Scuola Superiore di Catania, occasione mancata?

4 mins read

Sembrava d’accordo ma non ha operato di conseguenza. Ci riferiamo a Recca, attuale rettore dell’Università, che aveva messo la battaglia per l’autonomia della Scuola Superiore di Catania (SSC) tra i punti del suo programma elettorale. Il suo operato è andato in direzione diversa, lasciando emergere come, al di là del consenso di facciata, ci fosse una “pancia” dell’Università che non aveva accettato l’esistenza della Scuola e che, a maggior ragione, non ne voleva l’autonomia.
La diffidenza, il timore di essere oscurati, il gioco di sospetti, rivalità, forse addirittura di invidie, ebbe come esito le dimissioni di Rizzarelli.
Il nuovo presidente della Scuola, il professore Giacomo Pignataro, membro anche del CdA dell’Università, accettò il ruolo con convinzione e si diede subito da fare. I finanziamenti concessi dalla Regione nel 2009 andarono perduti in seguito alla bocciatura di alcuni articoli della finanziaria da parte del Commissario dello Stato e poco dopo, nel  gennaio 2010, arrivò la risposta della Gelmini: niente autonomia, solo un premio di consolazione di 800 mila euro l’anno, per quattro anni, una somma decisamente inadeguata per la sopravvivenza della Scuola.
Ma Pignataro, spirito positivo, non desistette. Nel maggio 2010 arrivò a buon fine la concessione del finanziamento regionale (mille e cinquecento euro) e si iniziò a lavorare al rinnovo del Consorzio, in scadenza il 31 dicembre 2010.

Per il nuovo Consorzio Pignataro pensava ad un allargamento non solo ad altre Università ma anche a nuovi soggetti privati. La sinergia pubblico-privato, già sperimentata con la presenza della STMicroelecronics nel vecchio Consorzio, gli sembrava la strada giusta da percorrere. Una fondazione sarebbe stata la soluzione migliore. Il suo lavoro tuttavia non andava nella direzione auspicata dal Rettore. Lo sbocco furono le dimisioni e il passaggio alla presidenza Vanella,
Dovrebbe gestire lui la nascita del nuovo Consorzio, ma ancora oggi tutto tace. Eppure senza un un nuovo Consorzio o una Fondazione, la scuola ha il destino segnato. Con una gestione oculata, può sopravvivere ancora per qualche anno. Poi sarà chiusa. Dispone all’incirca di 9 milioni di euro, provenienti dalla liquidazione del Consorzio, da un accantonamento precedente, in vista di eventuali necessità, dal finanziamento regionale e dalla somma annuale concessa dal ministro.
Non possiamo pensare che queste somme vengano distratte per altri scopi da una Università provata dai tagli ministeriali, anche se non è impossibile che avvenga, essendo bloccata per la SSC solo la somma annuale concessa dal ministero. L’Università comunque ha acquistato il controllo diretto del patrimonio della Scuola, residenze (di valore!) comprese.
La domanda chiave rimane se ci sia la volontà di portare avanti questa esperienza nei termini in cui è stata concepita.
Il timore di uno stravolgimento, all’interno di una apparente continuità, è stato avanzato soprattutto dagli alunni e dagli ex-alunni, dopo l’approvazione, alla fine di aprile, del nuovo regolamento del Collegio Villa san Saverio, attuale sede della Scuola. Due le “modifiche sostanziali” che hanno fatto scattare l’allarme

  • la facoltà di rinunciare al diritto all’alloggio laddove prima esisteva un diritto/dovere di residenza
  • l’ eliminazione del principio della gratuità dell’alloggio e del vitto, presupposto necessario all’obbligatorietà della vita in comune, con un richiamo alla normativa vigente in materia di diritto allo studio (legge statale 390/91 e legge regionale 20/2002)

