Una lituana alla cena di San Berillo

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Non solo luci rosse, degrado, sporcizia, mancanza di servizi. San Berillo è ben altro. E’ solidarietà e fratellanza, partecipazione, condivisione, set cinematografico, intitolazione di piazze a scrittrici come Goliarda Sapienza. E ancora convivialità con tavolate all’aperto. Il quartiere vive, anzi rivive, in tanti modi, con le residenze e i restauri in opposizione a nuove speculazioni.
E i protagonisti di questa rivisitazione, di questa calma rivoluzione, non sono solo catanesi. Anche i turisti, gli stranieri, rimangono incantanti dal Vecchio San Berillo. Tra questi c’è la lituana Akvile Žaromskytė, a Catania come volontaria europea. Akvile fa la giornalista e ha partecipato ad una delle allegre cene che si tengono in strada, un evento con cadenza mensile già al quinto appuntamento, per accorciare le distanze tra il quartiere dimenticato e la città, con il coinvolgimento attivo dei cittadini.
L’articolo che vi proponiamo è stato pubblicato in lituano sul portale 15min.lt e in inglese sul sito di Media4Change, un progetto giornalistico dedicato ai temi dei diritti umani, dell’eguaglianza e della diversità.
San Berillo, un quartiere del centro storico di Catania. Un quartiere storicamente noto come il centro della prostituzione della città. Un luogo che, in tutta onestà, è conosciuto dai più come “quartiere a luci rosse”. I comuni cittadini solitamente non mettono piede nelle strette stradine a scacchiera senza una buona ragione. È pericoloso, dicono.
Ma gli abitanti della zona hanno deciso di cooperare con alcune associazioni, tra cui l’Arci Catania, per cambiare la situazione. Una volta al mese, di domenica, San Berillo si rianima, e i catanesi vi si recano per una ‘tavolata’.
Per dare l’idea dell’atmosfera che regna in questo quartiere, basta che proviate ad immaginare un luogo in cui non vi è passaggio di persone, né cittadini né turisti; senza locali né negozi, solo case popolari. Quei pochi che attraversano il quartiere lo fanno di fretta, senza guardarsi intorno, stringendo forte la loro borsa sotto l’ascella. Mentre quelli che vengono a cercare piacere passeggiano lentamente, di lato, guardando di sottecchi le donne e quello che offrono.
Questa domenica a San Berillo c’è stata una cena sociale alla quale sono stati invitati tutti i cittadini di Catania. Così gli abitanti del luogo e le associazioni che vi operano hanno cercato di fare cadere gli stereotipi sul quartiere, dando l’opportunità a tutti di vedere con i loro occhi e sentire con le loro orecchie, per mostrar loro che il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge e che anche in quel quartiere vivono degli esseri umani.
Sono molti i problemi che devono essere risolti in modo che non influiscano negativamente su coloro che dormono, mangiano e vivono in quel luogo ogni giorno, crescendovi i propri figli.
I miei primi passi a San Berillo sono stati accompagnati da un forte odore di urina e di bottiglie di vino scadente vuote lasciate sul ciglio della strada (probabilmente dalla sera prima). Accanto una borsetta abbandonata in mezzo alla strada.
Dappertutto un incredibile silenzio. La sensazione è quasi quella di trovarsi in chiesa: tieni il fiato sospeso, i tuoi passi diventano leggeri per fare meno rumore possibile, e ti sorprendi a pensare “Ho spento la suoneria del cellulare?”, mentre i tuoi occhi esplorano non le opere d’arte di pittori famosi decorate in oro, né le guance morbide dei putti che ti guardano dall’alto, bensì palazzi costruiti molto tempo fa da architetti famosi, ormai diroccati, con le finestre rotte ornate da grate di ferro, al di là delle quali stanno dei seni siliconati che sembrano guardarti  incorniciati dall’arcata di un portone.
