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… e alla fine chiusero la mafia in un museo …

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Il logo del Museo della mafia
Il logo del Museo della mafia

La mafia vista come una realtà viva e percepita, quasi sensorialmente, ma anche come fenomeno che può essere, se non battuto, certamente combattuto. 
E’ questo il messaggio che vuole trasmettere il primo museo italiano dedicato, a Salemi, al fenomeno mafioso, per volontà del sindaco V. Sgarbi. E’ stato inaugurato dal Presidente della Repubblica G. Napolitano lo scorso 11 maggio, all’interno delle manifestazioni che hanno avviato le celebrazioni per i 150 dell’Unità d’Italia. 
La coincidenza delle due occasioni, anche se triste e dolorosa per i siciliani, non è certo casuale in quanto marca con forza uno degli aspetti che hanno caratterizzato maggiormente la Sicilia in questo ultimo scorcio della sua storia. 
La via scelta da Sgarbi e da O. Toscani, e gli altri collaboratori, è infatti lontanissima sia dalla retorica sia dalla mummificazione museale. Appare, più che altro, sospeso – nella sua originalità – tra la funzione evocativa e informativa e un’istallazione di arte contemporanea. 
Il percorso di visita del Museo, intitolato a L. Sciascia, inizia infatti con un ambiente in cui sono collocate dieci cabine elettorali stile anni Cinquanta, ad evocare il persistente rapporto tra mafia e politica, da visitare individualmente. 
Ognuna di esse illustra, con un’ambientazione fortemente inquietante e coinvolgente, mediante dei video, le tante ramificazioni del fenomeno: la sanità, la gestione delle acque, le carceri, il rapporto con la Chiesa, il potere, la famiglia, l’informazione, le stragi. 
Un’altra zona del Museo mette a confronto la bella Palermo liberty dell’inizio del Novecento con la devastazione della città causata dal sacco edilizio del secondo dopoguerra e, tra i due ambienti, la riproduzione di un abuso edilizio, da un pilastro del quale emerge un cadavere, ad evocazione di una delle leggendarie modalità con cui veniva messa in atto la ‘lupara bianca’. 
La terza zona, quella più a carattere documentario – e infatti utilizza fotografie e ingrandimenti di pagine di giornale -racconta la storia della mafia, dal delitto Notarbartolo all’ultimo scandalo degli impianti eolici, installati anche dove non soffia un alito di vento, passando naturalmente anche attraverso tutti i successi che, sotto l’impulso dell’azione di Falcone e Borsellino, lo Stato ha saputo conseguire. 
Al primo piano sono ancora collocate alcune tele del pittore fiammingo P. Ysebaert che ha saputo rappresentare, in modo allo stesso tempo doloroso e pietoso, gli inestricabili contrasti della nostra isola, inserendo all’interno di alcuni splendidi paesaggi siciliani le immagini di alcune vittime della mafia, come figure spettrali che implorano un riscatto. 
Il tutto al costo contenutissimo di 60 mila euro: a dimostrazione che si può fare cultura, informazione e memoria storica, senza ricorrere ai costosissimi ‘grandi eventi’, con tutte le code e i codazzi che li accompagnano. 
Una galleria di foto del Museo è visibile sul sito de La Repubblica – Palermo.

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