/

Ddl Zan, si può fare meglio

12 mins read
Psicologia LGBT

Ettore Palazzolo, costituzionalista, si interroga e ci interroga sul Ddl Zan, riflettendo sul rapporto fra norme giuridiche ed elaborazioni/concezioni sociali e culturali. Una sola avvertenza: evitiamo di procedere, nell’affrontare temi così articolati e complessi, come se in campo ci fossero esclusivamente tifoserie contrapposte.

Il progetto ha origine dalla più che legittima esigenza di tutelare meglio la comunità LGBT+ da violenze, discriminazioni, discorsi di odio.

Ma il ddl interviene in una materia delicatissima, il diritto penale. E lo fa come se vi fosse un vuoto legislativo da colmare, senza il quale questi soggetti sarebbero rimasti privi di qualunque tutela.

Oltretutto è come se molti dei comportamenti da ascrivere ai reati di odio non fossero conseguenze di pregiudizi radicati spesso in una subcultura presente nel sottoproletariato urbano (ma anche rurale), che non si può certamente sradicare con una nuova norma penale, e che richiederebbe ben altri interventi legislativi e soprattutto sociali.

Perché allora la scelta di modificare il diritto penale? non era sufficiente la disciplina penale tutt’ora in vigore? la quale, per inciso, disciplina quasi tutte (almeno il 95%) le ipotesi di reato (ingiuria, diffamazione, violenza, gli atti di violenza: omicidio, tentato omicidio, lesioni volontarie, percosse; la violenza sessuale, quella di gruppo, ecc.) E’ punita pure la violenza privata, la minaccia; come pure l’istigazione a delinquere.

Ovviamente si può sempre migliorare, lasciando però inalterato il quadro normativo: aumentando, se proprio vogliamo, le pene, intervenendo sulle aggravanti e sull’applicabilità delle attenuanti.

Ci si domanda se l’obiettivo fondamentale sia quello di venire espressamente menzionati nel codice penale (addirittura con un eccesso di esemplificazione: qual è il senso di una distinzione, quanto alla tutela penale, fra omosessualità, bisessualità e lesbismo?).

Vi è chiaramente un uso simbolico e pedagogico del diritto penale: il menzionamento in una legge come strumento di emancipazione, anche al di là di un’effettiva capacità dissuasiva della stessa legge nei riguardi dei reati di odio.

Da extrema ratio quale il diritto penale dovrebbe essere, si trasforma così in uno strumento ordinario di regolazione dei rapporti sociali. Tenendo altresì conto della scarsa funzione dissuasiva del diritto penale a che vengano commessi dei reati, come anche dimostra l’applicazione della Legge Mancino.

Quale sarà la prossima categoria a richiedere la tutela del diritto penale ai fini di una propria tutela/emancipazione: i barboni, gli obesi, gli anziani, i gobbi e così via? Dalla legge generale (oltre che astratta) a tantissime leggi speciali? Non stiamo, per caso, tornando al Medioevo?

Certo, ci sono state le reazioni dell’integralismo cattolico e poi la nota del Vaticano. Scontate le reazioni della destra cattolica, pronta a lanciare una campagna contro “l’arroganza di Pd, M5S e Leu” e i pericoli di questo “disegno di legge liberticida e contrario ad ogni forma di democrazia”. In qualche modo sulla stessa linea della destra politica di Fratelli d’Italia e della Lega, nonché, ma con qualche defezione, anche di Forza Italia.

Quanto alla nota della Segreteria di Stato del Vaticano, che oltretutto era destinata a rimanere segreta, sembra un intervento ad uso interno, per placare cioè gli animi di alcuni alti prelati e movimenti della Chiesa, pronti a partire per una nuova Crociata, piuttosto che l’apertura di un vero contenzioso con lo Stato italiano sui contenuti del ddl Zan.

Data la scelta di intervenire sul piano del diritto penale, ci si aspetterebbe almeno un estremo rigore nella formulazione delle norme e soprattutto delle fattispecie incriminatrici. Il diritto penale comporta sanzioni gravi, financo la perdita della libertà e la carcerazione da qualche mese a diversi anni, nei casi più gravi. Come si fa, oltretutto, a sostenere che questa legge, come ho sentito dire, aggiunge diritti e non ne sottrae, quando si utilizza il codice penale e quindi manette e carcere?

Essa appare invero scritta molto male, da gente non molto competente su Costituzione e principi del diritto penale.