Quella domenica vagavo da un po’ in quelle strade, cercando il luogo in cui avrebbe dovuto svolgersi la cena; nel frattempo annusavo quegli odori sgradevoli e pensavo alla vita quotidiana di quelli che vivevano lì. Pensando di passare dalle strade più trascurate e degradate di tutta la città mi rendevo però conto che dai muri mi fissavano dei graffiti creati dalla mano di un maestro, portatori silenziosi di storie incredibili che potrebbero essere narrate per decadi. Storie meritevoli di comparire nei testi di storia, o ancora di più: di diventare parte di un romanzo o di un film da premio Oscar.
Di solito i turisti vanno a San Berillo con lo stesso interesse con cui andrebbero allo zoo. Vengono a vedere le prostitute con i loro seni floridi, molte delle quali erano uomini una volta. Ma oggi, mentre mi trovo qui, sono io a sentirmi come un animale in una gabbia. Sedute sulle sedie o affacciate dalle porte, dozzine di occhi mi scrutano con un’innominata domanda: “Ragazza, ma chi te l’ha fatto fare a passare da qui?”
Man mano che andavo avanti iniziavo a sentire una musica. Mi lasciai guidare da essa fino a quando l’odore sgradevole e i colori grigi non vennero sostituiti dalle voci allegre dei volontari che stavano lavorando nella cucina a cielo aperto. Altre voci di giovani provenivano dalla postazione radio nella quale un dj stava passando della musica allegra, chiedendo a tutti non solo di ballare ma anche di assaggiare il cibo delizioso e di comprare i biglietti della lotteria.
A poco a poco sempre più persone iniziarono a riunirsi per il pasto: giovani e anziani, famiglie a gruppi di amici. Alcuni di loro portavano i loro cani, altri portavano cibo fatto in casa. Presto le stradine diventarono affollate: sembrava che dei vecchi amici si stessero ritrovando nel loro vecchio giardino. I bambini ridevano e giocavano a fare le bolle di sapone, mentre i loro genitori erano impegnati a guardare gli oggetti in vendita alle bancarelle e a parlare con i loro amici.
Nel preciso istante in cui i dj pronunciarono le parole “Che il pranzo abbia inizio”, la lunga tavolata si riempì immediatamente di piatti e antipasti, e coloro che hanno visto almeno un film di Harry Potter potranno immaginare facilmente la scena di cui parlo. In prossimità della cucina altre persone stavano in fila: pasta, carne, sfoglie, riso, insalate… i piatti si riempivano di cibo delizioso e le persone mangiavano sorridendo.
Mentre scattavo delle foto, un ragazzo venne verso di me e mi chiese:
“Bellissimo, non è vero?”
“A cosa ti riferisci?”, risposi con un’altra domanda.
“Guardati intorno: persone di culture diverse siedono le une accanto alle altre, parlando e mangiando insieme. È meraviglioso.”
Meraviglioso davvero, pensai. Non erano solo culture diverse, ma mondi diversi quelli che si stavano adesso incontrando nello stesso luogo per sedere alla stessa tavola. Come se tutte le cose brutte che sono sempre esistite non ci fossero mai state: nessuna dimostrazione di razzismo, né stereotipi, pregiudizi sessuali o qualsiasi altra forma di odio. Una domenica al mese, in questo quartiere in cui solitamente le persone non vengono per paura, si trova pace, eguaglianza e amicizia. Il cibo è finito? Che importa! Possiamo ancora ballare e cantare.
L’odore pungente di urina è stato sostituito dai profumi della cucina, il grigio silenzio da risate allegre, i mattoni distrutti dai disegni colorati dei bambini, e dai portoni di ferro non ti guardano più seni siliconati ma occhi brillanti che ti attirano nella conversazione. Chi ha detto che la pace non può essere raggiunta? Servono solo una pentola di pasta, sughi deliziosi e qualche torta. E forse anche un po’ di musica, in modo da poter ballare.
E comunque la lotteria è stata un successo: il primo premio era una bicicletta ed è stata vinta da una ragazza di nome Vanessa. Congratulazioni!
(Foto di Akvile Žaromskytė)

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