Violenza e paura, storie di piccoli migranti

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minori stranieri non accompagnatiSono storie tutte uguali e tutte diverse. Storie di giovanissimi migranti in fuga dalla guerra o dalla fame. Sempre dalla violenza.
Sono ragazzi approdati a Catania dopo mesi, talora anni, di viaggi e peripezie, dopo aver patito torture e provato sofferenze inenarrabili.
Vogliamo restituire loro un po’ di cittadinanza raccontando qualche frammento delle loro vite, piccole storie ridotte all’osso. Per tutelarli abbiamo dovuto privarli persino dei loro nomi e ci siamo affidati a nomi di fantasia, abbiamo cancellato particolari e dettagli che avrebbero potuto farli identificare.
Non possiamo guardarli negli occhi grandi e scuri, occhi nei quali è ancora presente la paura. Possiamo però seguirli nel loro lungo, interminabile viaggio che chissà se, quando e dove si concluderà.

Amidou

Musulmano e di etnia Peul, Amidou è nato ad Aboisso, in Costa D’Avorio, al confine con il Ghana. Nonostante a scuola sia andato solo per sei anni, parla tanti dialetti, il bambara, il malinke, il djula, e anche il francese. I genitori erano del Mali, mamma casalinga e papà commerciante. Tutto è filato liscio per Amidou e sua sorella fino a quando, 6 anni fa, il padre non è morto.
Il ragazzo e la bambina sono costretti ad abbandonare la scuola e a mettersi a lavorare. Con la madre decidono poi di tornare in Mali dove Amidou trova lavoro come muratore. L’anno scorso, poi, decide di andare in Algeria dove -gli hanno detto- il lavoro è pagato meglio. Lì continua a fare il muratore.
Dopo tre mesi però deve scappare per non essere coinvolto nel furto compiuto da un ragazzo con il quale condivide l’alloggio. Scappa e a piedi raggiunge la Libia. Mentre è al lavoro, dei libici lo rapinano e tentano di catturarlo. Scappa ancora.
Un uomo che organizza viaggi in Europa, gli consiglia di andare in Italia, sul barcone. Amidou ha speso già 125.000 franchi CFA (moneta usata in molti paesi africani) per andare dal Mali in Algeria, 350.000 franchi CFA per arrivare in Libia; per il viaggio per mare sborsa l’equivalente di 150 euro.
Per circa due giorni è sul Mediterraneo insieme ad altre 125 persone. Poi l’imbarcazione viene intercettata da una nave della Marina militare italiana che prende a bordo tutti e li conduce al porto di Catania. Amidou adesso è nel Centro di prima accoglienza. Vuole studiare la nostra lingua e lavorare in Italia. Ma forse il suo viaggio non finirà qui.

Bakary

Bakary è nato a Serre Kunda, in Gambia; adesso ha 17 anni. E’ musulmano anch’egli, ma di etnia Hesanena. Parla il suo dialetto e l’inglese.
Il padre, un commerciante di gas della Mauritania, aveva già tre mogli quando sposò sua madre ed ha in totale 15 figli. Delle altre donne non aveva parlato alla madre di Bakary , ne’ di lei alle altre mogli.

Bakary e’ andato a scuola per sei anni. Dopo ha lavorato col padre. I rapporti tra i genitori, però, erano sempre più tesi da quando lei aveva scoperto l’esistenza di altre mogli e figli. Bakary scappa quindi con tre amici.Va prima in Mali dove fa il manovale , poi a Bah in Libia dove resta 5 mesi lavorando come raccoglitore di arance. Si reca poi a Tripoli lo arrestano e fa l’esperienza del carcere.
Butta giù un muro e scappa insieme ad altri che poi verranno uccisi dai libici. Lui è più fortunato; incontra un uomo che si offre di pagare parte degli 800 dinar che gli servono per pagare il viaggio. Attende a Sabratha più di un mese che il tempo migliori. Poi partono comunque, in 130; il mare e’ cattivo, le onde alte da far paura. Dopo 10 ore una nave italiana li prede a bordo e li porta a Catania.
Ora studia l’italiano. Vuole fare l’idraulico.

