministro. Siamo tutti spiacenti di dover dedicare più tempo ad adempimenti di questo genere e meno tempo a seminari, ricerche e altre attività più propriamente legate alle finalità dell’Università. E tuttavia ci proviamo e anche nei giorni successivi si sono tenuti altri seminari in Dipartimento con larga e qualificata partecipazione di pubblico, di studenti e di docenti. Un affettuoso saluto.

  2. Comprendiamo le ragioni del prof.Mangiameli, ma apprezziamo di più un giornalismo che finalmente a Catania ci informa di quanto potremmo sapere e non solo di quanto abbiamo appreso.

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