Dopo il referendum la Costituzione sarà ancora la nostra 'casa comune'?

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Ancor prima di entrare nel merito dei singoli aspetti della riforma costituzionale, cosa che ci ripromettiamo di fare, pubblichiamo oggi un contributo del costituzionalista catanese Ettore Palazzolo su importanti questioni di metodo.
Questo referendum costituzionale rischia di spaccare il Paese,perchè, a differenza di altri aventi per oggetto (divorzio, aborto, ecc.) temi importanti ma molto settoriali, verte sulla concezione stessa della democrazia, il che è, a mio avviso, molto più grave.
Io temo che il giorno dopo l’esito referendario, vinca il SI’ o il NO, ci saranno solo macerie. All’indomani del voto circa metà della popolazione italiana potrebbe non riconoscersi più nel testo di Costituzione scaturito dall’esito referendario. E questo sarebbe gravissimo.
Io credo che la Costituzione, la nostra Costituzione, sia la casa comune di tutti gli italiani, in cui tutti noi ci siamo bene o male ritrovati uniti nel corso di questi 70 anni.
E se ha un senso parlare ancora di patria, questa non può che essere declinata nei termini di un patriottismo costituzionale (Habermas). La Costituzione, cioè, come e più che i colori della bandiera e l’inno di Mameli, è rappresentativa dell’unità nazionale, .

Ma se la Costituzione è e deve essere la casa comune di tutti gli italiani (anche perché approvata a stragrande maggioranza da forze politiche in forte contrapposizione – era l’inizio della guerra fredda e il capo dell’Unione sovietica si chiamava Stalin), essa non può che essere modificata da un larghissimo schieramento politico.
Questo anche a garanzia che le modifiche non vengano utilizzate da una parte per colpire le altre parti politiche.
La seconda questione, sempre di metodo, è che la legge elettorale con la quale sono stati eletti gli attuali Deputati e Senatori è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale, e proprio sui punti riguardante il premio di maggioranza e la non elettività (di fatto), ma cooptazione (cioè nomina da parte dei leaders di partito) dei parlamentari a causa del meccanismo delle liste bloccate. Con il rischio concreto di parlamentari trasformati in Yes-Men dei rispettivi leaders.
Tutto ciò anche se, com’è stato detto, non produce la illegittimità di tutti gli atti del Parlamento, anche in virtù del principio della continuità degli organi costituzionali dello Stato, quanto meno ne depotenzia le funzioni, che avrebbero dovuto limitarsi alla così detta ordinaria amministrazione e cioè all’approvazione di una nuova legge elettorale, conformemente ai dettami della sentenza della Corte, dopodiché si sarebbe dovuto andare a nuove elezioni.
Ma così non è stato. Si è invece provveduto, da parte della maggioranza politica, in spregio alla sentenza della Corte costituzionale, a sviluppare un ampio programma di legislatura, come se niente fosse accaduto, nell’ambito del quale ha preso corpo un progetto di revisione costituzionale, comprendente la modifica di quasi 50 articoli della Cost.
Con la conseguenza che un Governo, espressione di una maggioranza parlamentare che aveva ottenuto alle elezioni circa il 30% dei voti popolari, drogata da un premio di maggioranza che le ha procurato un numero di deputati pari al 54%, premio peraltro dichiarato incostituzionale dalla Corte, ha provato a modificare una larga parte della Costituzione – casa di tutti gli italiani – forte di tale maggioranza di seggi.
Tutti dovremmo riflettere su questo e se non sia stato commessa una gravissima scorrettezza costituzionale, con l’avallo, dobbiamo purtroppo ammetterlo, anche del Presidente della Repubblica allora in carica, Giorgio Napolitano.
Io mi chiedo che cosa sarebbe successo se a comportarsi in maniera analoga fosse stato il partito di Berlusconi o di Grillo. Come minimo avremmo avute le barricate nelle strade.
Ma non è tutto. Si tratta della prima revisione costituzionale ad iniziativa governativa. Anche se ciò non viene espressamente vietato dalla Costituzione appare certamente una forzatura istituzionale.
Spetta infatti alle Camere la potestà di revisione come si evince chiaramente dall’art. 138 della Costituzione e l’iniziativa non può che essere parlamentare, in ciò distinguendosi nettamente dall’indirizzo politico del Governo.
Quest’ultimo è fondato sull’approvazione della mozione mediante cui il Governo ottiene la fiducia iniziale, su cui peraltro si costituisce e si fonda, a sua volta, la distinzione fra maggioranza che la approva e opposizione che manifesta la sua contrarietà.
Mentre la potestà di revisione della Costituzione, per sua stessa natura deve essere sganciata dalla dialettica maggioranza/opposizione, proprio in quanto ha il compito di riscrivere le regole fondamentali della casa comune e a tale scopo deve cercare di ottenere il consenso più ampio possibile senza rimanere ingabbiata in questo rapporto dialettico, che è quello della politica tout court.
Lo svolgimento del dibattito parlamentare ha evidenziato poi ulteriori storture, la gravità della sostituzione di membri di commissione parlamentare sostituiti perché non allineati (ovvero, pur facendo parte della maggioranza parlamentare, non considerati dal Governo uomini di fiducia) con un singolare capovolgimento istituzionale. Non è più il Governo – come in tutti i sistemi parlamentari – a dovere avere la fiducia dei Parlamentari, ma al contrario sono i Parlamentari che devono avere la fiducia del Governo.
E potremmo continuare ancora. Tutto ciò è soltanto preliminare a un’analisi attenta del contenuto della legge di revisione in questione. Ma le regole e le procedure sono la sostanza della democrazia.
Perché, se è vero che nulla è intoccabile ed anche la Costituzione del 1948 può essere modificata, tutte queste forzature non giovano a creare un clima propizio alla modifica della nostra Carta fondamentale, e minano alla radice la possibilità di un confronto politico che deve essere sempre ricercato.

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