Costituzione, giù le mani dall'articolo 138

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Non solo Rodotà e Zagrebelsky ma anche Landini e don Ciotti si sono mossi in difesa della Costituzione, che non è solo affare di giuristi ma ‘carne viva’ di tutti cittadini, serbatoio dei principi fondamentali della nostra convivenza e delle forme del nostro ordinamento politico. Ma non sarebbe invece opportuno, dopo più di sessanta anni, procedere ad una sua revisione? Lo sostengono in molti e forse non tutti in buona fede. Il dibattito è aperto ed oggi interviene, dal nostro sito, Ettore Palazzolo, costituzionalista, già docente nell’Università di Catania.
E’ diventato quasi un luogo comune che la Costituzione italiana sia superata e che impedisca l’ammodernamento del Paese mentre i diritti individuali e sociali sarebbero di ostacolo allo sviluppo economico. Si arriva a sostenere, come fa intendere abbastanza chiaramente una fra le più note Agenzie internazionali di rating, che la Costituzione debba sottostare alle istituzioni europee, in particolare alla BCE e, per il tramite di questa, ai Mercati, unica Norma fondamentale cui tutto deve essere subordinato.
Da qui le “ineludibili riforme” per cambiare l’attuale Carta in senso efficientistico-aziendalistico, di cui il presidenzialismo è solo la punta dell’iceberg. Chi difende la Costituzione repubblicana sarebbe, in questa prospettiva, un inguaribile conservatore.
Certo, la Costituzione può essere modificata e alcuni interventi di semplice manutenzione sarebbero anzi auspicabili, come il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei parlamentari, con previsione di un tetto per le relative indennità.
Nel testo della Costituzione sono, d’altra parte, previste procedure, modalità e limitazioni che rendono possibile la revisione, garantendo al contempo la Carta fondamentale da ogni possibile stravolgimento.

