Alì e una Nikon, storia di un’amicizia

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Nasce da una esperienza iniziata a Lampedusa il racconto che oggi vi presentiamo. Lo ha scritto Luisa Zappalà, giovane simpatizzante di Amnesty che si era recata sull’isola per un convegno organizzato dall’associazione. Laureata in giurisprudenza e interessata al tema dei diritti umani, Luisa ha voluto vedere da vicino quello che accadeva ai migranti.
Tra gli altri ha incontrato anche Alì, ha iniziato con lui un dialogo e uno scambio di foto e video, semplici, che potrebbero apparire scontati, se non provenissero da chi ha vissuto sulla propria pelle quello che ritrae: dall’attesa spasmodica della nave della Guardia Costiera al sovraffollamento dei centri di ‘accoglienza’, con i materassi allineati anche all’esterno. Insomma, ecco la testimonianza.

Alle ore 19 mi ero presentata all’appuntamento, nulla di fatto, di lui e della mia macchina fotografica nessuna traccia.
Dovevo ammettere il fallimento del mio “esperimento”, forse senza troppo stupore.
Ed invece la stessa sera ricevetti una chiamata. Era lui, Alì.
Mi chiedeva di incontrarci subito, aveva scattato tante foto ed era impaziente di mostrarmele.
Erano le 21.30, sarebbe stato da folle andare lì a quell’ora tarda ed arrampicarmi, nel buio totale, lungo la scarpata, là dove ci eravamo già visti.
L’indomani mattina saremmo ripartiti entrambi, io su un volo di linea che mi avrebbe riportato a Catania, lui a bordo di un traghetto che lo avrebbe portato ad Agrigento, per poi proseguire il suo viaggio verso una località a lui sconosciuta.
Quella telefonata suonava come una sorta di addio tra di noi, non sapevamo se ci saremmo mai piu rivisti.
Una promessa però ero riuscita a strappargliela: mi avrebbe chiamato quando sarebbe arrivato chissà dove. Nel mio volo di rientro da Lampedusa, non potei non pensare a lui e al destino che forse, prima o poi, ci avrebbe fatto rincontrare.
Quante possibilità c’erano che Ali sarebbe rimasto in Sicilia? e quante possibilità c’erano che mi avrebbe richiamata? Io del resto non sapevo nulla di lui, non avrei potuto nemmeno cercarlo, ricordavo solo il suo nome al quale non associavo più nemmeno un volto
Ne avevo incontrati tanti di quei ragazzi, venivano da Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia e Senegal, e poi ancora da Eritrea, Sudan e Somalia.
Ali però fu di parola. Mi chiamò il giorno seguente, era da qualche parte in provincia di Agrigento, non sapeva dove con esattezza, ma aveva fretta di andare via da quel posto, sognava Parigi, Londra ed infine New York, e adesso chiedeva a me delle informazioni per mettersi in viaggio.
Non ero stupita più di tanto, su 170.000 persone, di 100.000 si perdono le tracce, rimangono in un limbo di anonimato e fuga continua.
A quel punto lo invitai a raggiungermi a Catania, e mi prese in parola. La sua chiamata mi svegliò alle 3 del successivo pomeriggio afoso di Agosto. Ancora assonnacchiata e sudaticcia, mi vestii al volo e mi precipitai in macchina, premevo sull’acceleratore, non volevo che mi aspettasse troppo alla stazione degli autobus.
Ma come lo avrei riconosciuto fra tanti? e dove ci saremmo visti esattamente?
Iniziai un primo giro di esplorazione, andavo chiedendo di Ali ai tanti ragazzini, uomini e donne che bivaccano alla stazione, per quasi un’ora girovagai tra la povera gente e gli anziani in fila alla Caritas, e tra la stazione degli autobus e quella dei treni, prese d’assalto dai migranti in partenza verso il nord Italia.
Non avevo nemmeno il suo numero perchè mi aveva sempre chiamato dalle cabine telefoniche o da qualche altro cellulare prestato. Non avevo nessun indizio per trovarlo e giravo con il cellulare in mano, impaziente di ricevere una sua telefonata.
La chiamata arrivò quando ero quasi arrivata al culmine della mia pseudo tragedia mentale nella quale Alì era scappato di nuovo, era stato portato in questura o era stato ingaggiato dalla malavita. Nulla di tutto ciò, ci ritrovammo poco dopo, increduli, davanti la sede della Caritas.
