Per una difesa non violenta una legge di iniziativa popolare

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Da cosa ci sentiamo realmente minacciati? Da un’invasione nemica o piuttosto dalla crisi economica, dalla mancanza di lavoro, dal rischio idrogeologico e dalle variazioni climatiche?”
La legge di iniziativa popolare “Un’altra difesa è possibile: campagna per la difesa civile, non armata e nonviolenta” è stata presentata recentemente nella facoltà di Scienze Politiche di Catania dai suoi promotori, primo fra tutti Mao Valpiana, presidente nazionale del Movimento Nonviolento, che si è rivolto soprattutto ai giovani mentre spiegava gli obiettivi dell’iniziativa.
“Un’altra difesa è possibile,” spiega Valpiana “presuppone la presenza di almeno due alternative, ma finora quella militare è stata l’unica ad essere finanziata e di conseguenza l’unica attuabile.”
L’alternativa di cui parla, elaborata in più di un anno di discussione tra le 6 reti che la promuovono (Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile, Forum Nazionale per il Servizio Civile, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci!, Tavolo Interventi Civili di Pace), di cui fanno parte a loro volta 200 associazioni, è frutto di molte mediazioni e compromessi.
“Obiettivo della Campagna è quello di dare uno strumento ai cittadini per far organizzare dallo Stato la difesa civile, non armata e nonviolenta – ossia la difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; la preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; la difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni – anziché finanziare cacciabombardieri, sommergibili, portaerei e missioni di guerra, che lasciano il Paese indifeso dalle vere minacce che lo colpiscono e lo rendono invece  minaccioso agli occhi del mondo.”
Il proposito è raccogliere 50 mila firme entro la fine di maggio per presentare la legge in Parlamento il 2 giugno, in occasione della festa della Repubblica, con la proposta di istituire un Dipartimento della Difesa Civile con cui attuare una politica di difesa nonviolenta contrapposta a quella armata.
Questa data non è casuale: vuole sottolineare che l’art. 11 della Costituzione “ripudia la guerra”, afferma la difesa dei diritti di cittadinanza ed affida ad ogni cittadino il “sacro dovere della difesa della patria” (art. 52). E’ un principio che non è mai stato attuato davvero, perché per difesa si è sempre e solo intesa quella armata, affidata ai militari.
“In un tempo in cui abbiamo l’Isis alle porte può sembrare il momento più sbagliato per parlare di difesa non violenta,” dice Luigi Pasotti di Pax Christi, “invece è proprio questo il momento in cui dobbiamo spezzare questa spirale, in cui dobbiamo rafforzare l’idea che la difesa civile è in realtà l’unica difesa che abbiamo.”
Ma la proposta di una difesa di tipo civile non è la novità del momento. Essa ha radici lontane: risale dall’immediato dopoguerra fino alle prime obiezioni di coscienza che portarono sempre più persone a preferire il servizio civile alle leva militare.
Ed è proprio il servizio civile il primo esempio di difesa preso in considerazione dalle legge proposta, poiché esso è stato riconosciuto dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio di Stato come forma di difesa della patria. L’intenzione sarebbe quella di spostarlo dal Ministero della Gioventù al nuovo Dipartimento, rendendolo così accessibile anche agli adulti (cosa che per altro è già stata fatta a livello regionale in Emilia Romagna e nella provincia di Bolzano).
Un altro elemento importante che si propone di trasferire sotto il nuovo Dipartimento è quello della Protezione Civile per la difesa del territorio. “Quando crolla il soffitto di una scuola o il pilone di un’autostrada chi chiamiamo? I carrarmati e gli F35?” ironizza Valpiana.
“Sono addirittura 25 i miliardi che vengono investiti ogni anno per il Ministero della Difesa,” continua,“esclusi i progetti speciali come quello degli F35 che costano 150 milioni cadauno.”
Concretamente si propone allora di destinare parte dei fondi della difesa armata (per una cifra complessiva di 100 milioni) per l’organizzazione del Dipartimento. Un ulteriore finanziamento verrà poi dall’opzione fiscale: con un 6×1000 di imposta sul reddito i cittadini potranno partecipare anche come finanziatori.
La proposta di legge prevede inoltre la creazione di un Istituto di ricerche sulla pace e sulla risoluzione dei conflitti, indispensabile per la formazione dei cittadini, e l’affidamento delle missioni all’estero ai Corpi Civili di Pace che avrebbero l’obiettivo di prevenzione nei luoghi di conflitto.
Daniele Aronne, dell’associazione Papa Giovanni XXIII, ha raccontato, ad esempio, l’esperienza degli interventi nonviolenti svolti dall’Operazione Colomba in zone di crisi come l’Albania, la Colombia, il Libano e la Palestina.
La presenza di volontari internazionali in quei luoghi è spesso un deterrente per le azioni violente, ma il loro compito non è solo fare la scorta ma anche quello di dare ascolto, collaborare con le ONG e soprattutto fare un lavoro di documentazione che prevede interviste e raccolta di denunce efficaci per dimostrare cosa accade realmente e poter intraprendere delle azioni legali.
“Dobbiamo fare una seria riflessione sul concetto di ‘difesa’.” conclude Valpiana, “Cosa significa? Da chi dobbiamo difenderci e con quali strumenti? Ogni minaccia necessita di strumenti diversi.”
E allora ritorniamo alla domanda iniziale: “Da cosa ci sentiamo realmente minacciati?”
Leggi il testo della proposta di legge

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