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Un mondo di obesi, l'altra epidemia che ci minaccia

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Anche in questi giorni nei quali il Covid 19 sembra assorbire quasi del tutto l’attenzione dei media e della gente, non possiamo però dimenticare che un’altra epidemia miete vittime in tutto il mondo e che nessun paese è stato capace di sradicare, o di combattere efficacemente.

E’ un’epidemia che ha preso piede intorno agli anni ’70 e che da allora si espande sempre di più, tanto che si stima che tra dieci anni sarà metà della popolazione mondiale ad esserne colpita.

Parliamo del forte sovrappeso e dell’obesità, e delle gravi malattie, diabete, problemi cardio-vascolari, tumori, ad esse collegate.

E se in questi giorni si punta il dito sulle disuguaglianze sociali, impietosamente evidenziate dal virus che stiamo fronteggiando, bisogna rimarcare con forza che queste divengono ancora più evidenti quando si parla di cattiva alimentazione.

In un documentario, visionabile fino al 12 giugno sulla televisione franco tedesca ARTE, due giornalisti che da tempo si occupano di alimentazione fanno il punto della situazione, e spiegano in maniera chiara le cause di questa epidemia e i possibili passi da fare per combatterla.

Nel documentario danno la parola a scienziati, medici, politici e semplici cittadini che cercano di portare avanti una battaglia coraggiosa contro un nemico invisibile ma potentissimo, l’industria agroalimentare, che in fin dei conti si può, nella varietà delle infinite marche di facciata, ricondurre a una sparuta manciata di multinazionali.

I due giornalisti danno la parola anche alle vittime, colpevolizzate dal clichè umiliante che fa di loro persone senza volontà e dalla vita sedentaria.

Mentre le autorità pubbliche, al traino della lobby dell’industria alimentare, continuano a ripetere il logoro mantra del “muoversi di più, mangiare di meno”, presentato come una panacea capace di sconfiggere un problema che in realtà è ben più radicato, più grave, e cinicamente sfruttato per puri interessi economici.

Anche alcuni dei ricercatori intervistati affermano che il grasso si può sconfiggere semplicemente con tanta ginnastica, e lo dimostrano con i loro dotti studi pagati a peso d’oro dalle multinazionali.

Quando alla fine degli anni ‘70 si sferrò la grande battaglia contro i grassi, responsabili di ogni male, ci si dimenticò, ed i pochi medici che tentarono di farlo vennero relegati a fare le loro ricerche negli scantinati, di considerare anche i pericoli legati al consumo eccessivo di zuccheri.

I cereali, massicciamente sovvenzionati, divennero sempre più preponderanti nell’alimentazione, mentre i prodotti industriali, alleggeriti in parte dai grassi ma imbottiti di zuccheri e resi attraenti da deliziose quanto ingannevoli pubblicità, cominciarono a creare un vero e proprio esercito di dipendenti.

Le grida di allarme però si fanno ora più forti e numerose. Negli Stati Uniti a soffrire sono come sempre i più poveri, i nativi americani e le comunità nere ed ispaniche, soprattutto, dove la percentuale di obesi arriva a sfiorare il 70 per cento della popolazione.

Intervistata dai due giornalisti, una giovane donna afroamericana, eletta nella municipalità di San Francisco, racconta la sua battaglia contro il cibo spazzatura e chi lo produce, e piange.

Le lacrime le scorrono sul viso mentre snocciola dati e cifre e statistiche mediche raccapriccianti sulla comunità nera della sua città. “Non possiamo restare a braccia incrociate, mentre ci uccidono”, dice.

Un pastore evangelico, da un’altra parte degli USA, una domenica fa una strana predica alla sua comunità afroamericana: dal pulpito, invece della Bibbia prende una lattina di Coca cola, poi un bicchiere vuoto e comincia a riempirlo di zucchero. Ne versa dieci cucchiaini, quanti ne contiene quella lattina, sotto gli occhi dei fedeli, increduli, stupefatti.

Una mamma poi dirà che la figlia di cinque anni ne beve anche otto, dieci al giorno, di quelle lattine. E lo sa bene il medico che viene intervistato, che si batte contro tutto questo perché non ne può più di vedere bambini di tre anni arrivare con forme di prediabete causate dalla mala alimentazione.

L’America latina è altrettanto duramente piagata da questo flagello. Se i muri servono efficacemente a contenere i poveri non desiderati fuori dagli Stati Uniti, in compenso il cibo spazzatura statunitense, veicolato da pubblicità suadenti, ha invaso e colonizzato liberamente il paese, decretando la fine delle sue colture, dei suoi ortaggi, di tutto quello che costituiva la base della ricca e salutare cucina messicana.

Ma l’America latina sta mettendo in pratica forme di resistenza: divieto di certe pubblicità indirizzate all’infanzia, etichette nere sugli alimenti considerati dannosi, educazione alimentare nelle scuole. E le tasse sulle bevande zuccherate, che hanno fatto registrare un calo significativo dei consumi. E’ soprattutto il Cile che guida questa rivolta, che si sta allargando a macchia d’olio e comincia a trovare risposte all’interno delle istituzioni degli altri paesi.

E in Europa? In Francia, Germania, Finlandia, un bambino su sei è in sovrappeso. Nel documentario non si parla del nostro paese, ma non è difficile vedere che il problema riguarda molto da vicino anche noi, e che colpisce anche da noi soprattutto i ceti sociali più svantaggiati.

Il timido perché solo indicativo logo Nutri-score, è stato adottato in Europa da pochi paesi e non è neanche obbligatorio, in Francia solo il 25 %dei prodotti industriali lo riporta. La lobby degli industriali dell’agroalimentare ha speso più di un miliardo di euro per impedire che diventasse una misura obbligatoria e le sue minacce di processi legali frenano tutti gli Stati europei che non osano contrastarne lo strapotere.

Eppure l’obesità è una delle sfide più importanti del nostro tempo. Riguarda milioni di persone e settori cardine dell’economia mondiale.

E non solo: l’esplosione di malattie croniche, la difficoltà ad intraprendere azioni politiche, l’agricoltura intensiva globalizzata, l’industria dell’allevamento animale, ci devono costringere a rivedere tutta la catena alimentare, se vogliamo che ognuno di noi possa nuovamente riprendere il controllo di quello che si mette nel piatto. E nello stomaco.

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