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Ricordando Scidà, un nuovo impegno per le periferie

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Giovani, mafie, periferie: un tema molto caro a Scidà quello scelto quest’anno per il Seminario d’Ateneo a lui intitolato.

Ma anche un tema di estrema attualità in questo momento storico in cui i giovani rischiano di essere i grandi emarginati della nostra società, in particolar modo quei giovani che, nel contesto in cui vivono, non trovano gli strumenti, le opportunità per crescere al massimo delle loro possibilità.

C’è stato un di più, quest’anno, nella iniziativa dei Seminari d’Ateneo: lo sforzo di far emergere, nella nostra realtà locale, non soltanto le elaborazioni teoriche sul tema prescelto, ma le ‘buone pratiche’, le realtà di impegno e di cambiamento già presenti nel tessuto sociale, dentro gli enti istituzionali, le scuole, le associazioni, che operano nelle periferie e costituiscono un punto di riferimento per i giovani e le loro famiglie.

Farli emergere ma anche farli incontrare (e la modalità on line non ci sembra abbia costituito un ostacolo) per consentire ad ognuna di queste realtà di manifestare il proprio valore ma anche di ascoltare e riconoscere il valore degli altri.

Un lavoro non indifferente in un ambiente parcellizzato come il nostro, in cui molti gruppi sono spesso divisi da perplessità, sospetti, gelosie reciproche.

Ecco perché ci auguriamo, come del resto è volontà degli organizzatori, che questo percorso continui, si ampli, si approfondisca.

In quei luoghi di disagio sociale che sono oggi le periferie, non solo geografiche ma collocate anche in centro città, lo Stato è presente quasi esclusivamente attraverso la scuola, la cui centralità è riconosciuta anche dal presidente del Tribunale per i minorenni, Roberto Di Bella, che ha già iniziato ad impegnarsi per contrastare la dispersione scolastica e a sollecitare l’apertura delle scuole nel pomeriggio, e non solo con il tempo pieno, che comunque terrebbe impegnati gli alunni fino alle 16 e darebbe a chi ne ha diritto l’opportunità di usufruire della mensa.

La scuola dovrebbe offrire ai ragazzi quelle attività sportive, quei laboratori artistici, quegli stimoli culturali che possano coinvolgerli proponendo interessi, apertura di orizzonti e sollecitazioni che non trovano nell’ambiente che li circonda.

Un ambiente in cui, spesso, domina la criminalità organizzata, che riesce ad essere – come ha ricordato Dario Montana di Libera – una vera e propria “agenzia educativa” che trasmette valori di violenza e sopraffazione e offre prospettive precoci di arricchimento illecito.

Contro questa omologazione dei giovani a modelli criminali, assorbiti spesso in famiglia, Di Bella intende importare a Catania il progetto “Liberi di scegliere”, di cui Argo ha già parlato, realizzato a Reggio Calabria con il supporto di Libera. Un’esperienza ormai raccontata in vari libri, tra cui uno dello stesso Di Bella, e in un film.

Ma l’allontanamento dalla famiglia di stampo mafioso è solo uno strumento, quello da utilizzare nei casi estremi, quando non si è riusciti ad ottenere risultati con interventi di prevenzione, o – si potrebbe dire – di ‘cura’.

Una ‘cura’ che deve essere il più precoce possibile, come hanno capito gli operatori del centro Talità Kum che opera a Librino, nell’area di viale Moncada. Lo ha raccontato la responsabile Giuliana Gianino spiegando che, oltre alle attività laboratoriali, sportive, di sostegno scolastico, di animazione di strada con i ragazzi, sono stati attivati incontri di formazione con le giovani, talora giovanissime, mamme alle prese con neonati che non sanno gestire, essendosi spezzata la catena di trasmissione familiare di alcuni saperi di base. Presso il centro incontrano puericultrici, pediatri, psicologi, oltre ad incontrarsi tra loro uscendo dall’isolamento.

Attività formative con i ragazzi sono svolte anche dal Punto Luce di San Giovanni Galermo, quartiere giovane, molto ‘vissuto’ ma privo di spazi di incontro. Lo sport, la danza, la lettura, le gite, i laboratori di logica matematica, soprattutto se rivolti alle bambine – come ha riferito Agnese Gagliano – rappresentano opportunità altrimenti non sperimentabili in questo quartiere difficile.

