Cinque NO liberali alla nuova Costituzione

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Anche i Liberali hanno costituto un Comitato per il NO alla riforma costituzionale. Spiegano la loro scelta nel seguente, sintetico documento di cui sono primi firmatari Beatrice Rangoni Machiavelli, Giuseppe Bozzi e il siciliano Vincenzo Palumbo.
Al referendum costituzionale confermativo della riforma costituzionale nessun liberale può votare a
favore.
Occorre una urgente mobilitazione di ogni espressione politica e culturale del liberalismo italiano
per fermare una riforma costituzionale che nega in radice tutti i principi del liberalismo.
Occorre un chiaro NO per queste 5 ragioni:

  • NO perché si cancella in radice la separazione dei poteri:
    il liberalismo nasce con l’esigenza, avanzata da Montesquieu, di “limitare il sovrano”, separando il potere esecutivo dagli altri poteri dello Stato, legislativo e giudiziario; più di recente, riarticolando il potere pubblico in una pluralità di sedi, in un sistema “poliarchico”, che impedisca a chiunque di concentrare nelle sue mani tutto quel potere che può limitare la libertà degli individui.

Questa riforma ci regala invece un nuovo “sovrano assoluto senza corona

  • NO perché si cancellano i contropoteri
    Dall’inizio del ‘900 ogni dittatura, anche la più sanguinosa, ha sentito il bisogno di giustificarsi
    dandosi una costituzione; ma liberale è solo quella costituzione che frena l’esercizio del potere
    attraverso un articolato sistema di bilanciamenti e controlli.

La Riforma Costituzionale li azzera, lasciando in piedi un barocco sistema di procedure, inutili e costose, a imbellettare la liquidazione dei contropoteri:
infatti la riforma della Rai, i cui vertici vengono scelti direttamente dal Governo e una legge elettorale che, caso unico al mondo, dà la maggioranza assoluta ad un partito anche
fortemente minoritario, in questo contesto di riforma costituzionale, annullando completamente il
principio liberale dell’equilibrio dei poteri, costituiscono una innegabile realtà di concentrazione di
ogni potere decisionale sul capo dell’esecutivo.

  • NO perché la Costituzione si fa flessibile
    La costituzione voluta dai liberali è una “supernorma”, una norma cioè che impedisce la “dittatura della maggioranza”, in quanto pone limiti invalicabili alla volontà che la maggioranza esprime quando fa le norme. Tanto che esiste poi un organo, la Corte Costituzionale, che cancella quelle norme che, pur volute da una maggioranza legittima, ledono quei diritti che la Costituzione sottrare anche alla sua volontà.

La riforma costituzionale in combinato con una pessima legge elettorale cancella di fatto questo limite, rendendo inutile la costituzione in quanto tale nell’ottica liberale, perché la rende così malleabile ai voleri della maggioranza da consentire che ogni volontà possa piegare la costituzione e adattarla al volere del momento, anche contro i diritti dei singoli cittadini

  • NO perché si complica il sistema di produzione delle norme
    Gli esperti hanno dimostrato che dalle nuove e pasticciatissime norme su Senato e procedura
    legislativa deriverebbero non meno di sette procedimenti legislativi differenti, in un intrico
    complicato che modifica il sistema Parlamentare a indiretto beneficio del Governo, introducendo un arbitrio procedurale che nega in radice il senso stesso del costituzionalismo liberale, come kelseniana architettura di procedure per la decisione collettiva.
  • NO perché si blinda una nomenclatura irresponsabile
    Ancora una volta non è solo la pessima riforma costituzionale in sé, ma la perversa combinazione con una legge elettorale farsesca a impedire il sorgere di nuovi movimenti, a cristallizzare il potere nelle vecchie strutture di partiti ormai del tutto delegittimati, a ridurre i parlamentari a pedine di un gioco deciso in qualche stanza segreta da pochi onnipotenti.

Il neo Senato sarà composto da membri non scelti dai cittadini ma “nominati” all’interno della peggiore classe politica del paese, quella degli amministratori regionali e locali, a cui – grande novità -si garantisce l’immunità parlamentare.

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