Nessuno dei due in fondo avrebbe scommesso più di tanto sul fatto che ci saremmo rivisti dopo Lampedusa. Il destino non era stato avverso, e soprattutto lui era stato di parola.
Tirò immediatamente fuori dal suo borsone la mia Nikon, me la passò, e contemporaneamente nell’altra mano mi poggiò una minuscola memory card. All’arrivo della Guardia Costiera, mi spiegò, aveva preferito buttare in mare il suo cellulare, e nascondere al meglio quelle prove.
In quell’esatto momento ebbi la dimostrazione che la mia fiducia era stata più che ricambiata,
nel mio bauletto adesso avevo anche le foto e i video del suo lungo viaggio. Mi sentii investita di una grossa responsabilità, nei suoi occhi leggevo la richiesta di aiuto di quel ragazzo di appena 22 anni.
Avrei voluto parlare più a lungo con lui e scavare più a fondo nel suo passato, se solo me lo avesse permesso. Ali si era fidato di me, come io di lui, ma rimaneva comunque un pò dubbioso. Avevamo 2-3 ore di tempo prima della sua partenza. Non potevo lasciarlo lì da solo, e soprattutto io ero un fiume in piena… di domande.
Seduti al tavolino di un bar, sorseggiando una bibita ghiacciata, iniziò a raccontarmi la sua storia:
aveva viaggiato per diverse settimane attraverso più stati, era partito da Al Fashir la capitale del Nord Darfur nello Stato del Sudan laddove è rimasta la sua famiglia.
Terminati gli studi a Khartoum, era stata proprio la sua famiglia a sostenerlo economicamente per il lungo viaggio verso l’Europa. Mi disse che era il piu grande di 3 figli e che era scappato dalla tirannia di Omar al Bashir al potere dal 1989.
Poi mi accennò brevemente al genocidio in Darfur e alla miseria del suo popolo dalla quale era scappato alla ricerca di migliori studi e possibilità lavorative. A bordo di un pick-up si era diretto a Geneina, città di frontiera al confine con il Ciad.
Dietro il pagamento di una (prima) mazzetta, aveva proseguito il suo viaggio in direzione Nord-Ovest fino al confine libico, da dove aveva poi proseguito lungo il deserto.
Non mi seppe dire (o forse più semplicemente non volle) quanto aveva pagato la sua famiglia per questo viaggio alla volta di Zuara, cittadina sulla costa libica al confine con la Tunisia, strategicamente opposta a Lampedusa.
Successivamente era rimasto in Libia per 3 mesi, il tempo necessario per pagarsi l’ultima tratta del viaggio, quella in mare. 1000 euro cash, zero sconti, in un’unica tranche.
Aveva lavorato la pietra, ed in effetti le sue mani me lo confermavano, più che le mani di 20enne sembravano quelle callose di un 70enne.
Per la traversata in mare aveva viaggiato in “prima classe”, sul ponte e non nella stiva di un’imbarcazione. Per di più viaggiavano tutti con giubbotto salvagente e non erano poi tantissimi, considerato che la media di persone ammassate nei barconi non scende mai sotto il centinaio.
Lo ascoltavo mentre, con voce calma e pacata, mi raccontava il suo viaggio.
Nei suoi occhi vedevo stanchezza e sofferenza, ma anche la tenacia di chi sa ciò che vuole ed è disposto a tutto pur di ottenerlo.
Adesso aveva in mano due biglietti per il nord Italia, da lì avrebbe poi raggiunto Parigi via Ventimiglia, e Londra da Calais.
Mi zittii, non mi andava di scoraggarlo, non mi sembrava fosse al corrente della situazione che si sarebbe presentata ai suoi occhi una volta giunto a Ventimiglia e poi (eventualmente) a Calais.
Mi limitai a dire che sarei giunta a Milano in una settimana e che per qualunque cosa avrebbe potuto chiamarmi. Idem per Londra, dal momento che mi sarei trasferita lì in poco più di un mese. C’era quasi un filo conduttore che da Lampedusa a Londra legava me e Ali, per chissà quale coincidenza del destino.
Pensavo a come sarebbe stato più semplice permettere dei canali umanitari ed evitare così le stragi in mare, i trafficanti e il denaro.
Pensavo anche ai ponti aerei e ai visti umanitari, …
Good luck amico mio,
mentre scrivo queste mie memorie tu sei in viaggio con le tue domande, le tue paure e le tue speranze. Insegui il tuo paradiso, come mi hai detto.

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