Centrale, a questo scopo, è l’art. 138 che richiede una doppia deliberazione da parte di entrambe le Camere, a distanza di tre mesi, e l’eventualità del referendum nel caso non venga raggiunta la maggioranza dei 2/3.
Deve poi trattarsi di modifiche puntuali, singoli istituti (un articolo, o anche solo un comma), non certo intere parti della Costituzione medesima. Anche per poter consentire, nel caso non sia raggiunta la maggioranza dei 2/3 in Parlamento, lo svolgimento di un referendum nel quale il voto sia libero, occorre che esso abbia per oggetto quesiti omogenei, ai sensi di quanto stabilito dalla Corte costituzionale).
Quanto ai limiti alla revisione costituzionale, oltre ai diritti qualificati dalla stessa Costituzione come inviolabili, va certamente richiamato l’art. 139, secondo il quale “la forma repubblicana non è soggetta a revisione”, formula questa che deve essere intesa in senso ampio, comprensiva cioè di tutti i principi e valori che qualificano la forma dello Stato repubblicano italiano (fra cui, in primis, quelli contenuti nei primi 12 articoli della Costituzione e così espressamente qualificati: tutela del lavoro, uguaglianza, solidarietà, dignità della persona, unità della Repubblica e garanzia delle autonomie regionali e in parte locali, di formazioni sociali, confessioni religiose e minoranze etnico-linguistiche, difesa e promozione di cultura e ambiente, tutela dello straniero in situazione di bisogno e difficoltà, ripudio della guerra, promozione della pace e della solidarietà internazionale).
Ma anche la rigidità della Costituzione costituisce uno dei principi fondamentali, ne pertanto deriva che il procedimento che assicura tale rigidità – cioè lo stesso art. 138 – assuma un rilievo talmente importante, quale chiave di volta dell’intero edificio costituzionale, da ritenersi per ciò stesso sottratto alla revisione.
Nella dottrina costituzionalista si è parlato, a tale proposito, di Supercostituzione, ovvero di un principio supremo, caduto il quale, cade l’intera Costituzione, in quanto fonte sovraordinata a tutto l’ordinamento.
Quello cui assistiamo, con l’ultimo progetto di revisione n. 813 – B, è il tentativo, che va fortemente stigmatizzato e contrastato, di stravolgere la Costituzione, manomettendone, con la modifica dell’art. 138, per così dire, la porta di ingresso.
Tale modifica costituisce infatti un grimaldello per modificare rapidamente la Costituzione, attenuandone, se non bypassandone le garanzie.
Né vale obiettare che si tratti propriamente di deroga e non di modifica dell’art. 138. Se infatti tale modifica viene utilizzata per cambiare l’intera Costituzione, importa poco che rimanga sulla carta una disposizione identica a quella dell’art. 138, peraltro derogabile anch’essa. In fondo il Fascismo, non ha modificato di una virgola lo Statuto albertino, costituzione divenuta flessibile, l’ha soltanto derogato, dato che esso è rimasto formalmente in vigore fino al 1948.
Venendo poi al merito di quello che dovrebbe essere il contenuto della revisione costituzionale, nel progetto si parla genericamente di revisione dei titoli I, II, III e IV della parte Seconda della Costituzione, nonché delle “disposizioni della Costituzione e di altre leggi costituzionali strettamente connesse a tali titoli”. Successivamente il Senato, in prima deliberazione, ha ampliato l’ambito della revisione alla Forma di governo ed alla Forma dello Stato che implica anche il sistema delle garanzie e dei diritti fondamentali.
Vista l’ampiezza della materia costituzionale sottoposta a revisione, che dovrebbe riguardare circa 75 articoli, appare evidente che non di revisione si tratta, ma dell’iter di formazione di una nuova Carta costituzionale.
Va infatti tenuta presente, a questo proposito, la netta distinzione che viene operata in dottrina fra Potere costituente e Poteri costituiti, fra i quali va annoverato quello della revisione costituzionale. Con tale progetto l’attuale maggioranza parlamentare si è posta obiettivi che vanno molto al di là della semplice revisione costituzionale propriamente detta, usurpando nei fatti un Potere costituente per il quale non ha alcuna legittimazione.
Ma anche nel caso di una revisione concernente piccole modifiche, pienamente legittime e nel complesso accettabili, rimane il precedente dell’utilizzo del grimaldello della modifica dell’art. 138, che un prossimo futuro potrebbe venir adoperato da un’altra maggioranza parlamentare, ispirata a ideologie populiste e plebiscitarie, per modifiche antidemocratiche e autoritarie.
La presenza poi di una Commissione di esperti, introdotta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, peraltro cooptati con criteri del tutto arbitrari (lottizzazione?), aventi il compito di presentare uno o più proposte di revisione, rischia di costituire un’ulteriore forzatura della Costituzione, la quale, ricordiamo, attribuisce il potere di iniziativa legislativa, e quindi anche quello di revisione costituzionale, ai soggetti indicati nell’art. 71 (ogni singolo parlamentare, il Governo, 50.000 cittadini elettori, ogni Consiglio regionale, il CNEL). Tra di essi non figurano degli “esperti”…
In realtà la Costituzione repubblicana è tuttora attuale e ben viva, e non può certo essere considerata superata. I problemi e i drammi che viviamo in questi tempi sono stati in qualche modo da essa previsti nei suoi principi fondamentali. Essa quindi rappresenta la bussola per la risoluzione di molte questioni, che spetterà poi alla politica portare a compimento, ed alla magistratura garantirne i diritti. Va infatti ricordato che la tutela dei diritti fondamentali (individuali e sociali) non sarebbe stata possibile senza il ruolo determinante della Corte costituzionale, oltre che della Magistratura.
Il problema è piuttosto quello dell’applicazione della Costituzione repubblicana, la quali in alcune sue parti è largamente disapplicata, quando non apertamente violata. In questo senso l’insieme dei principi e valori, che caratterizzano soprattutto la prima parte del testo, integra un modello di società egualitaria, pluralistica e solidale, nonché un programma di lungo periodo in cui forze democratiche, progressiste, ma anche sinceramente liberali possono legittimamente riconoscersi.
Va, invece, posto all’ordine del giorno di tutte le forze democratiche, dal momento che circa l’80% delle decisioni politiche di interesse nazionale avvengono a livello europeo, il tema del funzionamento dell’Unione europea e della effettiva democratizzazione delle sue istituzioni.

3 Comments

  1. Chiaro, e prezioso, questo scritto dell’ottimo Ettore Palazzolo. Soprattutto per i cittadini che come me, non attrezzati in fatto di diritto, temono di essere espropriati dell’unico solido baluardo di cui l’Italia dispone contro gli avventurismi di una politica rischiosa.
    Mi piacerebbe poi che E.P. e/o chi ha, come lui, competenze e cuore ci facesse un pur breve corso di Diritto Costituzionale.

  2. vorrei segnalare ad Antonio che le lezioni del prof. Palazzolo debbono essere pubbliche per cui le può frequentare liberamente .

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