Innanzitutto la scelta dell’ ‘aggancio’ alla legge Mancino, che contiene “misure urgenti in materia di discriminazione odio e violenza per motivi razziali, etnici e religiosi”. Anche nella legge Mancino vi erano delle norme di dubbia costituzionalità (in materia di libertà di manifestazione del pensiero, di associazione e di organizzazione in partiti politici, ecc.). Si dimentica, oppure si ignora, che le deroghe ai principi costituzionali, in essa contenute, sarebbero state in qualche modo sanate, avrebbero cioè ricevuto una piena copertura costituzionale, nel carattere, anche giuridicamente antifascista della Costituzione repubblicana, sancito, in particolare dalla XII disposizione transitoria che vieta la ricostituzione del partito fascista, e alla quale, tutti i divieti contenuti nelle legge in questione, si ricollegherebbero. Copertura costituzionale che invece non può rinvenirsi in un’eventuale estensione delle previsioni della legge Mancino alle ipotesi contenute nel ddl Zan.

La questioni controverse

L’ art. 1

L’art. inizia con una serie di affermazioni con cui si intende imporre dei significati ad espressioni che nell’ordinamento italiano ne hanno spesso altri. Che senso ha menzionare il sesso e distinguere fra sesso, genere e identità di genere, distinzione che ancora non è facile cogliere pienamente? Quanto al sesso c’è bisogno di obiettare che le donne non costituiscono una minoranza da tutelare? e che godono già di una serie di forme di tutela, a cominciare dai principi costituzionali?

Caratteristica di una legge, e particolarmente in materia penale, deve essere la chiarezza. Anche ai fini, per il cittadino, di potersi difendere. L’inizio del progetto Zan non promette nulla di buono in tal senso.

La cosiddetta “identità di genere”

Alla lett. d) dell’art. 1 viene indicata l’identità di genere intesa quale “identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso”, e indipendentemente – viene specificato – dall’aver concluso un percorso di transizione.

Può parlarsi, in termini strettamente giuridici, di diritto all’identità di genere, ossia diritto a scegliere il genere sessuale di appartenenza?

La c.d. identità di genere, esiste già nel nostro ordinamento, ma costituisce soltanto l’eventuale presupposto necessario ad avviare la procedura prevista dalla L. n. 164 del 1982, ma non sufficiente al fine del cambiamento di genere nei registri dello stato civile. Se si vuole parlare in termini giuridici, può dirsi “diritto ad iniziare un percorso”.

Una volta superati positivamente gli adempimenti previsti, compreso il controllo da parte di psicologi ed esperti e alla presenza del Pubblico Ministero, la procedura, che prevede due possibili modalità alternative, si conclude con la rettifica dei registri anagrafici che sanciranno il cambio di sesso/genere e del nome. A quel punto vi è la piena coincidenza dell’identità di genere con la risultanza anagrafica.

E’ parimenti evidente che, al di fuori di tale percorso, anche se, né chirurgicamente, e neppure giuridicamente, concluso, però debitamente certificato, la c.d. identità di genere “intesa quale identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso”, non ha alcun valore giuridico, ma soltanto un rilievo puramente privato, ovvero una situazione di mero fatto: si tratterebbe di una persona che sostiene che la sua identità sarebbe differente da quello che dimostra il suo sesso di nascita e la sua risultanza anagrafica.

Si vuole, con il DDL Zan, all’art. 2, attribuire un rilievo giuridico a tale situazione, anche a prescindere del percorso della L. n. 164 del 1982? Si verrebbe allora a creare una notevole discrepanza fra “l’identità di genere” prevista dall’ordinamento, anche a seguito della 164/1982 e il concetto di “identità di genere” espresso nella c.d. legge Zan.

Ai fini di quest’ultima, sarebbe sufficiente, così almeno sembra, una semplice autocertificazione per determinare il cambiamento di sesso/genere? Si tratterebbe, di un’abrogazione di fatto della L. n. 164? Ma ciò non è affatto chiaro, anche perché non viene fatto alcun riferimento alla rettifica nei Registri dello stato civile. E’ certo però che le conseguenze dell’approvazione del ddl Zan sarebbero, proprio per l’indeterminatezza della norma, del tutto incalcolabili. A quale età potrebbe intervenire tale dichiarazione? Occorrendo un’autocertificazione ciò non potrebbe avvenire che dopo la maggiore età. E prima della maggiore età la dichiarazione potrebbe essere effettuata dai genitori? E a quale età del minore i genitori potrebbero dichiarare la diversa “identità di genere”?

