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Monte Po, riusciranno i ragazzi a salvare il campo?

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Otto anni di presenza nel quartiere, accanto ai bambini e alle famiglie di Monte Po, da parte dei volontari di Mani Tese. Adesso i bambini sono cresciuti, sono dei giovani adolescenti, e Lorenzo Valastro è sempre con loro. Giocano a calcio nel campetto comunale del quartiere, costruito a suo tempo con tutti i crismi: cancello di accesso, lampioni di illuminazione, rete di recinzione a norma per non fare uscire il pallone, recinzione esterna. Sicuramente un appalto intorno al quale c’é stato un bel giro di soldi…
Negli anni il campetto, privo di custode, è stato abbandonato a se stesso. La recinzione esterna è stata divelta, la rete di protezione rotta in più punti, l’erba sintettica parzialmente asportata, la spazzatura lasciata ammonticchiare. Eppure il campo è utilizzato dai ragazzi per giocare. Di notte, complice il buio, visto che i lampioni non sono operativi, nella zona si svolgono attività illecite: spaccio, smontaggio di motorini rubati, scarico di rifiuti.
Attorno a questo campetto, “vissuto” e sentito come proprio dai giovani giocatori, è nata una voglia di dignità, un desiderio di cambiamento, la volontà di restiturlo alla pulizia e alla integrità.
La pulizia è presto fatta. Ci si organizza e si dedica il proprio tempo. Trenta ragazzi con guanti e scope raccolgono i rifiuti, dalle bottiglie di plastica ai materiali edili, rimuovono i rovi e i rami secchi, rendono percorribili i corridoi attorno al campo. Sono protagonisti, imparano a gestirsi, hanno uno scopo e lo perseguono.
Ma non si fermano. Vogliono andare avanti, ripristinare innanzi tutto la rete di protezione, i cui buchi sono momentanemente coperti con transenne di recupero. Con quali mezzi fare i lavori di ripristino? Anche su questo si discute, si fa gruppo. L’idea iniziale di tassarsi viene esclusa. Chi mette i soldi, vuole avere l’esclusiva: chi non partecipa alle spese non potrà giocare. Nulla di più estraneo allo spirito che ha animato da sempre l’attività di Mani Tese, uno spirito di accoglienza, non di esclusione.
E da Mani Tese, nella persona di Lorenzo, nasce la proposta operativa. Raccogliere i fondi coinvolgendo il quartiere attraverso una “tenda”, in stile, appunto, Mani Tese. Una tenda per vendere l’usato, che diventa non solo un mezzo per raccoglere i soldi,

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ma anche per imparare a riciclare e combattere lo spreco. Chi ha oggetti che non usa li porta alla tenda e chi ne ha bisogno li acquista a prezzo stracciato.
La somma raccolta non andrà a finanziare, per questa volta, un progetto nel terzo mondo, ma il restauro del campo. Dal 14 al 24 gennaio 45 ragazzi dai 12 ai 20 anni si coinvolgono, gestiscono e presidiano la tenda 24 ore su 24.
Chi ha detto che i giovani di oggi sono inaffidabili? Chi ritiene che gli adolescenti di periferia siano degli sbandati? Attorno ad un progetto sentito come proprio rivelano tutte le proprie capacità di impegno e di serietà. Risultato, 537 euro di incasso.
Scatta adesso la fase due. Impiegare i soldi per la ristrutturazione. Ma il campo è del Comune. Bisogna almeno segnalare l’intervento. Nasce anche la consapevolezza di un diritto. Bisogna chiedere all’Amministrazione di intervenire.
Si prepara e si inoltra una richiesta formale. E si pretende una risposta rapida, entro un mese. La risposta non arriva. Il comune non prende nessun impegno formale, ma nel corso di un incontro con gli assessori allo Sport e ai Lavori pubblici, Lorenzo e i ragazzi ricevono una proposta verbale. Il Comune non ha soldi, non intende agire, ma offre ai giovani di prendere il campo in gestione.
Prima di rispondere i ragazzi hanno bisogno di riflettere. I soldi che hanno raccolto, per loro una gran somma, non è detto che siano sufficienti a rimettere in sesto il campo. Soprattutto si aprono altri interrogativi. Quali responsabilità avranno, a chi dovrano rendere conto? Gestire questo campo é una possibilità realistica? Li espone a rischi che non sono attualmente in grado di valutare?
E ancora, perchè l’Amministrazione non ha voluto nemmeno offrire un aiuto piccolo, simbolico, tanto per dire “io ci sono”? Di lasciare il campo però non se parla, lo sentono proprio, oggi più di ieri.
Ancora non hanno deciso. Devono chiarirsi le idee, confrontarsi tra loro e con esperienze simili. Il tutto collettivamente. E anche questo è un esercizio di cittadinanza.
Seguiremo l’evoluzione della vicenda. Il campo di Monte Po ci sta a cuore. E’ un luogo simbolo di quello che può fare l’impegno continuativo di chi costruisce con gli altri e quindi educa, come ha fatto Mani Tese a Monte Po. E se è possibile, daremo anche una mano.

2 Comments

  1. Bello l’articolo, bellissima la foto. Mi sembra tratta da una vecchia fiaba letta da bambino “Il pallone fatato” di Marilena Buttafarro. Complimenti Lorenzo, complimenti ai ragazzi e a chi ha fatto l’articolo. Un abbraccio Marcello

  2. lorenzo non vedo l’ora di giocarci bene speriamo che si potrà restaurare monte pò qua—-> <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3

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