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Riforma delle Province, Delrio o Crocetta?

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Abolizione o ridimensionamento? E secondo quali criteri, quelli della legge approvata dall’ARS o quelli della legge nazionale, la cosiddetta ‘legge Delrio’? Non si è ancora concluso il percorso di riforma dell’istituto delle Province, soprattutto da noi in Sicilia, dove la legge n.8 del 24 marzo 2014 ha già decretato la loro soppressione e la nascita dei Liberi consorzi di Comuni e delle Città Metropolitane.
La gestione dei territori delle ex Province è provvisoriamente nelle mani di Commissari, nominati dal Presidente della Regione, i cui poteri sono stati prorogati fino al 4 aprile 2015 per dare tempo all’Assemblea Regionale dicompiere tutti gli adempimenti prescritti dalla normativa.
Tutto ciò anche in risposta a chi, come il presidente della Assemblea Regionale siciliana Giovanni Ardizzone, ha sollecitato invece il recepimento della legge nazionale che, appena un mese dopo la soppressione decretata dall’ARS, ridisegnava confini e competenze dell’amministrazione locale, riorganizzando anche le Province e limitandone i poteri.
Accanto alle nuove Province, in attesa di una modifica costituzionale del titolo V della Costituzione, la legge n.56 del 7 aprile 2014 prevede -a sua volta- Città metropolitane e Unioni di Comuni.
Quali allora le differenze fra la legge nazionale e la legge siciliana? Cercheremo di individuare almeno le più importanti.
Del Rio, abolizione province La Delrio è, innanzi tutto, una legge tendenzialmente completa che disciplina le funzioni dei nuovi Enti, anche nel dettaglio e stabilisce le modalità di elezione dei vari organismi, cosa che nella legge siciliana non si riscontra.
La legge nazionale prevede inoltre l’allocazione delle risorse, materiali, finanziarie ed umane, da trasferire ai nuovi Enti, ed in parte anche a Comuni e Regioni. Permane un certo tasso di incertezza per i circa 60 mila dipendenti delle Province, i quali, tuttora, non conoscono la loro precisa collocazione, pur in presenza di garanzie circa il mantenimento del posto di lavoro e del livello retributivo.
Altro tema da chiarire è quello relativo al risparmio previsto in seguito alla introduzione di questa riforma, nata anche in risposta al diffuso sentimento anticasta e alla proclamata volontà di ridurre gli sperperi. Nonostante le cifre del risparmio stimato non siano certe, è ragionevole prevedere un’economia di spesa fra i 300 ed i 400 milioni. Non si tratta certo di una grossa somma. Anche l’applicazione della legge regionale, come abbiamo già scritto, non comporterebbe del resto un risparmio economico di rilevante entità.
A differenza della legge regionale, in quella nazionale non è prevista una vera Giunta di governo, che manca sia nell’organizzazione delle Città metropolitane, sia in quella dei nuovi enti, chiamati provvisoriamente ancora Province, che dovrebbero sostituire le vecchie Province.
Nella legge regionale, inoltre, l’Assemblea dei Sindaci, sia nelle Città metropolitane, sia nei Liberi Consorzi, è l’organo deliberativo del rispettivo Ente, a differenza della legge nazionale, in cui è soltanto un organo consultivo.

Un’ultima differenza riguarda l’ambito territoriale dei liberi Consorzi previsti dalla legge siciliana. I Comuni, potranno chiedere di dare vita al nuovo ente, purché questo abbia una popolazione di non meno 180 mila abitanti, una cifra francamente troppo bassa.
Ma proprio per la sua dettagliata disciplina, appare difficile inquadrare la legge Delrio come una riforma che porti all’abolizione delle Province, il che, oltretutto, non troverebbe riscontro in quasi  nessuno dei paesi europei, in cui quasi dappertutto figura un Ente intermedio, simile alla Provincia.
Di certo c’è soltanto l’abolizione delle indennità e dell’elettività popolare dei due organi che saranno eletti con un’elezione di secondo grado.

Appare preoccupante il fatto che la nuova legge punti ad una netta diversificazione fra due tipi di Province: quelle poche, quindici in tutt’Italia, destinate a diventare Città metropolitane, e le molte altre, poco meno di un centinaio, che, provvisoriamente continuano ad essere chiamte ‘province’.
In una situazione di grave crisi finanziaria dello Stato e di tutti gli Enti territoriali minori (vedi Patto di stabilità), questa diversificazione ptrebbe comportare una divaricazione fra Enti, quali le Città metropolitane, giudicati meritevoli di sostegno e finanziamenti da parte di Stato, Regioni e Unione europea, e altri Enti, le nuove Province, destinatari, invece, di risorse limitate e che dovrebbero far fronte ai servizi necessari o imponendo nuove tasse ai cittadini, ovvero reperendo le risorse dai già deficitari bilanci comunali.
In ogni caso siamo sicuri che continueranno ad essere garantiti in modo equilibrato i diritti cosiddetti di cittadinanza, trasporto pubblico, ambiente, fruizione culturale, ecc.?
Si corre il rischio di determinare un’ulteriore diversificazione dello sviluppo dell’intero territorio nazionale, che vedrebbe certamente penalizzate le regioni meridionali il cui capoluogo non è destinato a divenire Città metropolitana.
A conferma di tale diversificazione sta il diverso regime delle indennità: mentre il Presidente della Provincia e i Consiglieri, non avranno diritto ad indennità alcuna, Il Sindaco metropolitano non potrà soltanto avere indennità o emolumenti aggiuntivi, godendo già di una cospicua indennità, in qualità di Sindaco di grossa città, come pure i Consiglieri metropolitani che dovessero ricoprire anche la carica di Sindaco di un Comune.
E queste considerazioni valgono sia per la legge regionale che per quella nazionale. In questo quadro, i diritti sociali saranno ugualmente garantiti?
Per il resto valgono ancora le considerazioni svolte su Argo a commento della legge regionale. In particolare per quanto riguarda l’elezione indiretta del Presidente e dei Consiglieri provinciali.
Eliminare l’elettività diretta di Presidente e Consiglieri provinciali non ci pare, in ogni caso, il modo migliore per ridurre il gap tra cittadini ed istituzioni, sia pure locali.

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