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Bassiouni a Catania, equilibri internazionali e realpolitik

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Bassiouni,SSC CataniaPrimavera araba, una rivoluzione in divenire”. Questo il titolo del seminario tenuto giovedì scorso, alla Scuola Superiore di Catania, da Mahmoud Cherif Bassiouni, professore emerito di Diritto presso l’Università DePaul di Chicago, nonchè politologo e storico.
Egiziano di nascita e studi, ha collezionato 9 lauree ad honorem in Università di tutto il mondo ed è stato candidato al Nobel per la Pace nel 1999. Ha inoltre un rapporto particolare con la Sicilia, essendo tra i fondatori dell’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali (ISISC) di Siracusa.
Proprio dallo stato di sviluppo del diritto penale internazionale ha preso l’avvio il seminario, il cui titolo è stato non più che un pretesto per Bassiouni che, forte dei numerosi ruoli ricoperti nell’ambito delle Nazioni Unite, ha offerto una panoramica storico-politica degli equilibri internazionali. Una vera e propria lectio magistralis, naturalmente con un focus particolare sul Medio-Oriente.
“Dalla seconda guerra mondiale al 2008 ci sono stati 313 conflitti nel mondo per un totale di 92 milioni di vittime. Possiamo ipotizzare dunque che vi siano stati almeno 1 milione di perpetratori”, ha spiegato Bassiouni. “Bene, volete sapere quante persone sono state processate dalle Corti internazionali? 827. Volete sapere a quanto ammontano le spese per questi processi? Quasi 1 miliardo e mezzo di dollari”.
Le cifre raccontano più di ogni altra cosa l’inefficienza attuale del sistema di giustizia penale internazionale e Bassiouni non ne nasconde le cause reali. Non cerca di rendere il suo discorso politically correct.  Al contrario, cerca di evidenziare il conflitto tra le esigenze di giustizia internazionale e le scelte di geopolitica.
“Quando ricevetti l’incarico per indagare in Libia nel 2011, prima della cattura di Gheddafi fui inondato di fondi” – racconta Bassiouni – “Dopo la sua cattura, nel momento in cui avrebbe dovuto avere inizio il vero lavoro d’inchiesta, tutti i fondi sono stati tagliati e sono affiorati tutti i problemi burocratici”.
L’importante era la cattura del capro espiatorio, non indagare e far giustizia sui crimini commessi in Libia.
A suo parere l’appesantimento della burocrazia è lo strumento utilizzato a fini geopolitici per bloccare di fatto la giustizia internazionale. “Non è tanto il veto nel Consiglio di Sicurezza a bloccare il lavoro dell’ONU, quanto la burocrazia”, afferma Bassiouni.
BassiouniIl professore racconta con amarezza la sua esperienza nella Commissione di esperti incaricata dall’ONU nel ’92 di indagare sui crimini di guerra commessi nella ex Jugoslavia. “La Commissione, che agli occhi del mondo sembrò una grande conquista di civiltà, non aveva né budget, né personale, né uffici. In realtà la politica non voleva intervenire. E la burocrazia non fu altro che lo strumento utilizzato per bloccare di fatto l’operatività della Commissione”.
Nessun tentativo di semplificazione nel discorso di Bassiouni, nonostante che, dinanzi a un mondo sempre più complesso e ad una sempre più forte settorializzazione delle conoscenze, domini la paradossale tendenza ad offrire risposte facili e approssimative.
Inutile, ad esempio, a suo dire, analizzare la Primavera Araba come un fenomeno unitario o definirla la rivoluzione democratica dei paesi nordafricani.
“Il terreno sismico è comune, ma i crateri sono profondamente diversi”, spiega il professore. L’“eruzione” egiziana è diversa da quella tunisina, così come dalla libica, e non si può prescindere dalla storia di ogni singolo Paese per comprendere i motivi di ogni rivoluzione. Allo stesso modo non si può parlare di risveglio democratico del Nord-Africa. Di “democratico” rimangono solo i primi 18 giorni della rivoluzione egiziana e la rivolta tunisina.
La lectio di Bassiouni ha offerto alla cittadinanza una vera e propria boccata d’ossigeno culturale in un periodo in cui l’opinione pubblica è letteralmente ubriacata da slogan e annunci e perde spesso aderenza alla realtà.
Il seminario assume ancor più rilevanza considerando che le dinamiche e gli equilibri internazionali appaiono spesso confusi e di ardua comprensione per il cittadino, il quale ha difficoltà a scorgere dietro gli eventi e la retorica internazionale ciò che è solo realpolitik.

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