L’art. 2

Entrando poi nel merito della legge, ci preme particolarmente, prendendo in considerazione l’art. 2, affrontare la questione della discriminazione e dell’istigazione alla discriminazioneche che verrebbe estesa, nel ddl Zan, oltre a motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, quelli “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità».

Sembrerebbe, apparentemente, che non si introducano nuove ipotesi di reato, perché sarebbero già – si obietta – le stesse previste dalla Legge Mancino. In realtà manca una precisa configurazione delle due distinte figure di reato: la discriminazione e l’istigazione alla discriminazione.

Nel nostro ordinamento penale le figure di reato devono essere bene individuate. Discriminazione e istigazione alla discriminazione costituiscono qui soltanto dei titoletti. Manca l’individuazione della condotta incriminata.

Il principio penalistico, ma anche desumibile dalla Costituzione, della sufficiente determinatezza del reato, è totalmente eluso. E questo è un principio di civiltà giuridica, secondo cui la condotta vietata dal diritto penale deve essere sufficientemente precisata. E’ un corollario del principio della certezza del diritto.

Ogni cittadino deve sapere con sufficiente precisione che cosa possa legittimamente fare e invece ciò che gli è giuridicamente vietato compiere dal diritto penale, e ciò anche ai fini della possibilità di difendersi.

Sono gli Stati autoritari che poggiano la loro forza su normative vaghe e passibili di differenti contenuti interpretativi.

Tornando all’aggancio con la legge Mancino, quest’ultima, è vero prevedeva tali ipotesi di reato, ma pone difficoltà interpretative enormemente inferiori rispetto a quelli fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Su questi ultimi motivi delineati dal ddl Zan sono infatti possibili un mare di contenuti interpretativi, molti dei quali del tutto incompatibili con il dettato costituzionale.

Si entra infatti nell’ambito del cosiddetto reato di opinione, figura certamente esclusa dall’ordinamento costituzionale. Se poi si pensa che in sede interpretativa sia possibile utilizzare i concetti già elaborati dalla giurisprudenza per la discriminazione ovvero per l’istigazione alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e di poterli estendere, per analogia anche agli altri, ovvero quelli fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, si compie un grave errore. Dovrebbe essere noto che nell’ambito del diritto penale, è del tutto preclusa l’interpretazione analogica, ai sensi dell’art. 14 Preleggi.

Al comma 2 dell’articolo si commina il divieto di “ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione” per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità». Si allarga quindi il campo del divieto anche alle associazioni, organizzazioni e movimenti aventi tra i propri scopi “l’incitamento alla discriminazione”. Qui è in ballo, oltre alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) anche quella di associazione (art. 18). Non è affatto chiaro, nella disposizione, il confine tra l’attività lecita, in quanto conforme a Costituzione, ed il reato associativo (una sorta di associazione a delinquere speciale). C’è poi sempre il rischio del reato di opinione che si aggiungerebbe ai reati associativi.

E così pure è vietata e punita la semplice partecipazione a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, mentre per coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, ecc., è prevista la pena più grave (la reclusione da uno a sei anni).

Le norme contenute nell’art. 2 del DDL Zan, una volta dovesse entrare in vigore, dovranno pertanto essere totalmente riscritte.

L’articolo 4

Viene detto “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Da più parti il testo di quest’articolo è stato definito una sorta di excusatio non petita”. Inoltre, se la norma contenuta in questo articolo intende porre limiti ulteriori alla libertà di manifestazione del pensiero è chiaramente incostituzionale, se non è così è del tutto pleonastica.

Articolo 7

All’art. 7 viene proposta l’istituzione di una giornata nazionale contro “l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la trans fobia”. Tre rilievi. Le fobie, tecnicamente, formano oggetto, se non di patologie, di disturbi della psiche, richiedenti, in quanto tali, l’intervento dello Psicologo e nei casi più gravi, dello Psichiatra. Se si fosse effettivamente voluto prendere sul serio la denominazione scelta di giornata nazionale contro le fobie, si sarebbe dovuto coinvolgere gli Ordini o le associazioni degli Psicologi o degli Psichiatri, anche in previsione di un’organizzazione congiunta. Altrimenti si sarebbe dovuto utilizzare una terminologia più adeguata. E non si obietti che si tratti solo di metafora. In un testo legislativo, e particolarmente nella legislazione penale, le metafore non debbono trovare allocazione. Ne va della “certezza del diritto”. Se ancora si vuole che le parole abbiano un significato…

Non sarebbe allora stato preferibile l’utilizzo di altra espressione, ad esempio, contro “i reati di odio”, come viene detto, peraltro, nell’articolo 6 del DDL, denominazione che appare certamente più pertinente e precisa. E proprio in funzione di quella cultura dell’inclusione, di cui si parla e che viene auspicata nella stessa legge, occorre almeno utilizzare un vocabolario comune, e comunque più corretto.

