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Pax Christi, un muro a difesa dell’illegalità

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“Vedere morire una persona è un’esperienza dura, vedere morire un bambino lo è ancora di più, vedere morire un bambino perchè l’ambulanza è stata fermata ad un posto di blocco è intollerabile”.
Queste parole, pronunziate da suor Donatella del Caritas Baby Hospital di Betlemme, sono state riferite da Enzo Pezzino di Pax Christi, durante l’incontro di lunedì scorso in via Siena, quando – insieme a Giovanni Ricchiuti – ha raccontato l’esperienza di un recente viaggio in Israele per la campagna ‘Ponti e non muri‘.
L’ospedale pediatrico di Betlemme è l’unico ospedale pediatrico della Palestina, a cui però -dopo la costruzione del muro, che corre a 100 metri dalla struttura- molti bambini non possono più accedere.
Gerusalemme, coda al check-point dalle 3 del mattinoUn muro che non segue la linea di confine internazionalmente riconosciuta tra Israele e i territori palestinesi, un muro che avrebbe dovuto essere lungo 350 km e che già ne copre 750, un muro che rende insostenibile la vita dei palestinesi chiudendoli in recinti, separandoli dai loro terreni agricoli, dalle loro scuole ed ospedali, costringendo ad alzarsi alle 3 del mattino i lavoratori che devono attraversare il posto di blocco con file di 3-4 ore.
Un muro, contrabbandato come garanzia di sicurezza e presentato – ha detto Ricchiuti, il ‘vescovo rosso’, attuale presidente di Pax Christi – dal ‘Corriere della sera’ come “una serie di blocchi di cemento posti a protezione degli insediamenti ebraici sotto attacco”.
Sarebbero quindi gli insediamenti illegali dei coloni ebraici ad avere bisogno di essere difesi, sebbene la loro nascita avvenga al di fuori di ogni regola e abbia un effetto dirompente sulla vita di molti villaggi palestinesi. A protezione dei coloni e delle loro confische di terra interviene infatti l’esercito e un nuovo tassello viene aggiunto al progetto di espansione perseguito da Israele.
Le cartine, del resto, indicano chiaramente come sia stata penetrante -dal 1945 ad oggi- l’espansione israeliana a danno delle aree palestinesi, pur riconosciute dall’Onu.
Quella sul muro non è l’unica menzogna che caratterizza le informazioni sul conflitto israelo-palestinese, che – mentre raccontano una storia in cui i terroristi stanno solo da una parte- tacciono della difficoltà di accesso all’acqua da parte dei palestinesi, delle detenzioni arbitrarie, della privazione della libertà di movimento, dei diritti negati alla salute e all’educazione, denunciati anche da Human Right Watch.
Nessuno d’altra parte ricorda che esiste un regolamento ufficiale, riconosciuto dall’Onu ma continuamente violato, che dovrebbe essere applicato all’interno dei territori occupati.
Entrambi i relatori hanno quindi ribadito la necessità di una informazione corretta e diffusa, citando l’esempio del sito ‘Bocche Scucite. Voci dai territori occupati‘.
La terra non viene sottratta solo ai palestinesi, ma anche ai beduini del deserto a sud di Gaza, che dopo essere stati costretti ad abbandonare la loro tradizione di nomadi, vengono cacciati via dalle loro terre e assistono alla demolizione dei loro villaggi.
Quanto agli arabi-israeliani dell’alta Galilea, sono sì cittadini israeliani ma di serie B, privati di molti diritti perchè esentati dal servizio militare.
Di queste ingiustizie sono consapevoli anche molti israeliani come dimostrano i movimenti di dissidenti che, all’interno di Israele, lavorano per la pace e cercano di contrastare la politica del governo.
I palestinesi comunque non si arrendono e ricostruiscono continuamente con mattoni di fango le case che vengono distrutte. Esercitano anche una mutua assistenza, come avviene con le ‘donne del ricamo’, che lavorano per donare ai più indigenti il loro guadagno, o nello studio del dottor Nidal, laureato proprio a Catania alla fine degli anni novanta, che offre assistenza gratuita ai palestinesi poveri.
E’ soprattutto nella Valle del Giordano che ha sede la resistenza non violenta palestinese, un vero laboratorio di invenzioni creative.
Se è vietato costruire, si scavano grotte; se manca l’acqua potabile, si depura quella accessibile; per fronteggiare la mancanza di energia, si usano i pannelli solari e via discorrendo.
Ci sono poi i paradossi, come quello dei soldati israeliani che accompagnano a scuola i bambini palestinesi per proteggerli da eventuali attacchi dei coloni. Visto però che i militari lo fanno con poca puntualità e convinzione, vengono a loro volta ‘accompagnati’ e controllati dai volontari dell’Operazione Colomba.
Si tratta di volontari internazionali, molti dei quali italiani, che operano a supporto della resistenza popolare non violenta palestinese monitorando la situazione dal punto di vista dei diritti umani e denunciando ogni forma di ingiustizia.
Un ‘Pellegrinaggio di giustizia’ quello raccontato da Enzo Pezzino perchè, come sostiene il parroco di Gaza, “Non si può avere pace senza giustizia, sviluppo, verità”.
E capita a proposito la domanda posta da una signora del pubblico sui pellegrinaggi in Terra Santa, da cui molti cattolici tornano soddisfatti ed ‘edificati’ senza aver nulla visto e compreso della tragica realtà di quei luoghi.
Ricchiuti concorda sulla necessità di rivedere lo spirito e l’organizzazione di questi viaggi, ma ricorda anche che per molti palestinesi l’arrivo dei ‘pellegrini’ è motivo di speranza, perchè costituisce comunque uno strumento di vigilanza internazionale e dà un contributo alla mortificata economia palestinese.

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