A proposito di questo secondo punto c’è da dire che la partecipazione al costo dei servizi sulla base del reddito familiare è in sé un principio corretto, che giustamente viene applicato per l’accesso all’università. Nel caso della Scuola Superiore, tuttavia, si tratta di studenti selezionati esclusivamente sulla base del merito, indifferentemente dal livello economico delle famiglie. E questa specificità andrebbe perduta.
Ancora più insidiosa la prima modifica. Eliminare l’obbligo di residenza significa mettere in discussione un aspetto costitutivo della scuola, la possibilità del confronto tra gli allievi, “facilitato dalla vita in comune che si svolge all’interno del collegio”, aspetto essenziale di una “esperienza formativa, fatta non soltanto di attività didattica e di avvio precoce alla ricerca” .
A scegliere di non vivere nella residenza saranno probabilmente gli studenti della città e dei paesi limitrofi, con una conseguente riduzione dello scambio con gli alunni provenienti da altre città e regioni (se ancora ce ne saranno…) e del contatto tra giovani di provenienza culturale e sociale diversa. Nella Scuola ci si recherà per i corsi aggiuntivi e i seminari e verranno meno, presumibilmente, anche le iniziative culturali organizzate dagli allievi.
Una revisione del regolamento poteva anche essere necessaria, ma la direzione in cui ci si sta incamminando è pericolosa.
Gli alunni e gli ex alunni si chiedono se non si voglia di fatto trasformare la sede della Scuola in una residenza universitaria come le altre. E si chiedono, e ce lo chiediamo anche noi, se al momento dell’approvazione del nuovo regolamento, ci sia stata da parte dei membri degli organi collegiali (Senato accademico e Consiglio di amministrazione) la consapevolezza delle conseguenze di ciò che si stava deliberando. O, come spesso accade in questi casi, è prevalsa la distrazione, la fretta o -ancor peggio- la compiacenza nei confronti del rettore?
Fa riflettere anche la determinazione con cui hanno reagito gli ex alunni. Con i contatti presi per far circolare il loro comunicato, con la lettera inviata a numerosi soggetti istituzionali, stanno dimostrando un interesse forte per la Scuola che li ha formati e alla quale si sentono legati da un senso di appartenenza, che non si giustifica con alcuni corsi seguiti insieme. Stanno diffondendo inoltre un dossier che fa il punto della situazione, segnalando anche il blocco dei fondi per la mobilità, con conseguente interruzione dei viaggi di studio all’estero. Hanno anche scritto una lettera al nuovo presidente, pubblicata sul loro sito, AlunniSSC.
Non si può neanche pensare ad una mobilitazione generata dalla speranza di vantaggi personali. Si tratta di persone che già lavorano in vari settori e con ottime prospettive. Il fatto che abbiano sentito il “dovere” di attivarsi vuol dire che la Scuola è riuscita, fino ad ora, ad essere una comunità formativa. Rischia di non esserlo più.
La partita, però, non è ancora perduta. Non tutti, nell’Ateneo e nella città, sono legati ad interessi miopi. Non bisogna rinunciare in partenza a combattere una battaglia per salvaguardare questa esperienza, nonostante sia una battaglia difficile, anche a causa del  complice silenzio del principale editore locale. Bisogna aver chiaro che è una cosa che riguarda tutti.
Chiudere o snaturare la SSC significa infatti impoverire ulterirmente la nostra città e tutto il Sud che ha visto in essa un punto di riferimento, uno strumento di crescita. Sarebbe necessario uno scatto di orgoglio per reclamare che al Meridione siano concessi gli stessi strumenti che vengono forniti alle altre zone dell’Italia. Non può infatti essere casuale che i centri di alta formazione siano tutti collocati al Centro-Nord.
In questo caso è stato dimostrato dai fatti che i nostri studenti sono competitivi con quelli delle regioni settentrionali e ad esprimere apprezzamento sono stati proprio i docenti delle Scuole Superiori pisane, chiamati a far parte delle commissioni di selezione. Non facciamo autogol per interessi di bottega, assecondando nei fatti questa marginalizzazione del Sud. Investire sul capitale umano e puntare sulla conoscenza sono le nostre uniche reali prospettive di sviluppo.

2 Comments

  1. Concordo. E’ tutto molto chiaro.
    Correggo solo una svista dicendo che il finanziamento regionale del 2010 dovrebbe essere superiore a “1500 euro” 😉 magari aggiungiamogli altri tre zeri alla fine.
    Saluti

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Gli ultimi articoli - Istruzione