Ma la questione più rilevante concerne l’intervento nelle scuole. Si prevede l’organizzazione di “cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile per la realizzazione delle finalità: promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione”. Tutte finalità sacrosante. Peccato però che fra i principi costituzionali elencati, la legge non prende in considerazione l’autonomia scolastica, nonché la libertà di insegnamento e il diritto dei genitori all’educazione, con particolare riguardo, dei minori. E questo pone un problema, perché le idee e le culture in materia di sessualità, particolarmente, con riguardo a ragazzi minori, non sono affatto univoche, ma plurime. Si vuole che siano gli attivisti LGBT+ ad intervenire o addirittura ad insegnare in appositi corsi? Si vuole introdurre un pensiero unico in materia di sessualità e insegnarlo anche ai minori delle elementari? Si vuole abolire il pluralismo culturale ed anche etico? Questo non è affatto chiaro e costituisce una delle tante ambiguità, almeno in senso giuridico, del progetto di legge.

Conclusione

Si tratta, l’ho già detto, di una legge scritta male. Per volere regolare tutto si fanno grossi pasticci.

In definitiva, anche al di là delle intenzioni, si vuole lasciare alla Magistratura e alla Corte costituzionale un’interpretazione, quasi sempre doverosa, per rendere le varie disposizioni controverse compatibili con il dettato costituzionale. Ma, a questo punto si tratterebbe di una vera e propria riscrittura degli articoli.

Questo però costituirebbe, da parte del Parlamento, piuttosto che una delega alla Magistratura, una vera e propria abdicazione alla propria funzione di dettare una legge, alterando il già difficile rapporto tra Potere legislativo e Potere giudiziario. E tale riscrittura non riguarderà soltanto aspetti di dettaglio e neppure esclusivamente il profilo della conformità alla Costituzione. Essa comporterà, inevitabilmente, anche una scelta di politica legislativa sul tema in questione, cosa che il Parlamento non ha voluto, o saputo, fare. E questo rappresenta, e dovrebbe essere chiaro, un’ulteriore mortificazione per il Potere legislativo.

Io non credo affatto che, a seguito dell’eventuale approvazione di questo disegno di legge, vi saranno pericoli per le libertà o che siamo alla vigilia di un regime illiberale, come sembrano paventare, strumentalmente, le opposizioni. Sono convinto che una volta dovesse venire approvato questo testo di legge, la parola spetterà a chi in concreto dovrà farla applicare: PM e Giudici ed ovviamente Avvocati. E sono altresì convinto che, sia pure nel corso di alcuni anni, si raggiungerà un’interpretazione corretta e conforme delle varie disposizioni ai principi della Costituzione. Vi saranno certo, soprattutto all’inizio, interpretazioni discordanti.

Nel frattempo la povera casalinga del quartiere di Fossa Creta potrebbe venire incriminata per avere detto che non vuole un insegnante omosessuale per i propri figli o il vecchio pensionato di Picanello per aver detto, in Ospedale, di non voler essere toccato da un infermiere/a trans, o le detenute di un carcere femminile che non vogliono dei trans nella sezione femminile, o un’associazione religiosa per aver sostenuto, in un volantino, che la famiglia è composta dal padre, dalla madre e dai figli e che le Unioni civili, tra persone appartenenti allo stesso sesso, non sono veri Matrimoni. E magari gli interessati dovranno nominare un Avvocato e forse vi saranno dei processi… Sono però abbastanza fiducioso sull’esito di questi eventuali processi,come pure sulla prospettiva finale.

Soltanto però una domanda finale si impone: ne valeva la pena irrigidirsi al punto di rifiutare di modificare anche solo una virgola, quando vi è la quasi certezza, cosa che i politici più accorti mettono già in conto, che la legge, una volta dovesse venire approvata nel testo del ddl Zan, sarà riscritta dalla Magistratura e dalla Corte costituzionale? Non era meglio che una classe politica, già ampiamente screditata, avesse un sussulto di orgoglio e decidesse di scrivere una buona legge, magari rinviando le questioni più controverse e richiedenti un approfondimento e limitandosi ad approvare quelle disposizioni sulle quali era possibile riscontrare un più largo consenso?

