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Ex Vittorio Emanuele, come sprecare uno spazio pubblico

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Un campus universitario, un’area museale, una struttura dedicata al Covid 19. Sindaci, governatori, assessori propongono, a giorni alterni, brillanti soluzioni per l’utilizzo dell’ex Vittorio Emanuele, nel frattempo abbandonato all’incuria e al vandalismo.

Eppure la chiusura dei reparti era prevista da tempo, il loro trasferimento programmato, correva anche voce di una task force sul riutilizzo della struttura, ma hanno prevalso il vuoto e il silenzio con la città, ancora non colmato, salvo occasionali proposte spesso dettate dalla ricerca di visibilità della classe politica.

Eppure non si tratta di cosa da poco. Parliamo di una vasta area pregiata al centro della città, adiacente ad un prestigioso polo universitario, con un tessuto economico che in buona parte era nato proprio attorno a quella struttura ospedaliera e di essa viveva.

Studiare le ricadute di questa chiusura sarebbe stato non augurabile ma necessario.

Sono stati fatti, invece, veri e propri spot propagandistici privi di fondamento, anche a causa della mancanza di risorse, e non accompagnati da studi di fattibilità.

Attualmente i piccoli esercizi commerciali (bar, empori, …) che vivevano dell’Ospedale sono chiusi o allo stremo e l’incertezza sul futuro non può che aumentare insicurezza e disorientamento.

Alcune associazioni di cittadini presenti in quel contesto, come il Comitato Antico Corso, si interrogano da tempo, dal basso, sui bisogni del quartiere e sulle risposte possibili a questi bisogni.

E nata anche una rete, D’OVE- ripensare la città (leggi il documento), che a partire da questa situazione particolare intende promuovere una analisi e presentare delle proposte, cercando di rendere effettiva la partecipazione alle scelte urbanistiche che – anche per legge – spettano alla cittadinanza e all’organo che la rappresenta, il Consiglio Comunale.

Primo bisogno rilevato è proprio quello relativo alla salute. Anche se, a poca distanza, c’è l’Ospedale Garibaldi vecchio, quello che manca sono i servizi territoriali.

Un quartiere abitato soprattutto da anziani ha bisogno di ambulatori, di servizi diagnostici, di medicina preventiva, di uffici per il disbrigo di pratiche sanitarie, di un consultorio.

Servizi che in città sono presenti in numero insufficiente e comunque non sono facilmente raggiungibili, soprattutto in assenza di mezzi di trasporto efficienti e/o di navette dedicate.

Il potenziamento dei servizi territoriali è anche la nuova frontiera di tutta la sanità italiana, di cui l’esperienza della pandemia ha rivelato gli elementi di debolezza, mettendo a nudo i danni arrecati dalla costante sottrazione di risorse e facendo comprendere che il primo fronte per combattere la malattia non sono le strutture ospedaliere ma i servizi presenti diffusamente sul territorio.

Almeno qualche padiglione dell’ex Ospedale potrebbe e dovrebbe, quindi, restare destinato a funzioni sanitarie, tanto più che alcuni di questi padiglioni, come il Costanza Gravina, sono stati – a suo tempo – donati da privati con il vincolo che fossero utilizzati a scopi sanitari.

E tutto questo in tempo rapidi, anzi rapidissimi.

C’è poi un’altra ipotesi che andrebbe verificata, quella di utilizzare parte di quell’area per rispondere alle esigenze abitative.

Nel corso dell’emergenza, alcune associazioni avevano chiesto che, almeno nel periodo del lockdown, si accogliessero nelle strutture del Vittorio Emanuele le persone senza fissa dimora.

Ma la proposta più interessante è quella avanzata dal Sunia che ripropone, anche per il Vittorio Emanuele, l’utilizzo di alcuni spazi per finalità abitative di tipo sociale. Nella prospettiva della rigenerazione urbana, per la quale vengono spesso stanziati dei fondi, si potrebbero offrire abitazioni dignitose, a canoni sostenibili, a persone dei ceti meno abbienti, spesso respinte verso le periferie o costrette ad accontentarsi di alloggi inadeguati e insalubri.

Del vasto spazio dell’ex ospedale sarebbe utile e augurabile riservare una buona parte al verde pubblico, ad un parco che riproporrebbe, in un certo senso, il giardino dei Benedettini creando anche un’area di raccolta in caso di eventi sismici. Qualcosa di cui, in quell’area densamente edificata, ci sarebbe estrema necessità.

3 Comments

  1. Lo sistemassero potrebbe diventare un alloggio per noi di via castromarino che siamo a km e km di distanza dal quartiere quando il medico, il pediatra, la scuola, gli amici, a volte anche il lavoro lo avevamo lì,mentre dove siamo siamo ancora più soli e disperati. Immaginate durante la quarantena…

  2. Non dovevano spostare un ospedale così importante, punto. Specie il reparto pediatrico: è giusta la precisazione, nella nota, che nacque con il vincolo che si utilizzasse a fini pubblici: fu dono infatti dei marchesi Gravina e di Donna Costanza in particolare (fine Ottocento), che si staranno rivoltando nella tomba! Incuria si, ma vandalismo non mi risulta, dato che il pur grande complesso è vigilato giorno e notte dalle guardie giurate. Inoltre non è vero che il quartiere è abitato “soprattutto da anziani”, ci sono molti più giovani che, per esempio, al Borgo o in corso Italia: vero è altresì che la zona commercialmente è “morta” proprio per l’assenza del presidio che era un enorme volano economico. Delle chiacchiere dei politici, neanche a considerarle, da qualunque parte provengano…

  3. Il Vittorio Emanuele era un ospedale importante per Catania, un ospedale che poteva essere molto utile. Una struttura storica. Catania ha perso un ospedale al centro.
    Ci sta che hanno trasferito il San Marco, che hanno potenziato il presidio Gaspare Rodolico, che dismettevano alcuni ospedali.
    Ma il Vittorio Emanuele lo dovevano lasciar stare.

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