Marian

Marian, è una ragazzina nigeriana cristiana protestante, di 16 anni che parla inglese e Benin. Le nostre figlie di sedici anni, studiano, fanno sport, escono con gli amici, ascoltano musica, vanno al mare ma per fare i bagni. Lei no.
Viveva a Benin City con la famiglia, padre muratore, madre venditrice ambulante e sette fratelli. Subiva ogni giorno le violenze fisiche e psicologiche esercitate dal padre su di lei, sulle sorelle e sulla madre. A quest’ultima l’uomo rimproverava persino di avere partorito un unico figlio maschio.
Marian scappa da casa, si rifugia da un’amica ma dopo un mese e mezzo il padre la trova e la consegna a un uomo. A casa di costui ci sono altre due ragazzine. Tutte e tre vengono terrorizzate: devono obbedire, saranno condotte in Italia per prostituirsi.
Marian lascia la Nigeria l’anno scorso, la portano prima ad Agadez. Dopo due giorni in un furgone raggiunge Sebha dove rimane tre mesi in un ghetto. Poi viene portata in un altro ghetto a Tripoli. Da lì raggiunge un campo sul mare e si imbarca per l’Italia.
Nel centro di primo soccorso e accoglienza racconta infine la sua storia: in Libia è stata picchiata, violentata. E’ l’ennesima vittima di tratta e non vuole essere intercettata da “madame” per la quale deve prostituirsi fino a pagare la somma di 35.000 euro.

Endurance

Cristiano di etnia Esan, parla l’esan, l’haussa, l’inglese, ma non l’italiano. Endurance, è cresciuto con la sorellina, la madre e il padre a Kaduna in Nigeria. La mamma e’ morta quando lui aveva solo 5 anni in un indicente stradale. Il padre perde la vita otto anni dopo, nell’incendio della loro casa.
Il ragazzo e la sorella vanno a vivere a casa di un amico ma sono costretti a lasciare la scuola per andare a lavorare. Vanno a lavorare nei campi. Endurance tenta anche di guadagnare qualcosa suonando l’organo in chiesa. Alla fine lo stesso uomo che lo ospita gli consiglia di tentare la fortuna in Europa.
minori immigratiCon un amico va in Niger. Lì è costretto a nascondersi per paura di essere ucciso dai locali solo perché parla un’altra lingua.
In Libia è anche peggio. Appena arrivati vengono catturati da un gruppo di delinquenti che li sequestrano e li picchiano per giorni per costringerli a consegnare loro del denaro.
Riesce ad andare a Tripoli dove vive per quattro mesi sulla strada senza trovare uno straccio di lavoro. Un giorno un uomo lo prende a bordo della sua auto e lo accompagna sulla spiaggia. Lì attende per 5 mesi l’arrivo di un barcone. Sono in 100 sul natante a rischiare la vita finche’ non vengono intercettati da una nave italiana. Dell’amico partito con lui non sa più nulla.

Oumar

Oumar è convinto che suo padre abbia ucciso sua madre. Lei è morta quando lui aveva solo nove anni. I due, contadini nigeriani, erano di differente religione: la madre era cristiana, il padre animista. Lui non perdonava alla moglie le sue scelte come non perdonava ai figli, Oumar e altri quattro ragazzi di essere cristiani.
Il padre -racconta il ragazzo- si vantava di aver ucciso la madre e minacciava i figli di far fare loro la stessa fine della madre se non si piegavano al suo volere.
Oumar era inoltre terrorizzato da un uomo che viveva nel loro villaggio e che -a suo dire- avrebbe ucciso molte persone. Due buoni motivi per lasciare il villaggio e raggiungere la nonna e la bisnonna materne che vivono in un villaggio vicino.
Le due donne sono povere e non possono mantenere Oumar agli studi. Il ragazzo non è mai andato a scuola; parla l’hurobo, l’isoko, il benin e l’inglese e chiede l’elemosina.
Il padre però lo bracca. Vorrebbe riprendersi lui e i fratelli.
Oumar scappa, va in città, a Edo State, dove trova lavoro come manovale edile. Con i soldi guadagnati decide di avviare un piccolo commercio: rivende acqua ai passanti. Poi va ad Enobo dove vive per strada fino a quando un autista di bus lo “assume” come controllore, assegnandogli una piccola quota del biglietto riscosso dai passeggeri.
Qualcuno gli parla, però, dei viaggi, dell’Europa. Si reca ad Agadez, in Niger e poi, attraverso il deserto, in Libia. Catturato, finisce in prigione per due volte. Uscito, raggiunge un campo solo per neri, poi un altro campo sul mare. In tasca non ha soldi nemmeno per mangiare.
Finalmente si imbarca. Un giorno sul barcone e infine il soccorso delle navi italiane. E il viaggio continua.

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