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Per i migranti morti, lutto cittadino. Per i vivi, quale accoglienza?

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Domenica 11 agosto, intorno alle 19,00, un bambino di circa 8 anni scavalca il cancello della scuola Andrea Doria di Catania e prova a fuggire. All’esterno viene bloccato dai volontari che, dal giorno dello sbarco, testimoniano la loro solidarietà ai migranti.
Sì, il bambino fa parte del gruppo della Plaia, come i sei che non sono riusciti a raggiungere la riva.
Subito dopo arriva la madre, giustamente preoccupata, viene circondata dalle forze dell’ordine, tutti maschi, parla, urla, in arabo, nessuno la capisce. Finalmente, insieme con il marito, arriva il mediatore culturale, anche lui un volontario.
Spiega che il bambino ha paura delle divise e che la donna non vuole essere toccata dagli uomini. Invita tutti a comprendere ciò che sta succedendo. Serve tempo per rasserenare gli animi, un controllo il meno invasivo possibile. Alla fine, spinti dai tutori dell’ordine, i tre rientrano dietro il cancello.
Certo, il Comune ha dichiarato il lutto cittadino, si tratta di un gesto importante, di grande significato, e non va sottovalutato, di un gesto che fa onore alla Città.
Altrettanto impegno, però, si sarebbe dovuto profondere per l’accoglienza, mentre si ha la sensazione di una grande disorganizzazione.
Sono i volontari, chiamati da ARCI, Rete Antirazzista Catanese, Catania Bene Comune, Collettivo Politico Experia, Osservatorio Catania,  senza soluzione di continuità, a garantire la presenza dei mediatori culturali, fare intervenire un gruppo di medici per fornire le prestazioni sanitarie di cui adulti e bambini hanno bisogno, portare succhi di frutta per i bambini e comprare, con i loro soldi, le medicine necessarie.
Presenti anche altre associazioni, Croce Rossa, Misericordie e Comunità di S. Egidio.
Perché tutte queste cose non sono state garantite dallo Stato, intendendo con questo termine tutte le istituzioni coinvolte? Perché non è stato possibile, nonostante le tante e ripetute sollecitazioni, spostare i bambini, molti al limite della disidratazione, in locali meno infuocati rispetto alla palestra dove sono ancora tenuti, o dovremmo dire reclusi?
E’ così difficile organizzare in maniera decente l’accoglienza? Certo la situazione è complessa e Catania non è forse preparata ad affrontarla.
I migranti ancora trattenuti nella scuola Andrea Doria non vogliono farsi identificare. E non perchè siano ‘delinquenti’, tanto più che sono rimaste per lo più famiglie con bambini. Secondo quanto previsto dal regolamento ‘Dublino 2’, lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo sarà lo Stato in cui il richiedente asilo ha messo piede (ed è stato identificato) per la prima volta nell’Unione Europea.
I migranti sono convinti che l’Italia non garantisca né accoglienza né integrazione, poiché nel nostro paese passano mesi, e a volte anni, prima che si concludano le procedure dei richiedenti asilo; anni da trascorrere in mega strutture come, ad esempio, il CARA di Mineo, che non garantiscono una dignitosa qualità della vita.
Inutile dire che chi fugge da paesi in guerra, come la Siria, vorrebbe, quanto prima, poter dimenticare e ricominciare a vivere.
Ecco perchè ci sembra un grave errore ridurre il dramma che abbiamo di fronte a “questione di ordine pubblico”. Ciò che accade nel mondo ci dice che non si tratta di processi contingenti e che le vie della repressione sono fallite ovunque. Non sarebbe più logico, oltre che più umano, imparare a governare tutto ciò?
Se il lutto cittadino rappresenta anche una presa di coscienza, il passo successivo non potrà essere che quello di prendere atto dei disastri prodotti dalla Bossi-Fini e di rivedere quelle scelte politiche che hanno trasformato il mar Mediterraneo in un enorme cimitero.
In questa direzione sarebbe opportuna una costante collaborazione di tutte le forze in campo ed una sinergia tra istituzioni e volontariato, tutto il volontariato disponibile a spendersi per assicurare accoglienza ai migranti.
Che senso ha, allora, aver impedito, dalle 15 di Lunedì, l’accesso alla scuola a gruppi di volontari che avevano contribuito con la loro presenza a risolvere alcuni problemi e a garantire il dialogo con i migranti superando, con l’intervento di propri mediatori, le difficoltà linguistiche?
E’ comprensibile che, in una situazione complicata, ci siano momenti di concitazione anche nel rapporto forze dell’ordine- volontari, ma è opportuno chiedersi se si possano e si debbano ‘scaricare’ quei gruppi di cui in precedenza si è chiesta la collaborazione.
Gruppi che hanno dato il loro apporto anche per risolvere il problema di Haman, sedicenne ricoverato all’ospedale Vittorio Emanuele con una grave frattura del bacino e registrato come sconosciuto profugo n° 10. Per operarlo serviva l’autorizzazione di un legale rappresentante che, per due giorni, non è stato nominato.
Non omogeneo, come spesso accade in questi casi, il comportamento degli operatori delle forze dell’ordine. Alcuni hanno cercato, con buon senso e disponibilità alla collaborazione, le risposte adeguate ai bisogni dei migranti, altri si sono concentrati nel controllo dei volontari, quasi fossero pericolosi terroristi, registrando -ad esempio- i numeri di targa dei motorini e delle auto presenti, oppure trascinando e trattenendo un volontario all’interno della struttura per circa un’ora, senza validi motivi.
Lasciano , inoltre, perplessi le dichiarazioni della dott.ssa Giuffré, responsabile dell’area immigrazione della Prefettura di Catania, riportate da La Sicilia.it, “Dei testimoni ci hanno riferito che in diverse [occasioni]questi volontari esterni avrebbero istigato i migranti alla fuga – sottolinea il vice prefetto – rischiando di intralciare il nostro già difficile lavoro di identificazione degli extracomunitari, imposto dalla legge”.
Parole respinte come assolutamente destituite di fondamento dalle associazioni del volontariato, che oggi, 14 agosto, alle 10 terranno, sull’intera vicenda, una conferenza stampa di fronte ai cancelli della scuola.
I fatti, a questo punto, devono essere verificati. I catanesi, e non solo loro, vista la complessità dei problemi, hanno il diritto di conoscere la verità e sapere, con certezza, chi ha sbagliato.
Leggi il Comunicato Stampa delle associazioni che partecipano al ‘presidio di solidarietà’

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