Graziella Priulla, quelle parole che uccidono

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Graziella Priulla alla Feltrinelli
Tossiche cioè velenose, dannose, letali. Così possono essere le parole ad uccidere civiltà e democrazia. “Noi siamo le parole che usiamo” -dice la sociologa della comunicazione Graziella Priulla che nei giorni scorsi ha presentato nella libreria Feltrinelli di Catania il suo ultimo libro, “Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo”, Settenove Editore .
E quindi, sempre più spesso, oggi, siamo sessisti, misogini, razzisti, omofobi. “Ormai – leggiamo – le pareti delle camerate e dei bagni pubblici, le cuccette dei camionisti, le curve degli stadi sembrano troppo strette: la volgarità si espande nei mass media, nella pubblicità, nelle università, nella politica, nei salotti, in bocca ai personaggi pubblici come agli sconosciuti”.
Perché è facile farsi trascinare verso questa deriva?, è intervenuto Alessandro Motta, presidente di Arcigay Catania.
“Perché il conformismo è comodo -risponde Graziella Priulla- Facciamo tutti le stesse cose. Siamo la società più omologata del mondo”. E nel capitolo dal titolo “Il fascino discreto del conformismo” si chiede: “La parolaccia automatica si limita a rispecchiare la volgarità diffusa nella società, oppure esiste un rapporto circolare per cui si rafforzano a vicenda?… L’uso si impone e diviene regola”.
Priulaa, Feltrinelli
Marina Cosentino legge un brano del testo di Priulla.Vi si parla del ricorso alla parolaccia, all’insulto, all’aggressione verbale e non solo, al “razzismo più becero” che “si è sprigionato dai più alti livelli istituzionali”; barzellette sessiste e doppi sensi rappresentano “un’Italia con la patta perennemente sbottonata”.
Graziella Priulla combatte contro il lessico dei ragazzi, troppo spesso povero di termini e ricco di parolacce. “Famo a capisse – dicono – Basta capirsi”. Sul banco degli imputati media e film che sdoganano il turpiloquio, le allusioni volgari e sciorinano un “repertorio sessuale o escrementizio” per nascondere una povertà di linguaggio che equivale a una povertà di relazioni.
E che dire delle parole della classe dirigente? “I politici – dice Priulla non scelgono questo tipo di linguaggio, loro sono così”. E non se ne vergognano perchè “oggi mostrarsi cafone è un vanto”. Il turpiloquio e la volgarità sono stati sdoganati.
Una volta il linguaggio dei politici era involuto e barocco , poco comprensibile e quindi poco democratico ma oggi il gentese, la lingua dell’uomo della strada, non è migliore e l’insulto cela la mancanza di argomenti, il vuoto delle idee.
Dice Priulla : “Ve lo immaginate Alcide De Gasperi che, alla Conferenza di pace di Parigi nel 1946, mentre dice “Sento che tutto, tranne la vostra cortesia, è contro di me”, fa le corna o dice cucù? Lo stile in politica è sostanza”.
Bersagli privilegiati sono le donne e gli omosessuali. Anche per insultare un uomo si accusa comunque la donna (l’uomo è un figlio di puttana).
E il pudore che fine ha fatto? Pudore, cioè non voler esporre a sguardi esterni zone di te, corpo o altro che sia, è ormai parola desueta: tutte le intimità si possono violare. Afferma Graziella Priulla: “Oggi è la sobrietà ad essere rivoluzionaria”.

A una ostentata, estrema, apparente spregiudicatezza non corrisponde la consapevolezza del proprio corpo e del sesso, della macchina riproduttiva. “Molti sono ancora analfabeti sul piano comunicativo, emozionale, relazionale”.
Un aneddoto lo racconta bene.
Alunna: “Professoressa, sono un po’ incinta”.
Professoressa: “Ma come un po’ ? O lo sei o non lo sei”.
Alunna: “Si ma è stata una cosa così , veloce, non importante”.
E con il pudore è scomparsa “l’indignazione, archiviata da un’operazione culturale pianificata”.
Importante andare in tv e guardare chi va in tv, non importa per far cosa o per dire cosa. “La visibilità ha sostituito la reputazione” dice Graziella Priulla ed ha ragione. Tutti amano mostrarsi, tutti amano guardare. Siamo, insomma, un popolo di voyeur ed esibizionisti.
Come rimediare? Non certo ricorrendo a monsignor Giovanni Della Casa ma ad un dissenso critico e ad un recupero dell’uso consapevole della lingua come portatrice di significati.
E c’è poi la strada indicata nel 1988 a Tokyo, dal Movimento mondiale per la gentilezza che promuove l’attenzione verso il prossimo e che ha una sezione italiana visitabile nel sito Gentilezza.org.
“Verso queste iniziative si potrà essere scettici – scrive Priulla – accusarle di buonismo, ma il fatto stesso che qualcuno abbia sentito l’esigenza di creare un movimento simile merita una riflessione. Le abitudini cortesi semplificano la vita, gratificano, distribuiscono minimi segnali di quel riconoscimento di cui tutti abbiamo bisogno. Perché dovremmo privarcene?”

2 Comments

  1. “la sobrietà è rivoluzionaria?” Insomma..non mi pare che il “sobrio” Mario Monti abbia lasciato un ricordo politicamente migliore del suo predecessore.
    Il problema non è la singola parola o parolaccia: “negro” in occa a Borghezio non è il “negro” detto in un film di Tarantino

  2. Cruscaioli e sessuofobici di tutto il mondo, unitevi!Uno spettro si aggira per il mondo: il purismo linguistico desessualizzato!(Monsignor della Casa di (In)tolleranza, “Bene dicere”, Educandato di Sopra, 1969, p. 69)

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