Una notazione finale.

Appare estremamente difficile intervenire giuridicamente per normare tutte le diversità esistenti nella società, senza, per ciò stesso, ricreare ulteriori squilibri, problemi e altre discriminazioni.

C’è un ginepraio di problematiche nel quale si rischia di rimanervi avviluppati. I diritti delle minoranze vanno sempre garantiti, ma non possono mai prevalere sui diritti e sulle libertà di tutti.

Allora occorre rapportarsi al problema della tutela sacrosanta delle categorie LGBT con più umiltà, senza granitiche certezze. Soprattutto senza accusare chi solleva rilievi di costituzionalità come se fosse omo-transfobico.…

Leggi il testo del DDL Zan e la sua integrazione nella legge Mancino

Leggi il testo della L 205/1993 (c.d. Legge Mancino)

4 Comments

  1. Per quanto immerse in sontuose argomentazioni giuridiche e rivestite di un linguaggio che si sforza di essere politicamente corretto, tutte le osservazioni, e le preoccupazioni che le sottendono, sono esattamente uguali a quelle che, nella premessa, vengono inopinatamente attribuite all’integralismo e alla destra cattolica.
    Si tratta, in realtà di un ddl che, strumentalizzando un problema oggettivo su cui è indubbio che bisogna intervenire e che comunque riguarda un numero relativamente piccolo di persone, intende modificare radicalmente una visione che l’umanità ha avuto di se stessa da sempre, imponendo surrettiziamente per legge, anche con risvolti penali (come viene più volte ribadito nello stesso articolo) un’antropologia (ma forse ormai anche questo termine scientifico può essere accusato di essere discriminante) ispirata ad un radicale individualismo che eleva i desideri e i capricci vitalistici del singolo a modello del progresso umano in generale.
    Ma poi, chi ha deciso – questo sì motu proprio – che prendere posizione contro questo ddl (ma anche su altre tematiche analoghe) sia solo patrimonio della destra cattolica. Le prese di posizione contrarie che si leggono quotidianamente provengono dagli ambiti più disparati della cultura e delle società, né mi pare che tante esponenti del femminismo militante abbiano preso i voti.
    Questo modo manicheo di leggere la realtà non è in effetti che lo sciocco luogo comune di una cultura sedicente progressista che si è ormai accucciata acriticamente sullo zerbino per Pensiero Unico Radical-chic e ultimamente ridottasi ad essere corifea del magistero mediatico dei Ferragnez.
    E poi, ancora, perché associare a questa problematica le (anche queste) non meglio definite ‘disabilità’: ha tutta l’aria di essere una bassa strumentalizzazione, volta solo ad accrescere la platea dei consensi, ma non è escluso che qualcuno non ci possa maliziosamente vedere un’involontaria excusatio non petita.
    P.S. Fra i casi di possibili incriminazioni suggerisco di aggiungere anche quelli contro coloro che continuano a recitare il ‘Padre nostro …’ invece che dire ‘Genitore 1 che sei nei cieli …’ e ad invocare Maria come ‘madre di Dio’, invece che dire ‘Santa Maria, genitore 2 di Dio …’.
    La verità è che anche il senso del ridicolo dovrà diventare prossimamente oggetto di qualche puntata di Chi l’ha visto?.

  2. In risposta a Shadow e all’articolo che propone, che si incarta su casi estremi, citerei piuttsoto la presa di posizione di uno storico leader della sinsitra come Mario Capanna, che ha il coraggio, da sinistra, di dichirarsi in disaccordo con una legge che “crea nuovi reati e non nuovi diritti”, quello che la sinistra invece dovrebbe fare
    https://www.corriere.it/politica/21_luglio_17/ddl-zan-capanna-sono-contrario-legge-inutile-che-crea-nuovi-reati-non-nuovi-diritti-7d06eb94-e6f5-11eb-9bf6-eea1575c4502.shtml

  3. Bel commento di Nino
    Non è detto che tutti vogliano militare a favore della propria degradazione a fenomeni sociali…
    Inoltre non c’è nulla di più plasmabile e manipolabile di un uomo ridotto a puro essere sociale…

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Gli ultimi articoli - Giustizia