Anche occuparsi di urbanistica, di accessibilità degli spazi pubblici può rappresentare un obiettivo importante in un quartiere degradato del centro storico come San Berillo, così complesso che l’associazione Trame di Quartiere, ora divenuta cooperativa, sta cercando di costruire una rete con altre associazioni per cercare un modo condiviso di affrontarne bisogni e problemi.

Una condivisione cercata, con modalità diverse, anche dal Comitato Antico Corso, che ha recuperato il Bastione degli Infetti e da anni segue con attenzione le trasformazioni di questa area cittadina.

Dal racconto di queste esperienze così come da un’analisi più generale del rapporto tra giovani e periferie, emerge come il nodo più importante sia quello della povertà educativa, a cui le associazioni cercano di sopperire senza riuscire a colmare il vuoto creato da un’Amministrazione assente.

A questa povertà educativa cerca da anni di porre rimedio l’azione intrapresa, all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Bicocca, da Maria Randazzo e dalla sua équipe. Qui, infatti, i giovani reclusi trovano non solo la possibilità di studiare, ma anche quella di vivere esperienze innovative di grande valore formativo che non avrebbero potuto vivere all’esterno.

Non hanno solo imparato a fare i pizzaioli, i cuochi, gli elettricisti, i sarti. Questi ragazzi hanno anche girato un film, fatto teatro, imparato a dipingere, frequentato lezioni di vela, preparato panini per i senza tetto, con il supporto degli educatori interni e grazie alla collaborazione di ‘maestri’ esterni che, a vario titolo, hanno voluto sperimentarsi in questa avventura educativa.

Tutte attività intraprese in modo sperimentale già prima del 1988, quando ancora le norme di esecuzione della pena erano quelle pensate per gli adulti e non era entrata in vigore la legge 448 con il nuovo ordinamento, più flessibile, pensato specificamente per i giovani e che pone come prioritari i bisogni dei ragazzi, la vicinanza con le famiglie di origine o acquisite, attraverso visite prolungate, consumazione insieme dei pasti, contatti telefonici.

Una trasformazione a cui hanno lavorato operatori giudiziari e magistrati, fra cui Scidà, che – come presidente del Tribunale per i minorenni – si è sempre impegnato nell’attività di prevenzione e nel privilegiare l’aspetto rieducativo rispetto a quello punitivo.

A beneficiare di queste nuove prassi sono stati anche i minori stranieri non accompagnati (incriminati per favoreggiamento di immigrazione clandestina solo perché messi al timone dagli organizzatori delle traversate in mare) ai quali è stato permesso di colloquiare, attraverso internet, con i loro familiari nei rispettivi Paesi di origine.

Oggi in IPM sono presenti solo 24 ragazzi, condannati per reati gravi come l’omicidio, la violenza sessuale, la rapina aggravata, a fronte degli oltre 80 del 1982, anno in cui Randazzo iniziò a lavorare in quello stesso istituto da educatrice.

Sono invece 13.486 i minori in esecuzione penale seguiti dal Servizio sociale minorile, impegnati a scuola o collocati nelle comunità oppure nelle loro case, soggetti a prescrizioni o con processo sospeso perché messi alla prova, a dimostrazione delle molteplici opportunità che offre la giustizia minorile italiana, ritenuta da molti la migliore di tutta l’Unione europea.

Le periferie, luogo di disagio sociale e, per questo, terreno di coltura della criminalità organizzata, sono tuttavia luoghi di creatività, di vitalità, anche perché ospitano molta popolazione giovane.

Piuttosto che emarginare queste periferie, decretandone la chiusura in se stesse e condannandole alla violenza e al degrado, dovremmo studiare come integrarle, incentivando la ricostruzione del contesto tradizionale di artigianato e piccole attività (tema caro a Giuseppe Andreozzi della Fondazione Fava), o dislocandovi sedi istituzionali o dipartimenti universitari per favorirne l’integrazione.

Come ha ribadito Isaia Sales, docente di storia della mafia a Napoli, “se trascuri il sociale” ne paghi le conseguenze, scateni la “vendetta” dei luoghi abbandonati.

Occuparsi delle periferie, occuparsi delle città è compito della politica, non certo quella che vive della miope ottica elettoralistica, ma di una politica che sa guardare al bene comune, una politica quasi assente dagli attuali orizzonti e che dobbiamo ricostuire insieme, come questo seminario ha contribuito a fare.

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